a
cura di Francesco Fiumalbi
In
questo post è proposta la trascrizione della voce dedicata ad una delle figure principali dell'800 sanminiatese, Augusto Conti [San Miniato, 5 dicembre 1822 – Firenze, 6 marzo
1905], contenuta
nel VI volume del Manuale
della Letteratura Italiana,
pubblicato per G. Barbera Editore, a Firenze nel 1910.
Il Manuale
fu redatto da Alessandro D'Ancora [Pisa, 20 febbraio 1835 –
Firenze, 8 novembre 1914] e Orazio Bacci [Castelfiorentino, 18
ottobre 1864 – Roma, 25 dicembre 1917] che condividevano col Conti
l'amore per le lettere e l'impegno in campo politico. Il primo fu
Senatore del Regno d'Italia e Sindaco di Pisa, l'altro fu Sindaco di
Firenze e attivissimo socio della Società Storica della Valdelsa.
Certamente ebbero modo di conoscere Augusto Conti in prima persona,
stimandolo, tanto da inserirlo nel volume del Manuale
dove
figurano, fra gli altri, i nomi di Edmondo De Amicis e Giosué
Carducci.
Augusto
Conti, ritratto ad incisione
contenuto
in A. D'Ancona e O. Bacci, Manuale
della Letteratura Italiana,
Vol.
VI, G. Barbera Editore, Firenze, 1910, v. Augusto Conti, p. 28:
Da
un punto di vista dei contenuti, si tratta di una piccola sintesi del
libro di Augusto Alfani,
Della vita e delle opere di Augusto Conti,
Alfani e Venturi, Firenze, 1906.
Quest'ultimo
testo rappresenta indubbiamente un'opera fondamentale per conoscere
ed apprezzare la poliedrica figura di Augusto Conti, ma ha il difetto
di contare oltre 500 pagine! La voce del Manuale
della Letteratura Italiana invece
rimane contenuta in poche paginette di facile lettura, che sono
proposte di seguito.
Estratto
da A. D'Ancona e O. Bacci, Manuale
della Letteratura Italiana,
Vol. VI, G. Barbera Editore, Firenze, 1910, v. Augusto Conti, pp.
27-31:
[027]
AUGUSTO
CONTI.
Nacque
il 5 dicembre del 1822 da Natale e da Maria Anna Passetti in una
villetta fabbricata dall'avo (livornese, ma di famiglia pisana), nel
popolo di S. Pietro alle Fonti presso S. Miniato al Tedesco (prov. di
Firenze). Del paese nativo descrisse la vista incantevole e la quieta
bellezza in più luoghi dei suoi libri.
Da
prima, com'egli stesso ci narrò in alcuni ricordi, frequentò le
regie scuole di S. Miniato. E in quella sua prima giovinezza,
inclinando a seguire il sensismo e lo scetticismo in filosofia, ebbe
un periodo di miscredenza, che doveva poi vivamente deplorare, e che
volle quasi espiare con i sempre più accesi fervori religiosi.
Cominciati gli studj di legge nell'Università di Siena, li proseguì
a Pisa, per terminarli e laurearsi a Lucca (che ebbe allora una
[028]
specie
di piccola università) «poiché da Pisa, scrive il suo biografo
Augusto Alfani, per un non lieve trascorso giovanile, di cui si dolse
amaramente fino ai suoi ultimi anni, fu costretto ad esulare.»
Praticante
d'avvocatura a Firenze, nel 1848 si arruolò volontario e combatté,
sottotenente portabandiera del 2° battaglione fiorentino, a
Montanara, a Valleggio, a Custoza, a Villafranca.
Tornato
dal campo, fu dal 10 gennaio 1849 professore di filosofia nelle regie
scuole di S. Miniato (con decreto del Ministro Franchini, essendo
dittatore il Guerrazzi): per le quali scuole gli è merito di aver
poi ott'anni dopo raccomandato Giosuè Carducci.
(01)
Veniva,
peraltro, esercitando con grande fortuna l'avvocatura, cui rinunciò
poi del tutto, allorché fu nominato (dal 30 dicembre 1855)
supplente, e poi (dal 10 novembre 1856) titolare nella cattedra di
filosofia del R. Liceo di Lucca.
