di Francesco Fiumalbi
Ci risiamo. Ancora. Purtroppo.
A distanza di 81 anni da quel tragico 22
luglio 1944, ancora ci si ostina a raccontare mezze verità. Ad esporre la
storia con allusioni e omissioni. È veramente spiacevole dover assistere a
certe cose, specialmente se tutto questo si consuma sul principale canale
televisivo della televisione pubblica italiana. E, soprattutto, la domanda è
sempre la stessa da oltre otto decenni: perché? Perché non dire come sono
andate veramente le cose? Perché lasciare un non detto che non rende giustizia
alle vittime della Strage?
Nel pomeriggio di sabato 5 luglio 2025 è
andata in onda una puntata del programma televisivo “A Sua immagine”, curato da
Padre Gianni Epifani e Laura Misiti, condotto da Lorena Bianchetti, prodotto
dalla RAI in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali
della Conferenza Episcopale Italiana e trasmesso su RAI 1. In particolare,
nella rubrica “Le ragioni della Speranza”, è stata posta attenzione sulla tappa
della via Francigena fra Altopascio e San Miniato. Protagonisti alcuni giovani
guidati da don Giordano Goccini, presbitero della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla,
attento a collegare i temi della puntata, quali la pace e l’accoglienza, con il
Vangelo di domenica 6 luglio 2025 [Lc 10,1-12.17-20]. E’ possibile rivedere la
puntata su RAIPLAY a questo link.
Tralasciamo che sono state trasmesse
bellissime immagini panoramiche di San Miniato mentre i protagonisti si
trovavano ad Altopascio, come se chi ha fatto il montaggio non abbia
partecipato alle riprese, mescolando il tutto, con il rischio di confondere il
telespettatore che non conosce i luoghi. Non è questo il punto.
Una volta raggiunta San Miniato, i
protagonisti hanno incontrato il Sig. Angiolino ai loggiati di San Domenico,
proprio di fronte al Museo della Memoria. Di seguito riportiamo i dialoghi:
Don Giordano Goccini: «Dopo una bella salita, siamo arrivati a San Miniato,
una città incantevole, qui sulla collina. E qui purtroppo nel ‘44 è successo un
terribile eccidio. Ne parliamo con uno dei testimoni di allora: Angiolino.
Buongiorno».
Angelo Salvadori: «Buongiorno,
Angiolino. Ero un bambino, a quei giorni, di 12 anni. Purtroppo io in San
Miniato non c’ero, io abitavo a Calenzano, una frazione a distanza di 3 km da
San Miniato. Quello che successe in chiesa, lo racconto per sentito dire, di
gente che erano scappate dalla chiesa, dicevano che era avvenuta un’esplosione
in chiesa e che era successo questo eccidio. Io ricordo la gente che era arrivata
laggiù (a Calenzano) e raccontarono che era esploso roba in chiesa. Fu
una carneficina lì».
Ragazzo: «Questo evento è ancora vivo nel ricordo e nella
memoria di questa città. Quanto è importante, secondo te, fare memoria al
giorno d’oggi?».
Angelo Salvadori: «Tanto, è tanto importante, soprattutto per i
giovani, per le scuole, perché non vengano dimenticate queste tragedie che
successero in Italia in quei giorni».
Ragazza: «E cosa pensa quando, ancora oggi, si sentono notizie
di guerra?».
Angelo Salvadori: «Bah, penso male, alla mia età queste notizie
mi fanno tanto male. Tanto, tanto. Soprattutto per voi giovani. Io, ormai, la
mia età l’ho raggiunta. È per voi giovani che mi fa male questa cosa». [si
commuove]
Ragazzo: «Come mai la gente si era radunata dentro la chiesa?».
Angelo Salvadori: «Furono portati apposta e a forza. I
tedeschi sono andati per le case a prelevarli e a forza vennero portati in
chiesa, tutti. E chi non andava era spinto con il fucile e tutti in chiesa. Ad
un certo punto hanno chiuso le porte della chiesa ed è successo quello che è
successo».
Don Giordano Goccini:
«Una cosa sappiamo di certo: che queste persone erano
vive e poi sono morte per un atto di violenza. Ed è morto importante restituire
un nome alle vittime. In questo tempo parliamo tanto di pace, perché sentiamo
tantissime notizie come questa e ci chiediamo, come si fa a fare la pace? Ci
sembra qualcosa di irraggiungibile. Nel Vangelo di questa domenica… […]».Non vogliamo puntare il dito contro Angelo
Salvadori, detto Angiolino, che materialmente ha pronunciato le frasi su cui
poniamo l’attenzione. Non si tratta di uno storico ed era visibilmente
emozionato. Piuttosto sul “sistema” che ha gestito la comunicazione e le
informazioni che sono state trasmesse. C’era tutto il tempo e il modo per
aggiungere quel pezzo di storia che manca: ovvero che i tedeschi avevano sì
radunato la popolazione in chiesa, non solo in Duomo, ma anche in San Domenico,
perché fu ritenuto l’unico modo per gestire migliaia di persone con una
manciata di uomini, in attesa della “battaglia”. E perché non dire che, mentre
le persone erano in chiesa, ebbe luogo un violento cannoneggiamento statunitense
che interessò tutta l’area intorno alla Cattedrale e che un colpo di
artiglieria americana penetrò all’interno del Duomo compiendo la strage?
