sabato 23 novembre 2013

MARIA CATERINA DEL MAZZA - SUPERIORA DEL MONASTERO DELLA SS. ANNUNZIATA A SAN MINIATO

a cura di Francesco Fiumalbi

Maria Caterina Del Mazza nacque a Livorno il 26 marzo del 1672. Dopo un infanzia difficile, trascorsa per lo più nella casa degli zii a Firenze, vestì l'abito domenicano nel Monastero della SS. Annunziata di San Miniato (oggi Hotel San Miniato). Vi fece ingresso il 24 giugno 1696 all'età di 24 anni, prendendo il nome di Teresa Caterina Maria. Nel 1703 fu eletta Superiora, carica che le fu rinnovata per ben due volte fino alla sua morte, avvenuta il 12 gennaio 1710, quando aveva 38 anni.


Monaca con abito dell'Ordine Domenicano

Le sue spoglie furono sepolte all'interno del perimetro del monastero, almeno fino alla prima metà dell'800. Dopo la soppressione del 1810 e il definitivo abbandono monache del 1850, nel 1853 la salma assieme ad alcuni "strumenti di penitenza" fu quindi traslata e tumulata all'interno della chiesa dei SS. Jacopo e Lucia (San Domenico), presso la Cappella Rimbotti o dell'Annunziata, collocata alla destra dell'altare e chiamata anche di San Vincenzo Ferreri. I resti furono accertati nel 1976 (D. Lotti, San Miniato Vita di un'antica Città, SAGEP, Genova, 1980, p. 479).
Durante la sua guida, per interessamento del Vescovo di San Miniato mons. Francesco Maria Poggi, il monastero ottenne dal Papa Clemente XI il riconoscimento ufficiale della regola di San Domenico, a cui era stato sottoposto a partire dal 1672 grazie al decreto del Vescovo mons. Carlo Corsi. La sua condotta proba, le valse una sorta di venerazione popolare, tanto che nei testi in cui viene rammentata o citata, spesso le viene attribuito impropriamente il titolo di “Beata”, e le spoglie sono indicate come “reliquie”. Nei 14 anni in cui fu Superiora il convento fu ampliato e ornato.
Un'unica testimonianza iconografica relativa a Maria Caterina Del Mazza, sembra essere un quadro in cui è raffigurata nell'atto di ricevere dal Papa Clemente XI il breve col quale viene confermata, ufficialmente, la regola domenicana per il monastero della SS. Annunziata. Sembra che il dipinto fosse visibile all'interno del Convento di San Domenico, almeno fino agli anni '60 del XIX secolo.

Ex-Monastero della SS. Annunziata
erroneamente detto di San Martino
Foto di Francesco Fiumalbi

BIBLIOGRAFIA:
Giuseppe Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, Tip. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 60-61
Francesco Pera, Ricordi e biografie livornesi, Francesco Vigo Editore, Livorno, 1867, pp. 157-162.

Di seguito sono proposti gli estratti dalle pubblicazioni:

Estratto da Giuseppe Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, Tip. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 60-61, 65-66.

[060] « […] Mauro Corsi, ai 7 marzo 1672, deliberò di appagare i loro voti, dando loro l'abito di S. Domenico e la sua regola, e dichiarandole domenicane del prim'ordine. Ma poiché tutto questo senza l'approvazione della santa [061] sede erasi fatto, le religiose, temendone l'irregolarità, al pontefice Clemente XI, per mezzo del vescovo Poggi, si rivolsero, il quale, nel 1706, l'operato di mons. Corsi confermava. Allora il Poggi, con molta solennità, di tutte quelle suore riceveva la professione sulla regola di S. Domenico, e alla pubblica festa prese parte con gioia la popolazione. Il 24 giugno 1696 v'indossava l'abito religioso la giovane livornese Maria Caterina del Mazza, cui fu posto nome Teresa, Caterina, Maria; ai 29 giugno dell'anno seguente faceva la professione, e il 12 gennaio 1710 di questa vita passava a soli 38 anni. Ebbe sempre fierissime infermità (dico le cronache del monastero) e pazienza invitta. Di anni 31 fu eletta priora e confermata due volte. Monastero e chiesa restaurò e ornò; fecevi rifiorire l'osservanza e la vita comune. Efficacemente concorse ad ottenere il breve di Clemente XI; fu benedizione del suo monastero, dove non visse che 14 anni; vi morì in odore di santità, e le sue reliquie si conservano nella chiesa di S. Domenico. Il prof. Francesco Pera ha scritto la sua tra le Biografie Livornesi. [...]» 
[065] «[...] