mercoledì 18 luglio 2012

CLAUDIO BISCARINI: SAN MINIATO 22 LUGLIO 1944

La mattina del 22 luglio 1944 una cannonata d'artiglieria americana penetrò all'interno della Cattedrale, provocando la morte 55 persone e centinaia di feriti. Dopo la conversazione con il Prof. Paolo Paoletti, autore del libro 1944 San Miniato – Tutta la verità sulla strage (Mursia, Milano, 2000), proponiamo questo intervento del giornalista Claudio Biscarini, autore assieme a Giuliano Lastraioli de La Prova (FM Edizioni, San Miniato, 2001). Ringraziamo Claudio Biscarini e Carlo Pagliai, curatore del sito: http://www.dellastoriadempoli.it/.

[AVVERTENZA: il testo è stato redatto in occasione del 68° Anniversario della Strage]

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SAN MINIATO 22 LUGLIO 1944

di Claudio Biscarini

Domenica prossima ricorderemo il 68° anniversario della strage nella Cattedrale di Santa Maria Assunta e di San Genesio  di San Miniato. Certamente, nonostante la pubblicazione di un documento che riteniamo risolutivo nel volumetto La Prova, non mancano ancora i “nostalgici” di spiegazioni diverse da quella della granata da 105 mm americana, entrata per puro caso attraverso il semirosone del braccio meridionale del transetto ed esplosa nella navata destra della chiesa. Cerchiamo, quindi, per l'ennesima volta di prevenire questi “nostalgici” e analizziamo i fatti partendo dal documento americano. Perché diciamo che è risolutivo? Due sono le cose che si leggono in quelle scarne righe che ne fanno un testo importantissimo che si accodano ad altre. Primo: il documento è coevo e non ha subito manipolazioni successive in quanto serviva solo per annotare fasi tecniche dell'impiego degli obici del 337th US Field Artillery. Per questo siamo stati in grado non solo di stabilire con assoluta esattezza l'ora dell'inizio dei due cannoneggiamenti su San Miniato, ricordati anche dai testimoni, le coordinate di tiro e il numero dei proiettili sparati. Secondo: leggendo l'annotazione del 23 luglio si può comprendere come essa sia chiara nella sua esposizione seppure sintetica. Si legge,infatti, che i partigiani samminiatesi dicono agli americani che “qualcuno, ieri, ha sparato nella zona di San Miniato e ha colpito una chiesa”. Ora, anche se non fossimo a conoscenza che a sparare furono gli obici statunitensi, salta agli occhi che, se i partigiani avessero saputo che a colpire erano stati i mortai o gli obici tedeschi, la cosa sarebbe stata riportata in maniera chiara agli americani i quali non si sarebbero certo perduta l'occasione di annotare un altro crimine tedesco nei loro documenti. L'annotazione prosegue con “I feriti sono stati trasportati all’ospedale non ci sparate sopra”. Altra palese ammissione che gli americani furono da subito consci di aver preso la chiesa. Infatti, in questo passo è come se avessero scritto “abbiamo fatto una fesseria ieri, badiamo di non ripeterla con l'ospedale”.
Cattedrale di San Miniato

Ma, anche senza il documento americano che pubblicammo con Lastraioli ne La Prova, da anni ci battevamo per avere un confronto pubblico con i detrattori della granata americana, tra cui anche insigni storici, confronto mai avvenuto. I detrattori, i quali ammettevano le due assurde possibilità della mina posta in duomo dai tedeschi “per rappresaglia” o della granata sparata “da un mortaio” tedesco piazzato oltre l'Arno, dovevano rispondere alle nostre poche ma semplici domande ma senza fare voli pindarici sulle massime frequenze, 'ché siamo tutti d'accordo che in Toscana i tedeschi fecero una “guerra di stragi” per i motivi più diversi ma solo per capire che San Miniato non fa parte di quella stagione di assassini fatta dagli uomini di Kesselring.
(1) Ipotesi della mina. Nessuno ci ha mai spiegato come e perché, dalle foto del famoso Barzacchi, non risulti il “fornello”, cioè quella buca che un'esplosione provoca nel terreno se un oggetto esplosivo è posato a terra. Perché, dentro una cassapanca o altrove, a terra doveva trovarsi la arcinota mina visto che non è plausibile (l'avrebbero vista in centinaia) che fosse legata a  una colonna.
(2) Ipotesi della rappresaglia. Nessuno ci ha spiegato, nemmeno gli "esperti di stragi" perché i tedeschi avrebbero scelto questo unico modo di fare rappresaglia, visto che IN NESSUN ALTRO CASO in Italia, essi hanno rinchiuso le persone in un edificio sacro uccidendone solo una minima parte con una mina e/o proietto. Le zone sacre sono state spesso oggetto di stragi. Ad Oradour-sur-Glane, gli uomini della 2° SS Panzer-Granadier-Division Das Reich riunirono donne e bambini nella chiesa, ammazzandoli in massa dandogli fuoco. Su Monte Sole di Marzabotto, a San Martino, i civili, donne vecchi e bambini, furono ammassati nel cimitero e uccisi a colpi di mitragliatrice, mentre nell'Oratorio di Cerpiano furono ammazzati con i mitra e con bombe a mano. A Stazzema le SS della 16° Panzer-Granadier-Division Reichsfuhrer  ammassarono donne, vecchi e bambini sul sagrato della chiesa assassinandoli con una MG 42 e bruciandone i corpi. I superstiti si contarono sulle dita di una sola mano. Perché a San Miniato si sarebbe pensato a “punire” solo i civili che si trovavano in un determinato punto della chiesa visto che non sono mai state trovate mine in altra zona dell'edificio? Perché, alla fuga in massa dopo lo scoppio, i tedeschi non aprirono il fuoco con i mitra uccidendo chi usciva dalla chiesa, come è avvenuto su chi tentava di scappare dagli edifici in fiamme di Monte Sole, Sant'Anna di Stazzema e altre località sedi di stragi? Perché i tedeschi avrebbero dovuto fare una rappresaglia di quelle proporzioni?

"Il Braciere", monumento alla memoria delle vittime
Silvano Bini 1994, piazza del Duomo 

(3) Perché, allora, i tedeschi rinchiusero i civili in due chiese? Come ho ribadito in altri casi, purtroppo in Italia la storia militare diventa storia politica e poco importa ai diversi interlocutori che ne professano anche l’insegnamento ad alti livelli, di conoscere veramente le tecniche e le modalità di un esercito in campagna. A San Miniato, il 16 e lo stesso 22 luglio, erano stati emessi ben due ordini di sfollamento che, o che non fossero stati adeguatamente conosciuti o per negligenza, non vennero obbediti dalla gran parte della popolazione che preferì, non avendo nessuna cognizione dei fatti che sarebbero potuti accadere, rimanere in città nascondendosi. Sappiamo che la “forza” del reparto tedesco che presidiava San Miniato era di circa 40 soldati comandati da un tenente. Con questi uomini, egli doveva fronteggiare parti di  due reggimenti di fanteria americani della 88th Infantry Division, minare le case della città ritenute indispensabili a bloccare la marcia avversaria e tenere a bada la popolazione che poteva anche provocare guai se si fosse accorta del piano di distruzioni. Se non poteva influire che in parte sulle due prime cose, poteva farlo sulla terza concentrando i civili in pochi edifici dove potevano essere più facilmente controllati da pochi uomini.
(4) Ipotesi del mortaio tedesco. La Commissione Giannattasio già escluse la mina in duomo, ipotesi invece cara soprattutto ad alcuni studiosi odierni ma che non hanno mai saputo portare prove valide a suffragarla. La Commissione ripiegò sulla granata da mortaio sparata da oltre Arno dai granatieri germanici. Ma non spiegò alcune cose basilari. Che tipo di mortaio (si disse genericamente “ di medio calibro”), come avrebbe effettuato il tiro e, soprattutto, perché mai l’artiglieria o i mortai tedeschi avrebbero dovuto sparare sulla città a casaccio con la forte probabilità, visto che ancora era in loro mani, di uccidere magari accidentalmente qualcuno dei loro uomini. Diciamo a casaccio, perché centrare da rilevante distanza un obiettivo piccolo come l’apertura del rosone della cappella della SS. Annunziata con un mortaio, avrebbe richiesto almeno dei tiri di aggiustamento, la classica “forcella”, prima di eventualmente fare centro.Tra l’altro, i tedeschi usavano mortai di vario calibro come il 5 cm leichter Granatwerfer 36 con gittata massima a 600 metri, il Granatwerfer 42 da 120 mm con gittata massima di 6000 metri oppure armi già italiane come il 120 mm con gittata massima di 7000 metri  e l’80-81 mm con gittata di 6000 metri. Tiro arcuato, la gittata con un colpo sparato di oltre Arno, appare ai limiti massimi (con proietto che va dove gli pare e con scarsa forza) per avere la precisione al primo colpo di centrare il rosone e quindi, a nostro parere, è inevitabile dire che nessun mortaio tedesco sparò mai sul duomo di San Miniato quella mattina del 22 luglio 1944.

