lunedì 29 giugno 2015

LE SARTINE DEGLI ANNI '50 - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

LE SARTINE degli anni '50
Raccontare una vita, sopratutto di lavoro


Quando ai primi anni '50, ci si imbatte in quei teli neri usati come imballaggi e mezzi di trasporto con i quali le “sartine”, prime lavoranti a domicilio dopo le impagliatrici, trasportano a mano il lavoro fatto o da fare, fino in confezione, prevalentemente a Empoli... quel colore, il nero, me le fa sentire, le sartine, proprio “in tinta” col periodo e con l'atmosfera che siamo abituati a respirare. Richiamano alla mente le immagini stereotipate delle donne e delle vedove di guerra. Come l'immagine che mia madre ricorda di sua madre, benché in giovane età: quella di una vecchia comunque e sempre vestita a lutto. C'è sempre, in quelle famiglie numerose che hanno attraversato la guerra, un morto in famiglia e un congruo periodo di lutto da rispettare, almeno da parte delle donne di casa, anche se nulla è dovuto da parte degli uomini. La mia nonna Livia, che io ricordo sempre vestita a lutto, osserva una sola variabile nel vestire: l'abito da lavoro, rigorosamente bianco, quello di infermiera. Ma dismessa quella divisa, il vestito torna quello a lutto, con poche eccezioni. Talvolta una vestaglia a fiorellini piccoli in un campo che può essere di color nero, blu o marrone, funzionale sopratutto a nascondere macchie e sporco.
Quei teli, invece, nascondono una voglia incontenibile di cambiamento in queste giovani donne. La voglia di mettersi alle spalle le sofferenze della guerra, rimboccandosi le maniche, per costruire un mondo migliore, sopratutto per loro donne.

Ed assume talvolta l'aspetto di una fiumana, quella che quotidianamente, per mille rivoli, anche dalle campagne e dal suburbio, si “incammina” prevalentemente in prima mattinata, sacco a tracolla o sulle spalle, o anche in testa, verso la fermata del Pullman, quella più vicina, per dirigersi sopratutto verso Empoli, dove molte Confezioni sono sorte spontaneamente appena cessate le ostilità, esplodendo definitivamente dopo la proclamazione della Repubblica. Le riconosci subito, dalla dimensione “innaturale” di questi fagotti e da quel color nero, le “sartine” a percorrere il sentiero della loro quotidiana transumanza: viaggio sempre a pieno carico sia all'andata che al ritorno. Uno con i capi confezionati e pronti ad essere indossati, l'altro con pezzi tagliati a misura da assemblare, a seguire stagioni e mode.

Giovanna è una delle prime a seguire l'onda del cambiamento, per un lavoro a domicilio e per un committente, che più propriamente Giovanna è abituata a chiamare “padrone”, raggiungibile solo con la corriera della "Danti & Biagioni", per una attività che sembra non esaurirsi secondo la stagionalità, ma che cambia con il cambiare del tipo di produzione. È un cambiamento epocale per chi è abituato a lavorare in Tabaccaia ad essiccare il tabacco, o alla SAIAT a lavorare i pomodori da conserva, in fornace a servizio dell'edilizia, o nei campi delle varie fattorie o dei piccoli contadini vicini o parenti, abituati, sopratutto in inverno, a lunghi periodi di “fermo”. Non ci si può permettere in casa Parentini, in una famiglia come la sua, lei, quinta di 6 figli, di starsene in ozio senza far nulla. Ogni lavoro è buono pur di portare a casa il pane. È così in tutte le famiglie del popolo, che non hanno beni al sole e che possono contare solo sul lavoro delle proprie braccia.

Non è la sola, né la prima a fare quel percorso! Una delle figlie di Musolino, lavora già per l'Etruska di via San Martino e per l'Ammannati che ha aperto ditta al Pinocchio, sopratutto cappellini per impermeabili. C'è la Giannoni che “smacchina” le trapunte. La moglie di Pampana a cucire cappotti e montgomery. Poi ci sono quelle forestiere che hanno preso dimora in quello che, un tempo era il palazzo del Finetti, e che si sono portate, in dote, una macchina da cucire, mezzo insostituibile per lavorare. Un gruppetto di donne al Nocicchio cuce già trapunte per l'empolese. Giovanna, la sua prima macchina, una Singer Industriale a pedali se l'è comprata a rate, senza cambiali, sulla fiducia, dal Rossi, un tanto il mese. Non è la sola nelle Colline a cucire per Confezione, altre in pieno centro di San Miniato, attratte dalla comodità della “fermata” lì a due passi da casa, hanno rispolverato vecchie macchine da cucire e si sono improvvisate “sarte”, contando sull'insegnamento di mamme e zie.