Nel
1859 dal Lambruschini, ispettore generale degli studj per la Toscana,
fu invitato a Firenze come ispettore per la filosofia e le lettere
nelle scuole classiche. Nominato quindi (12 marzo 1860), per il suo
desiderio di tornare all'insegnamento, professore titolare di Diritto
naturale e di Gius delle genti nell'Università di Siena, non vi
andò, perché ai 3 novembre dello stesso anno fu incaricato della
Storia della filosofia nell'Istituto di studj superiori in Firenze:
andò poi, nell'ottobre del 1862, ordinario della disciplina stessa
all'Università di Pisa, e nel 1867 fu restituito dal ministro
Coppino a Firenze con la cattedra di Filosofia razionale e morale,
che occupò sino al 1° novembre del 1899, avendo per alcun tempo
(1872-77) pure l'incarico della storia della filosofia.
Fu
anche nella vita pubblica: consigliere comunale della sua città;
membro, dal 1864 al '67, del Consiglio superiore dell'istruzione; dal
1875, per molti anni consigliere, e dal 1878, per sette anni,
assessore del Comune, e, inoltre, consigliere della Provincia di
Firenze. Dal 1866, per due legislature, fu deputato al Parlamento.
Allo studio di opportune riforme nelle scuole, all'Associazione
nazionale per soccorrere i missionarj italiani dette opera e
consiglio: nel suo programma politico mirò, come altri egregj, alla
formazione d' un partito conservatore-cattolico, respingendo però
[029]
Il
nome di clericale (Lettera al giornale L'Opinione del 3 dicembre
1865). Fu socio dei Lincei e di molte altre insigni accademie:
residente della Crusca dal 1869, e ne fu Arcìconsolo dal 1873 al
1883 e, di nuovo, dal 1895 sino alla morte.
Viaggiò
assai in Italia e fuori, osservando, studiando, e scrivendo dei suoi
viaggi coerentemente ai suoi fini patriottici, scientifici,
religiosi. Fu in stretta relazione con illustri uomini, e massime con
artisti, quali l'Ussi, il Ciseri, il Duprè, il De Fabris, che si
giovò molto, forse troppo, per la facciata di S. Maria del Fiore dei
consigli del Conti: questi la descrisse in Religione ed Arte.
Carattere
vigoroso e schietto, contenne e indirizzò le energie, talora
irrefrenabili, del suo temperamento, verso l'ideale d'una cultura e
d'una educazione fondate sulla religione cattolica, alla quale
professò fede coraggiosa ed aperta sino all'ultimo di sua vita.
G.
Barzellotti (nello scritto che citeremo in fine) cosi ne giudicò:
«Augusto Conti è stato uno degli uomini di maggior valore, che oggi
abbia avuto il nostro paese, e di maggiore autorità, specie sui
giovani. L'autorità gli veniva, non tanto da un'azione astrattamente
speculativa del suo pensiero sulle menti, quanto dall'intima forza di
suggestione morale, che era nell'uomo. Coloro, i quali in lui non
degnano di vedere un filosofo, solo perché la sua mente non era
fatta ad immagine e a similitudine della loro, dimenticano, fra le
altre cose, come, secondo quella tradizione secolare, per cui la
filosofia è stata sopra tutto un'eroica scuola di alti caratteri,
debba ravvisarsi assai maggior somma di valore filosofico umano in un
forte e coerente pensiero, trasfuso tutto, com'era il suo, in una
nobile vita, che non in teorie astratte e artificiose, spesso
alienissime dalla realtà e dagli animi umani, professate a fior di
labbra, fatte anche non di rado servire a interessi di clientela, di
partito e di setta.»
Mori
a Firenze il 6 marzo del 1905 nel villino che era stato di Stefano
Ussi.
Le
sue principali opere filosofiche sono: Evidenza, Amore e Fede
(Firenze, Le Monnier, 1858); Storia della filosofia (Firenze,
Barbèra, 1864); La filosofia elementare, in collaborazione col suo
scolaro Vincenzo Sartini (Firenze, Barbèra, 1869); Il Bello nel Vero
(Firenze, Le Monnier, 1872); Il Buono nel Fero (Ivi, 1873); Il Vero
nell'Ordine (Ivi, 1876); L'armonia delle cose (Ivi, 1878) ; Un Cenno
di tutta la filosofia è nell'Armonia delle cose (2a ediz. Succ. Le
Mounier, 1888). E anche negli altri scritti ritorna e si riflette il
suo sistema filosofico, come in ciò che scrisse di Galileo, di Paolo
Savi, di Maurizio Bufalini.