Per esempio poteva dirlo Don Giordano
Goccini quando, di fronte all’Episcopio e alla Cattedrale, rivolgendosi ai
ragazzi che lo accompagnano, sottolinea ancora una volta il valore della
memoria. E perché, invece di coinvolgere un testimone indiretto, che per sua
ammissione non era presente e racconta “per sentito dire”, non coinvolgere anche
un testimone diretto, qualcuno che la mattina del 22 luglio 1944 si trovava davvero
in Cattedrale, come il sig. Giuseppe Chelli che ha speso tutta la sua vita,
anche attraverso importanti documentari video, per raccontare e ricostruire quel
fatto di guerra che gli tolse l’affetto del fratello Carlo e condannò la sua
famiglia ad un dolore indicibile?
Poteva essere una lezione ancora più
profonda in cui veicolare con maggior forza i valori della memoria e della pace.
La cosiddetta Campagna d’Italia condotta dagli Alleati consentì all’Italia di riscattarsi dal fascismo
e dall’alleanza con il nazismo, permise al Paese di risollevarsi, di costruire
finalmente uno Stato democratico e repubblicano.
Ma il prezzo pagato fu altissimo.
Non solo per le stragi e i crimini di
guerra fascisti e nazisti (per rimanere vicino possiamo ricordare il Padule di
Fucecchio), ma anche per la morte di decine di migliaia di civili sotto le
bombe degli Alleati. A Pisa non hanno problemi a parlare del bombardamento del
31 agosto 1943 con oltre 1000 vittime. Per non parlare dei ripetuti
bombardamenti che subì Livorno con centinaia di persone che persero la vita.
Oppure del bombardamento di Empoli del 26 dicembre 1943 (123 vittime). Ed
ancora, rimanendo a San Miniato, numerosi civili rimasero vittime di incursioni
aeree come nel bombardamento
della Stazione di San Miniato che determinò la morte di 4 persone o nel bombardamento
di Ponte a Egola con 6 vittime. E poi la stragi dovute ai
cannoneggiamenti, come quella di Valicandoli
con 6 vittime o quella della Crocetta
con 5 persone uccise.
Non si capisce proprio che bisogno ci
sia di non dire che la strage è stata una fatalità determinata dalla strategia
militare degli americani, che conducevano una guerra quantitativa, compensando
con il numero di uomini, di mezzi e di proiettili, la superiorità tattica e
addestrativa dei tedeschi. Si è trattato di una leggerezza o è stata una cosa
voluta? Non so dire se sia peggio che la circostanza sia il frutto di ignoranza
e di leggerezza su un tema del genere o il risultato di un
goffo tentativo di manipolare la storia.
Il decreto
di archiviazione del Tribunale Militare de La Spezia del 2002 ha escluso responsabilità
tedesche. Numerose pubblicazioni a cura di Paolo Paoletti, Claudio Biscarini,
Giuliano Lastraioli e molti altri hanno ricostruito con dovizia di dettagli
cosa è successo prima, durante e dopo la strage da un punto di vista militare.
Nel volume di Carlo Gentile I
crimini di guerra tedeschi in Italia (Einaudi, 2022) non compare la
strage di San Miniato. E neppure è presente nell’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste
in Italia, realizzato a cura dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri
(ex Insmli) e Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi) e finanziato
tramite il fondo italo-tedesco per il futuro tramite l’Ambasciata della
Repubblica Federale di Germania a Roma e completato nel 2016.
Quante volte, in anni più recenti,
abbiamo assistito durante i telegiornali a notizie di stragi di civili in Iraq
o in Afganistan, colpiti per errore durante operazioni militari. Gli americani e
gli inglesi ci hanno fatto anche dei film sui “collateral demages”, sui danni
collaterali che possono produrre le azioni di guerra. Per brevità, cito
solamente “Il diritto di uccidere” (in lingua originale Eye in the sky),
diretto da Gavin Hood e uscito nelle sale nel 2015. Nel film il protagonista
deve uccidere con un ordigno un gruppo di terroristi che stanno pianificando un
attentato in Kenia, ma si trova davanti un insormontabile dilemma morale:
proprio vicino al covo è presente una bambina che nulla ha a che fare con i
terroristi. Il protagonista riesce a far rivalutare le modalità dell’operazione
e alla fine la bambina si salva. A San Miniato, a Pisa, a Livorno, ad Empoli e
in altre centinaia di città italiane, non sono stati così fortunati. La realtà
spesso può essere molto più drammatica della finzione. In guerra sparano tutti,
sia quelli che riteniamo “buoni” che i “cattivi”, e le pallottole, i proietti o
le bombe non guardano in faccia a nessuno. Quindi un motivo in più per ribadire
che la guerra è morte e distruzione e sottolineare il messaggio di pace a cui
voleva tendere la trasmissione televisiva.