domenica 6 luglio 2025

PERCHE’ ANCORA NON PASSA LA VERITA’ STORICA SULLA STRAGE DEL DUOMO DI SAN MINIATO?

di Francesco Fiumalbi

Ci risiamo. Ancora. Purtroppo.
A distanza di 81 anni da quel tragico 22 luglio 1944, ancora ci si ostina a raccontare mezze verità. Ad esporre la storia con allusioni e omissioni. È veramente spiacevole dover assistere a certe cose, specialmente se tutto questo si consuma sul principale canale televisivo della televisione pubblica italiana. E, soprattutto, la domanda è sempre la stessa da oltre otto decenni: perché? Perché non dire come sono andate veramente le cose? Perché lasciare un non detto che non rende giustizia alle vittime della Strage?

Nel pomeriggio di sabato 5 luglio 2025 è andata in onda una puntata del programma televisivo “A Sua immagine”, curato da Padre Gianni Epifani e Laura Misiti, condotto da Lorena Bianchetti, prodotto dalla RAI in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana e trasmesso su RAI 1. In particolare, nella rubrica “Le ragioni della Speranza”, è stata posta attenzione sulla tappa della via Francigena fra Altopascio e San Miniato. Protagonisti alcuni giovani guidati da don Giordano Goccini, presbitero della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla, attento a collegare i temi della puntata, quali la pace e l’accoglienza, con il Vangelo di domenica 6 luglio 2025 [Lc 10,1-12.17-20]. E’ possibile rivedere la puntata su RAIPLAY a questo link.

Tralasciamo che sono state trasmesse bellissime immagini panoramiche di San Miniato mentre i protagonisti si trovavano ad Altopascio, come se chi ha fatto il montaggio non abbia partecipato alle riprese, mescolando il tutto, con il rischio di confondere il telespettatore che non conosce i luoghi. Non è questo il punto.

Una volta raggiunta San Miniato, i protagonisti hanno incontrato il Sig. Angiolino ai loggiati di San Domenico, proprio di fronte al Museo della Memoria. Di seguito riportiamo i dialoghi:

Don Giordano Goccini: «Dopo una bella salita, siamo arrivati a San Miniato, una città incantevole, qui sulla collina. E qui purtroppo nel ‘44 è successo un terribile eccidio. Ne parliamo con uno dei testimoni di allora: Angiolino. Buongiorno».

Angelo Salvadori: «Buongiorno, Angiolino. Ero un bambino, a quei giorni, di 12 anni. Purtroppo io in San Miniato non c’ero, io abitavo a Calenzano, una frazione a distanza di 3 km da San Miniato. Quello che successe in chiesa, lo racconto per sentito dire, di gente che erano scappate dalla chiesa, dicevano che era avvenuta un’esplosione in chiesa e che era successo questo eccidio. Io ricordo la gente che era arrivata laggiù (a Calenzano) e raccontarono che era esploso roba in chiesa. Fu una carneficina lì».

Ragazzo: «Questo evento è ancora vivo nel ricordo e nella memoria di questa città. Quanto è importante, secondo te, fare memoria al giorno d’oggi?».

Angelo Salvadori: «Tanto, è tanto importante, soprattutto per i giovani, per le scuole, perché non vengano dimenticate queste tragedie che successero in Italia in quei giorni».

Ragazza: «E cosa pensa quando, ancora oggi, si sentono notizie di guerra?».

Angelo Salvadori: «Bah, penso male, alla mia età queste notizie mi fanno tanto male. Tanto, tanto. Soprattutto per voi giovani. Io, ormai, la mia età l’ho raggiunta. È per voi giovani che mi fa male questa cosa». [si commuove]

Ragazzo: «Come mai la gente si era radunata dentro la chiesa?».

Angelo Salvadori: «Furono portati apposta e a forza. I tedeschi sono andati per le case a prelevarli e a forza vennero portati in chiesa, tutti. E chi non andava era spinto con il fucile e tutti in chiesa. Ad un certo punto hanno chiuso le porte della chiesa ed è successo quello che è successo».

Don Giordano Goccini:
«Una cosa sappiamo di certo: che queste persone erano vive e poi sono morte per un atto di violenza. Ed è morto importante restituire un nome alle vittime. In questo tempo parliamo tanto di pace, perché sentiamo tantissime notizie come questa e ci chiediamo, come si fa a fare la pace? Ci sembra qualcosa di irraggiungibile. Nel Vangelo di questa domenica… […]».

Non vogliamo puntare il dito contro Angelo Salvadori, detto Angiolino, che materialmente ha pronunciato le frasi su cui poniamo l’attenzione. Non si tratta di uno storico ed era visibilmente emozionato. Piuttosto sul “sistema” che ha gestito la comunicazione e le informazioni che sono state trasmesse. C’era tutto il tempo e il modo per aggiungere quel pezzo di storia che manca: ovvero che i tedeschi avevano sì radunato la popolazione in chiesa, non solo in Duomo, ma anche in San Domenico, perché fu ritenuto l’unico modo per gestire migliaia di persone con una manciata di uomini, in attesa della “battaglia”. E perché non dire che, mentre le persone erano in chiesa, ebbe luogo un violento cannoneggiamento statunitense che interessò tutta l’area intorno alla Cattedrale e che un colpo di artiglieria americana penetrò all’interno del Duomo compiendo la strage?