La targa ai piedi de "Il Braciere"
Silvano Bini 1994, piazza del Duomo

Ecco, solo queste poche e semplici considerazioni ci hanno portato da sempre, a parte il documento americano, a trovare nella granata americana penetrata per caso in chiesa la spiegazione più logica. Una spiegazione che a San Miniato in molti già sapevano da quel 22 luglio di 68 anni fa. Allora, perché in tutti questi anni le Amministrazioni comunali per prime non l’hanno accettata, trincerandosi dietro la credenza popolare ( di parte della popolazione semmai)? Possiamo capire che negli anni passati, in mancanza di prove documentali certe, anche in tempi, per la sinistra italiana di forte antiamericanismo, si sia continuato a credere alla versione di (parte) della popolazione. Ma che al momento dell’arrivo di documenti si sia continuato su questa strada, senza onestamente ammettere che, anche se per anni si era data una versione che  errata, con l’apertura degli archivi si era pronti a fare un’analisi seria, ci appare sconcertante. Si è creduto, invece, che l’analisi dei nuovi documenti e il ribadire l’attenzione sulla granata statunitense, e non sulla “fredda strage tedesca”, fosse un attacco politico all’Amministrazione comunale, complici anche alcuni samminiatesi che hanno voluto scientemente fare di questa ricerca solamente storica una battaglia politica. Ma noi da questo ci siamo prontamente ritratti indietro. Noi facciamo storia e non politica e sul piano storico amiamo essere contraddetti, sul merito e non sulla valenza politica di cui francamente ce ne freghiamo alquanto. Si è arrivati a dire che be’ tutto sommato la granata poteva essere anche americana ma, visto che la guerra l’avevano scatenata i tedeschi, la colpa andava sicuramente a loro. Come dire che se uno nasce in Sicilia è sicuramente mafioso! Chi rilasciò a suo tempo tale dichiarazione opinabilissima dimenticava che a fianco di quella Germania c’eravamo stati anche noi per tre anni. Anzi, a onor del vero, se Mussolini si fosse tenuto fuori da quella tragedia, nessuna granata americana o bomba avrebbe mai colpito la nostra terra. Quindi, “chi causa è del suo mal, pianga se stesso” semmai. Ma, probabilmente, il nostro avrà pensato, in linea con una certa sorpassata storiografia degli anni ’60-’70 dello scorso secolo, che solo i fascisti e Mussolini erano responsabili e non il popolo italiano. Certo, gli italiani non furono, nella stragrande maggioranza, contenti di quella guerra. Ma la combatterono e per almeno due anni sperarono che, o la solita fortuna e abilità del “capoccione” o i Panzer dell’alleato germanico, risolvessero le cose a favore dello Stellone nazionale. Solo alla fine del 1942 e, soprattutto, nel 1943 le cose cambiarono vistosamente. Ma, attenzione, la Resistenza fu ancora opera di una minoranza, non esigua, ma sempre minoranza era( 80.000-100.000 alle fine, secondo altre stime con i partigiani dell’ultima ora, 200.000 nel 1945 rispetto alla totalità della popolazione, non sono il “blocco granitico”). Nessuno ormai è pronto ad ammettere il monolite del “popolo alla macchia” caro a Longo. Ci fu un’ampia zona grigia fino al 1945, dove navigavano la gran parte degli italiani che non vedevano l’ora che tutto finisse, la cui massima aspirazione era di non morire e di arrivare a sera con qualche cosa nello stomaco. In questa zona grigia, agivano anche i borsaneristi, le segnorine, i delatori, che non furon pochi, anche anonimi e per una volta, magari facevano la spia non per odio politico ma per interesse personale: non lo ha mai saputo nessuno in quanti denunciarono il vicino e, poi, rientrarono silenti nella normalità magari alla fine con un bel fazzoletto colorato al collo e un’arma in mano a conquistarsi il loro singolo, personale “posto al sole” per il futuro. Certo, gli italiani nella gran parte non amavano né fascisti né tedeschi ma in tanti non amavano nemmeno i partigiani a cui obtorto collo dovevano dare il vitello, la farina, le galline e che con le loro azioni mettevano in pericolo la loro vita, disagiata quanto si vuole, ma sempre preziosa. Basta parlarci coi contadini per saperlo. Altrimenti Contini Bonaccossi come avrebbe fatto a coniare, riguardo alla strage di Civitella della Chiana ma applicabile anche a molte altre stragi compreso Fucecchio, quelle due parole che si rifanno a una “memoria divisa”? Ma a San Miniato le cose si son visto in altro modo e si è voluto ribadire la strage tedesca nonostante tutto e tutti. Addirittura, unica sede comunale che porta una errata corrige sulla facciata, con l’inaugurazione di una seconda lapide quasi che questa tragedia fosse un romanzo d’appendice con due capitoli. Non ci rimane, quindi, che innalzare, in questo 68° anniversario, un pensiero agli unici che pagarono con la vita, quei poveri innocenti che rimasero stritolati nel più grande e terribile conflitto che la storia umana, fino ad ora e speriamo in eterno, ricordi. Per loro, granata americana o tedesca o mina, fece poca differenza.

Claudio Biscarini

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