Più di trenta sono quegli scalini nel palazzo del Cecchi che Giovanna si fa tante volte in un giorno; la mattina a prendere il pane dal Perondi, la sera per il latte dal Branzi in Piazza de' Polli, qualche volta, quando ci sono i soldi, per due fettine di carne, una ciascuna per le figlie, Patrizia e Barbara, la prima di 5 anni e la seconda di appena 2. Almeno una volta alla settimana. - "Due bracioline di un etto, tagliate fine" - la solita richiesta a Falasco - "Ecco!... Duecento lire!!" - carta compresa. Alla bottega di “Commestibili” si segna e si paga a fine mese. Dal Macellaio si paga subito!

E quegli scalini sembrano una montagna sia a scendere, sia a salire, quando è il momento del viaggio per Empoli, a riportare il lavoro fatto e a riprendere quello nuovo da fare. Mai un giorno fisso. Mai di giovedì, giorno di mercato. Un'arte quel fagotto, teso sopratutto a rispettare gli impermeabili ripiegati a mazzetti secondo la taglia. I quattro lembi riuniti insieme, in un unico abbraccio, facile da sciogliere all'arrivo, a lasciare anche spazio per infilarci un braccio e per issarselo a tracolla, o per infilarci il collo appoggiandoci così le braccia conserte, in atto di riposo. Queste le posture prevalenti, anche se alcune donne, contadine robuste sopratutto, se lo pongono sulla testa o anche sul groppone. Giovanna se lo pone a tracolla, se quel giorno lascia le piccole in custodia alla Zucchelli, che tiene due maschietti anche se un po' più grandicelli. Ma il più delle volte se le porta con sé a fare il viaggio sulla “Danti & Biagioni” fino a Empoli, quando il lavoro è pronto anzitempo e se nessuna delle bambine, sopratutto Barbara, è ammalata o raffreddata.

Allora le agghinda tutte e due con il vestitino “meglio” e, sandali ai piedi, inizia la discesa delle scale, con il fagotto a tracolla, Patrizia per la mano e Barbara accovacciata proprio sopra il fagotto stesso. Uno scalino alla volta fino in istrada. Poi verso il “Riposo” cercando di arrivare in anticipo sopratutto per trovare posto a sedere per le piccine. Non sempre c'è con la prima corriera, ed è per questo che spesso prende quella dopo, che parte dal “Riposo” verso le 8. Il fagotto entra solo negli ultimi posti. Spesso non bastano. Allora mentre le bambine si seggono, Giovanna se ne sta in piedi, si tiene il fagotto tra le gambe in mezzo al corridoio. Succede quasi sempre così con quella corriera. “Sartine” con figli al seguito, quelli più piccini che ancora non vanno a scuola, se non c'è stato tempo di portarli all'Asilo di San Paolo.

Arrivo in Piazza della Vittoria per un viaggio a piedi fino in Piazza dei Leoni, conosciuta anche come Piazza delle Sette Porte, nella Confezione del Borracchini, per la quale lavora già dal '54 quando era ancora ragazza; Patrizia e Barbara a trapelo, affascinate sopratutto dalle vetrine.
Succede a volte che per rispettare i termini di consegna, non è possibile raggiungere Empoli con la “Danti & Biagioni”. Allora c'è solo un modo e un mezzo: "La Lazzi". Corriera che fa più corse durante il giorno, che passa sulla Tosco Romagnola, e che è possibile raggiungere prendendo lo sdrucciolo di “Pancole”, che porta dal Ricovero fino a San Pietro alle Fonti e a La Scala. Percorso più ripido e più accidentato: identiche modalità. Patrizia per mano e, gioco forza, Barbara accovacciata sul fagotto ad aumentare il peso di zavorra del lavoro fatto. Sdrucciolo che è particolarmente animato e frequentato sopratutto il giorno di mercato, ma anche da quanti hanno bisogno di raggiungere l'Ospedale. È un percorso questo, che Giovanna, Parentini il suo casato, fa spesso, se è in ritardo con le consegne, come Patrizia, la figlia maggiore, si ricorda ancor oggi, a distanza di 50 anni.