Per esempio poteva dirlo Don Giordano Goccini quando, di fronte all’Episcopio e alla Cattedrale, rivolgendosi ai ragazzi che lo accompagnano, sottolinea ancora una volta il valore della memoria. E perché, invece di coinvolgere un testimone indiretto, che per sua ammissione non era presente e racconta “per sentito dire”, non coinvolgere anche un testimone diretto, qualcuno che la mattina del 22 luglio 1944 si trovava davvero in Cattedrale, come il sig. Giuseppe Chelli che ha speso tutta la sua vita, anche attraverso importanti documentari video, per raccontare e ricostruire quel fatto di guerra che gli tolse l’affetto del fratello Carlo e condannò la sua famiglia ad un dolore indicibile?

Poteva essere una lezione ancora più profonda in cui veicolare con maggior forza i valori della memoria e della pace. La cosiddetta Campagna d’Italia condotta dagli Alleati consentì all’Italia di riscattarsi dal fascismo e dall’alleanza con il nazismo, permise al Paese di risollevarsi, di costruire finalmente uno Stato democratico e repubblicano.

Ma il prezzo pagato fu altissimo.

Non solo per le stragi e i crimini di guerra fascisti e nazisti (per rimanere vicino possiamo ricordare il Padule di Fucecchio), ma anche per la morte di decine di migliaia di civili sotto le bombe degli Alleati. A Pisa non hanno problemi a parlare del bombardamento del 31 agosto 1943 con oltre 1000 vittime. Per non parlare dei ripetuti bombardamenti che subì Livorno con centinaia di persone che persero la vita. Oppure del bombardamento di Empoli del 26 dicembre 1943 (123 vittime). Ed ancora, rimanendo a San Miniato, numerosi civili rimasero vittime di incursioni aeree come nel bombardamento della Stazione di San Miniato che determinò la morte di 4 persone o nel bombardamento di Ponte a Egola con 6 vittime. E poi la stragi dovute ai cannoneggiamenti, come quella di Valicandoli con 6 vittime o quella della Crocetta con 5 persone uccise.

Non si capisce proprio che bisogno ci sia di non dire che la strage è stata una fatalità determinata dalla strategia militare degli americani, che conducevano una guerra quantitativa, compensando con il numero di uomini, di mezzi e di proiettili, la superiorità tattica e addestrativa dei tedeschi. Si è trattato di una leggerezza o è stata una cosa voluta? Non so dire se sia peggio che la circostanza sia il frutto di ignoranza e di leggerezza su un tema del genere o il risultato di un goffo tentativo di manipolare la storia.

Il decreto di archiviazione del Tribunale Militare de La Spezia del 2002 ha escluso responsabilità tedesche. Numerose pubblicazioni a cura di Paolo Paoletti, Claudio Biscarini, Giuliano Lastraioli e molti altri hanno ricostruito con dovizia di dettagli cosa è successo prima, durante e dopo la strage da un punto di vista militare. Nel volume di Carlo Gentile I crimini di guerra tedeschi in Italia (Einaudi, 2022) non compare la strage di San Miniato. E neppure è presente nell’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, realizzato a cura dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (ex Insmli) e Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi) e finanziato tramite il fondo italo-tedesco per il futuro tramite l’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma e completato nel 2016.

Quante volte, in anni più recenti, abbiamo assistito durante i telegiornali a notizie di stragi di civili in Iraq o in Afganistan, colpiti per errore durante operazioni militari. Gli americani e gli inglesi ci hanno fatto anche dei film sui “collateral demages”, sui danni collaterali che possono produrre le azioni di guerra. Per brevità, cito solamente “Il diritto di uccidere” (in lingua originale Eye in the sky), diretto da Gavin Hood e uscito nelle sale nel 2015. Nel film il protagonista deve uccidere con un ordigno un gruppo di terroristi che stanno pianificando un attentato in Kenia, ma si trova davanti un insormontabile dilemma morale: proprio vicino al covo è presente una bambina che nulla ha a che fare con i terroristi. Il protagonista riesce a far rivalutare le modalità dell’operazione e alla fine la bambina si salva. A San Miniato, a Pisa, a Livorno, ad Empoli e in altre centinaia di città italiane, non sono stati così fortunati. La realtà spesso può essere molto più drammatica della finzione. In guerra sparano tutti, sia quelli che riteniamo “buoni” che i “cattivi”, e le pallottole, i proietti o le bombe non guardano in faccia a nessuno. Quindi un motivo in più per ribadire che la guerra è morte e distruzione e sottolineare il messaggio di pace a cui voleva tendere la trasmissione televisiva.



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