Non revocate la cittadinanza onoraria
a Benito Mussolini. Si, avete capito bene e non mi sono bevuto il cervello. Sono
stato io a creare questo “imbarazzo”, andando a rispolverare una vecchia delibera
del 1924 con la quale il Comune di San Miniato concesse l’onorificenza al capo
del fascismo. Adesso, con
questo post desidero togliere i miei concittadini da un sì grave turbamento,
proponendo un’argomentazione che spero possa essere facilmente e largamente
condivisa. Ma andiamo con ordine.
A
partire dal ritrovamento di quella delibera del 1924 si è aperto un vivace
dibattito sull'opportunità di revocare il riconoscimento, un po' come avvenuto
negli ultimi due anni nei comuni circonvicini: Empoli, Castelfiorentino, Vinci,
Fucecchio, Montopoli e Santa Croce sull’Arno. Come era prevedibile si sono
formate due “fazioni” contrapposte: da una parte i fautori della revoca,
motivata dal fatto che l'Italia è una Repubblica
democratica che annovera l’antifascismo fra i suoi valori fondanti (si veda la
XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, e la cosiddetta
“Legge Scelba”, la n. 645/1952); di opinione opposta chi ritiene che un simile
provvedimento sia un'inutile perdita di tempo, un'operazione nostalgia, buona a
distogliere l'attenzione da problemi contingenti più gravi e imminenti,
appellandosi anche alla “storicizzazione” del provvedimento.
L’aspetto che ha destato maggiore curiosità è stato proprio
quello della storicizzazione dell’onorificenza. Per quale motivo la questione della
cittadinanza onoraria a Mussolini è venuta fuori solamente nel 2019 –
attraverso un post pubblicato su questo blog – e nessuno, in passato, si è mai
sognato di toglierla? Come mai non nel 1945, non nel 1960, non nel 1985? Dobbiamo
chiedercelo davvero, poiché il Comune di San Miniato è stato amministrato da
sindaci che sono stati partigiani, cioè che hanno partecipato attivamente alla
lotta contro il fascismo. Senza dimenticare che nel secondo dopoguerra i partiti
che hanno governato il municipio – su tutti il Partito Comunista d’Italia – hanno
goduto di un consenso larghissimo, con percentuali schiaccianti. Ed è proprio
la risposta a tale domanda che ci fornisce la chiave per “leggere” la delibera
del 1924 e proporre una convincente argomentazione sul perché oggi, nel 2019,
non vada tolta la cittadinanza onoraria al duce del fascismo.
L’interrogativo è serio, ma non dobbiamo fermarci alle prime
impressioni. Qualcuno ha parlato di “ignoranza”: nessuno avrebbe pensato a
revocare l’onorificenza a Mussolini, semplicemente perché nessuno ne era conoscenza.
L’ipotesi è suggestiva, ma non sta in piedi: figurarsi se nel 1945 non c’era
possibilità di memoria per una delibera del 1924! È un po’ come se oggi, nel
2019, nessuno si ricordasse di una cosa accaduta nel 1998. Alcuni avranno
dimenticato, ma non certo tutti. Va poi ricordato che il Comune di San Miniato
ha una lunghissima tradizione archivistica e i documenti storici sono stati
visionati, analizzati e studiati da centinaia e centinaia di studiosi dal 1945
ad oggi. Per favore, non raccontiamoci balle.
Altri hanno avanzato l’ipotesi che la mancata revoca sia il
frutto di una scelta ben ponderata, al fine di condannare all'oblio la figura
del capo del fascismo, considerando le polemiche che avrebbe suscitato
l’annullamento della cittadinanza. Figuriamoci se chi aveva impugnato le armi
contro il fascismo poteva farsi scrupolo di una eventuale polemica su una cosa
del genere: chiunque avesse mosso anche una piccola obiezione ad una tale
decisione, sarebbe stato subito bollato come fascista, con le inevitabili conseguenze
del caso.
Insomma, affermare che sia stata una dimenticanza o una precisa
strategia di gestione della memoria si fa offesa all'intelligenza dei nostri
nonni e dei nostri padri, che hanno costruito l’Italia democratica in cui
viviamo oggi. A nessuno è venuto il dubbio che una cosa del genere sia
semplicemente inspiegabile con i soli nostri criteri contemporanei?
Viviamo in un tempo in cui in Italia, ma anche in Europa e in
buona parte del mondo, in molti gridano ad un possibile ritorno del fascismo.
Nel recente saggio Chi è fascista oggi [Laterza, 2019], Emilio Gentile – uno
dei maggiori storici del fascismo italiano – sostiene che si stia assistendo
alla formulazione di una teoria che propugna l’esistenza di un “fascismo
eterno”, basata sull'uso di analogie che spesso tendono a produrre falsificazioni
della conoscenza storica, in un processo che tende a sostituire la storiografia
con una sorta di astoriologia, dove il passato storico viene continuamente
adattato ai desideri, alle speranze, alle paure attuali.
