a cura di Francesco Fiumalbi
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Un
“colpo” degno del celebre Arsenio Lupin, il personaggio di fantasia nato dalla penna di Maurice
Leblanc nei primi del '900 e protagonista di romanzi, telefilm e
serie cartoon. Gli autori rimasero ignoti, ma si conquistarono la
ribalta nella cronaca nazionale di quei giorni, per le modalità
assolutamente eccezionali con cui agirono all'interno della sede
centrale della Cassa di Risparmio di San Miniato. Un episodio che,
ancora oggi, a distanza di molti anni, viene ricordato dai
sanminiatesi con tono ironico e beffardo. E per questo ne riproponiamo i contorni salienti.
Correva
l'anno 1977 e gli istituti bancari conservavano il proprio denaro in
appositi caveau, dal momento che la finanza virtuale e la moneta
elettronica erano ancora una lontana utopia. I ladri riuscirono a
mettere le mani su una cifra incredibilmente alta, 1 miliardo e 300
milioni di lire. Per dare un'idea, secondo il coefficiente di rivalutazione espresso dall'Istat, corrisponderebbero ad oltre 5 milioni di euro attuali. Si appropriarono
soltanto di banconote, lasciando titoli e assegni che evidentemente
potevano essere tracciati.
Sede
Centrale della Cassa di Risparmio di San Miniato
Foto
di Francesco Fiumalbi
Fin
da subito fu chiara l'eccezionalità dell'evento criminoso. Il furto
venne messo a segno nel fine settimana, nella notte fra il sabato 26
e la domenica 27 marzo 1977. Il caveau dove erano conservate le
banconote si trovava nei locali della Sede Centrale della Cassa di
Risparmio di San Miniato, in via IV Novembre, in pieno centro
abitato. Ma nessuno si accorse di nulla, nemmeno il custode che
abitava nei pressi, e che scoprì quanto accaduto soltanto il lunedì
mattina quando fece entrare il personale delle pulizie alla
riapertura delle attività della banca.
I
malviventi entrarono dal retro, oltrepassando l'alto muro di sostegno
che si affaccia sul vicolo carbonaio e verso la valle di Gargozzi.
Successivamente si introdussero all'interno dell'edificio e compirono
una serie di operazioni, evidentemente ben pianificate, utilizzando
anche un gran numero di attrezzi.
Segarono
due sbarre per accedere a quella che era chiamata la “Sala del
Tesoro”. Qui riuscirono a penetrare attraverso un foro praticato
nella schermatura blindata, utilizzando apposite lance termiche.
Ebbero la meglio anche su un'ulteriore cancellata, che costituiva
l'ultimo presidio di sicurezza prima di poter mettere le mani sul
denaro.
Essendo
i locali dotati di apposito sistema antincendio, il calore delle
lance lo avrebbe certamente attivato. L'impianto era concepito per
rilasciare un gas che, mischiandosi con l'ossigeno, avrebbe impedito
qualsiasi tipo di combustione, ma anche la respirazione degli esseri
umani. Per questo i ladri sembra che si fossero dotati anche di
apposite bombole di ossigeno e di autorespiratori, per sopravvivere
all'interno degli ambienti blindati, divenuti inospitali.
Il
colpo fece molto clamore. Furono avanzate molte ipotesi, anche molto
fantasiose, tutte più o meno incentrate alla ricerca di un basista
interno, un dipendente infedele che avrebbe facilitato il lavoro ai
malviventi. La videosorveglianza non era ancora entrata a far parte
dei sistemi di sicurezza e gli inquirenti riuscirono soltanto a
stabilire che il furto era stato messo a segno da almeno sei persone.
La indagini finirono nel nulla, con i colpevoli che rimasero a piede
libero, a godersi i frutti dell'incredibile colpo.
La
Cassa di Risparmio fortunatamente era assicurata e l'attività delle
filiali riprese fin da subito senza particolari conseguenze.
FONTE:
Le informazioni di questo post sono tratte da un articolo del
quotidiano “LA STAMPA”, Anno 111, Numero 65 - Martedì 29 marzo
1977, consultabile in rete presso il sito dell'Archivio Storico de
“La Stampa”. Collegamento alla pagina
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In tanti videro la teoria di lumicini salire dal fondo valle di Gargozzi verso la banca, dissero il giorno dopo. A crederci però furono in pochi
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