Altri
lavori (scrisse anche, da giovane, alcune tragedie e una ne pubblicò:
Bondelmonte, Firenze, Galileiana, 1868) sono: I discorsi del tempo
(Firenze, Cellini, 1867); I nuovi discorsi del tempo (Firenze,
Salesiana, 1896-97); Cose di Storia e d'Arte (Firenze, Sansoni,
1874); Religione ed arte (Firenze, Barbèra, 1891); [030]
Letteratura
e patria (Ivi, 1892); Sveglie dell'anima, Il Messia; discorsi su S.
Francesco d'Assisi, su Stefano Ussi, pei morti di Curtatone e
Montanara; e, per la Crusca, quelli dei centenarj del Petrarca, di
Michelangiolo, del Tasso.
Minori
scritti biografici, versi come un volumetto di Saggi lirici (Firenze,
Le Mounier, 1847), iscrizioni (e si hanno a stampa anche non poche
sue lettere) disseminò in periodici, come La famiglia e la scuola
del Lambruschini, nella Rosa d'ogni mese da lui compilata con Enrico
Bindi e con Cesare Guasti, o proemiando a opere altrui, come alle
Prose di Galileo.
Della
sua lunga attività d'insegnante e filosofo (non pochi valentuomini
uscirono dalla sua scuola) disse l'Alfani essere stato obbietto
«mostrare nella tradizione scientifica e nella coscienza universale
la perennità e la progressione del pensiero filosofico e di
confutare lo scetticismo in se e nei suoi effetti». Filosofi di
diverse tendenze e scuole riconobbero quello che di sostanzialmente
fecondo si ha nella copiosa e organica raccolta dei suoi libri. Molto
severamente, invece, fu il Conti giudicato da altri. In ogni modo,
qualunque sia il pregio intrinseco del suo pensiero filosofico, non
si possono dimenticare le sue qualità di scrittore.
Egli
è espositore lucido, eloquente, animatore, con artificj talora un
po' visibili, della materia dottrinale: uno de' più notevoli
prosatori di cose morali. E anche trattò d'arte, religione, politica
con parola facile, colorita, toscanamente efficace. Troppe e troppo
piccole cose lasciò, bensì, correre stampate nei suoi ultimi anni,
quando, divenuto cieco, meno potè limare gli scritti che dettava.
[Per
la vita e per l'opera del Conti, vedi specialmente A. ALFANI, Della
vita e delle opere di A. C, Firenze, Alfani e Venturi, 1906; e dello
stesso L'Elogio di A. C, letto alla Crusca il 7 gennaio 1906, in Atti
della R. Accademia della Crusca (anno 1904-1905). Inoltre : Augusto
Conti, Ricordi del prop. G. Conti e miei e opere di Amalia Duprè
nella Cattedrale di S. Miniato, Firenze, Galileiana, 1871 : molti
ricordi autobiografici sono anche nelle Sveglie dell'anima; A.
LINAKER e altri. Alla venerata memoria di A. C, S. Miniato, Taviani,
1906; e dello stesso A. Conti nella famiglia, in Rassegna nazionale
del 16 aprile 1905; P. L. Ferretti, A. C. ricordo: estr. dal
Periodico Rosario, memorie domenicane, anno XXI, 1905; L. M. Zampini,
A.C. e le sue Ricreazioni, Firenze, Scuola tip. Salesiana, 1897. Vedi
anche il
[031]
giornale
La Nazione dell' 8-9 marzo 1905; del Conti parlò con acume e
serenità G. Barzellotti ai Lincei; vedi quel discorso Due filosofi
italiani A. Conti e C. Cantoni anche nella Nuova Antologia del 16
luglio 1908. Per lettere, giudizj, di A, Conti vedi gli Annali
bibliografici Barbèra, pagg. 170, 251, 383, 422, 478, 482.]
A.
D'Ancona e O. Bacci, Manuale
della Letteratura Italiana,
Vol.
VI, G. Barbera Editore, Firenze, 1910,
frontespizio
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