È un percorso quello con la “Danti & Biagioni” verso Empoli, che nel '56 diventa incontro con il proprio futuro. Nel progetto iniziale di questa storia “raccontata”, c'era un colloquio, una sorta di intervista con Giovanna, la protagonista della storia. Ma non c'è stato il tempo. Ci ha lasciato il 10 marzo di questo anno. È per questo che i ricordi di cui a questo racconto sono affidati a Carlo, suo marito, e a Patrizia e a Barbara, le figlie.

Quello del percorso tra Empoli e San Miniato sulla corriera "Danti & Biagioni", è proprio un incontro casuale... Giovanna di ritorno dalla confezione di Piazza dei Leoni con il solito fagotto carico di lavoro, ... Carlo di ritorno da Firenze a seguire un Corso di qualificazione professionale. La Corriera affollata dell'ultima corsa. Lo scambio di posto offerto dal giovane Carlo e una conoscenza che non decolla subito, e neppure nei giorni successivi, per la diffidenza di Giovanna e per l'approccio un po' malaccorto di Carlo, nonostante i ripetuti tentativi nei giorni successivi, in quelle rare occasioni che il tempo e il luogo concede in quegli anni '50. Solo il caso li fa incontrare, secondo la vivida memoria di Carlo, a riportare alla mente l'evento scatenante e imprevisto: in occasione della festa del Grillo a Firenze nel giorno dell'Ascensione. Incontro casuale, lontano dai luoghi soliti, che li fa sentire improvvisamente liberi di conoscersi, trascorrendo tutto quel pomeriggio insieme, anche se in compagnia del giovane nipote di Giovanna, Roberto di 8 anni, e di una giovane amica. Poi il viaggio di ritorno tra treno e corriera, complice un imprevisto, fugace e furtivo, nonché timido bacio rubato quasi involontariamente da Carlo, a segnare l'inizio irreversibile di una storia. Storia, la loro, che sfocia nel '58 nel matrimonio e nella nascita successiva di Patrizia, e la loro prima casa in San Miniato, al terzo piano di quel palazzo in Via Paolo Maioli, mentre Carlo trova un lavoro vero: a Castelfranco, ragioniere in un Calzaturificio.

Viaggi, questi di Giovanna per lavoro, tutti con la corriera "Danti & Biagioni", che si susseguono nel corso degli anni con identiche modalità, anche col cambiare delle mode, dei tessuti, degli attrezzi da lavoro. Macchine da cucire sempre più sofisticate, da quelle a mano e poi a pedale, a quelle con tanto di motore elettrico, e tanti altri accorgimenti a rendere migliore e meno faticoso il lavoro. Immutato il tragitto, identiche le modalità di consegna nel corso degli anni, lo stesso Fagotto Nero.
Fino al '66, quando Giovanna si trasferisce a Castelfranco - già ci sono le due figlie maggiori – e cambia lavoro. Inizia un lungo periodo come sarta interna, nella Confezione Cerbiatto, fino alla nascita di Sabrina nel '72, che causa la fine questo rapporto di lavoro, ma non la voglia di lavorare di Giovanna. Di lì a poco inizia a collaborare col marito nella gestione del lavoro a domicilio, settore fondamentale in quel periodo storico per ogni calzaturificio, diversi gli anni, fino a tornare a lavorare come interna in Calzaturificio, fino al pensionamento avvenuto nel 2004, a ben 72 anni. Per il quale ottiene anche il sommo riconoscimento della Camera di Commercio di Pisa, per mano dell'allora ministro Matteoli, che le consegna in data 7 novembre 2004 un'attestato "Per la Fedeltà al lavoro e per il Progresso Economico" dovutole per la lunga attività lavorativa, durata 50 anni.

Sarebbe ben stata fiera di raccontare il suo percorso di lavoro, sempre pronta e disponibile , anche quando non ne aveva più bisogno. Testimoni di questa fierezza, di questa voglia di lavorare, mai venuta meno nonostante gli acciacchi dell'età, il marito Carlo e le figlie Patrizia e Barbara, che ne rendono testimonianza agli altri, a quanti l'hanno conosciuta, in quell'aspetto della vita di cui andava orgogliosa e di cui tutti le hanno sempre reso merito: IL LAVORO.

Giovanna Parentini
Foto collezione Fam. Pinto-Parentini


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