Emilio Gentile mette in guardia sulle conseguenze di un tale
fenomeno: penso che la tesi dell’eterno ritorno del fascismo possa
favorire la fascinazione del fascismo sui giovani, che poco o nulla sanno
del fascismo storico, ma si lasciano suggestionare da una visione mitica, che
verrebbe ulteriormente ingigantita dalla
presunta eternità del fascismo. Lo storico va oltre e spiega che se oggi
siamo di fronte al ritorno del fascismo, dobbiamo allora riconoscere che
l’antifascismo non ha veramente debellato il fascismo nel 1945. Se così fosse,
la celebrazione della Festa della Liberazione sarebbe la celebrazione di un
falso storico, o comunque un abuso celebrativo, perché nel 1945 l’antifascismo
avrebbe vinto una battaglia contro il fascismo e non la guerra.
Partendo da questo assunto, ricordiamo che
il 25 aprile 1945 il fascismo è stato sconfitto storicamente e definitivamente.
Dalle macerie del ventennio, è nata una nuova Italia: il 2 giugno 1946 il
popolo italiano scelse l’istituzione repubblicana e dall’Assemblea Costituente
nacque una nuova Costituzione, basata su valori democratici e, perciò,
antifascisti.
Checché se ne dica la Repubblica Italiana
è un nuovo Stato. Tuttavia, è anche vero che giuridicamente le leggi e i
contratti in vigore precedentemente hanno continuato a valere, ma solo perché
la nuova Italia non piombasse in un nuovo caos. Non hanno continuato a valere
le determinazioni politico-ideologiche e anticostituzionali, cioè in contrasto
con la nuova Costituzione, che sono decadute. E quindi sono decadute anche
tutte le determinazioni, tutte le onorificenze e tutto ciò che poteva essere
legato alla sfera propriamente fascista. E’ questo il motivo per cui nessuno ha
mai pensato di togliere la cittadinanza a Mussolini. Perché è decaduta, in
automatico, con la nascita della nuova Italia democratica.
I nostri nonni, i nostri padri, coloro che
hanno costruito l'Italia democratica, non erano né ignoranti, né sprovveduti,
né avevano la memoria corta. Il fascismo è stato sconfitto e il 25 aprile è un
giorno di festa, indiscutibile e irrevocabile. Associandomi al
ragionamento proposto da Emilio Gentile, trovo pericoloso pensare che quella
delibera abbia un valore oggi. Sarebbe come voler affermare che il fascismo, in
realtà, non sia stato sconfitto storicamente e definitivamente. Nessuno oggi si
sognerebbe di revocare una deliberazione ideologica del Granducato di Toscana o
del Regno delle due Sicilie. Sono due stati che, storicamente, sono stati
aboliti, così come storicamente è stato sconfitto e abolito il fascismo, il suo
apparato istituzionale e il suo corpo ideologico.
Per dimostrare la fondatezza di questa
tesi, porterò un esempio sanminiatese. Durante il ventennio i nomi di alcune
strade e piazze cittadine subirono una ridenominazione in senso fascista:
piazza Giovacchino Taddei (già Piazza San Domenico) divenne piazza
dell’Impero, la piazzetta di fianco al
Municipio nel 1933 fu dedicata ad
Arnaldo Mussolini, l’antica via di
Sant’Andrea venne denominata viale Umberto
Pontanari (un “martire” della
rivoluzione fascista), la via di San Francesco fu ribattezzata viale 9 maggio,
a memoria della data dell’annessione dell’Etiopia e della costituzione
dell’impero. Queste denominazioni furono cambiate nel dopoguerra con due
provvedimenti che presentano modalità diverse. Per capire bisogna fare
attenzione alle date.
Il 2 agosto 1945 il Sindaco Concilio Salvadori
comunicò all'Ufficio di Stato Civile che con la Deliberazione dell’11 ottobre
1944, n. 18, venne provveduto alla modifica delle seguenti denominazioni di
alcune Vie e Piazze del Comune fra cui via 9 Maggio posta in Parrocchia
di S. Stefano prenderà il nome di via Don Minzoni, [...] Viale Umberto
Pontanari posto in Parrocchia di S. Stefano, prenderà il nome di Viale Giacomo
Matteotti, Piazza dell'Impero posta in Parrocchia di S. Iacopo e Lucia
prenderà il nome di Piazza del Popolo, […] Piazza A. Mussolini
posta in Parrocchia della Cattedrale, prenderà il nome di Piazza Beccaria [il
documento è pubblicato in San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Documenti e
cronache, Amministrazione Comunale San Miniato, Biblioteca
Comunale San Miniato, Giardini Editori, Pisa, 1986, p. 259].
Occorre notare che la prima delibera è dell’11 ottobre 1944, quando l’Italia era ancora divisa in due dalla guerra. La comunicazione del Sindaco all’Ufficio di Stato Civile è del 2 agosto 1945, a guerra conclusa, ma con il medesimo apparato istituzionale: l’Italia era ancora un regno, sul trono sedeva ancora Vittorio Emanuele III e il Governo era di unità nazionale, sotto la guida di Ferruccio Parri. Lo Stato di diritto era il medesimo, pertanto alle deliberazioni fasciste si oppone una nuova deliberazione antifascista.
Occorre notare che la prima delibera è dell’11 ottobre 1944, quando l’Italia era ancora divisa in due dalla guerra. La comunicazione del Sindaco all’Ufficio di Stato Civile è del 2 agosto 1945, a guerra conclusa, ma con il medesimo apparato istituzionale: l’Italia era ancora un regno, sul trono sedeva ancora Vittorio Emanuele III e il Governo era di unità nazionale, sotto la guida di Ferruccio Parri. Lo Stato di diritto era il medesimo, pertanto alle deliberazioni fasciste si oppone una nuova deliberazione antifascista.
Invece, nella seduta del Consiglio Comunale del 22
giugno 1946, l'Assessore Giulio Mario Conforti spiegò che la Piazza Vittorio
Emanuele, la piazzetta adiacente al Municipio e la via che va dall'Arco del
Seminario alla via Mangiadori, erano attualmente prive di targa e di
nome, per avvenuto abbattimento delle targhe indicative. Pertanto propose
al Consiglio:
(1) che la
Piazza Vittorio Emanuele venga denominata Piazza della Repubblica;
(2) che la piazza adiacente al Municipio venga
denominata Piazza Giuseppe Mazzini;
(3) che il tratto di via del Capoluogo, dall'arco
del Seminario alla via Mangiadori venga denominata Via Martiri del Duomo, in
omaggio alle Vittime innocenti che ignare della sorte che le attendeva, furono
spinte in chiesa dai tedeschi e quindi massacrate nel modo che tutti sanno. Il Consiglio approvò la proposta
all'unanimità, anche se la Prefettura di Pisa impose una variazione: da via
Martiri del Duomo a via Vittime del Duomo, visto che la vicenda, già all'epoca,
presentava contorni poco chiari e che solo dopo molti anni è stato possibile
far luce sul drammatico episodio che vide la morte di 55 civili la mattina del
22 luglio 1944 all'interno della Cattedrale [ASCSM, Archivio
Postunitario, Deliberazioni del Consiglio Comunale, F200 S010 UF19, Delibera
n. 21 del 22 giugno 1946].
In questo caso osserviamo che la delibera del 22
giugno 1946 fu approvata a pochissimi giorni dal Referendum Istituzionale e
dalla proclamazione della nascente Repubblica Italiana. Lo Stato istituzionale era
cambiato e per cambiare il nome alle vie e alle piazze non venne cancellata
alcuna deliberazione precedente. Semplicemente erano rimaste prive di
denominazione, per avvenuto abbattimento delle targhe indicative ed erano
spazi lasciati “vuoti”, dalla definitiva sconfitta della vecchia Italia
fascista e monarchica, che furono riempiti dalla nuova Italia democratica e
repubblicana. Non c’era più il bisogno di negare il passato, poiché il passato aveva
già perso il proprio valore. L’Assessore Conforti non nomina nemmeno due delle
tre vecchie denominazioni (piazza Arnaldo Mussolini e via Umberto I) poiché,
essendo cambiato lo Stato, non avevano più ragione d’esistere. L’unico citato è
Vittorio Emanuele, considerato un padre del Risorgimento, ma è stato un monarca
e l’Italia era ormai diventata una repubblica democratica, distante dal vecchio
modello di Stato monarchico e liberale.
In conclusione, la deliberazione del 1924 non ha più
alcun valore dal 1946, poiché le forze antifasciste hanno vinto la guerra e il
fascismo è stato sconfitto storicamente e definitivamente. Dalla guerra è nato
un nuovo Stato: repubblicano, democratico e antifascista. Revocare la
cittadinanza a Benito Mussolini, ovvero annullare la delibera del 1924,
significa affermare che quella determinazione ha conservato la propria validità
fino oggi, in aperta contraddizione con quanto affermato fin qui.
A chi sostiene che il Comune di San Miniato non
possa sottrarsi, dal momento che gli altri comuni della zona hanno revocato le
rispettive cittadinanze onorarie, rispondo che gli “errori” altrui non devono
giustificarne altri. E per errore mi riferisco a quel fenomeno, descritto da
Emilio Gentile, che vede la sostituzione della storiografia con l’astoriologia.
E’ corretto usare la storia per aggiornare i nostri criteri e cercare di comprendere
il presente attraverso le esperienze del passato, ma lasciamo il passato dov’è.
Sono consapevole che probabilmente queste mie parole
cadranno nel vuoto. Mi piacerebbe sapere cosa penseranno gli storici se fra
cent’anni troveranno una deliberazione sanminiatese del 2019 che revoca un
provvedimento del 1924. Se va bene ci si faranno una grassa risata, ma se va
male esprimeranno un giudizio molto severo. Fate vobis, ma non dite che
non ve l’aveva detto nessuno.
Non fa una grinza!!!
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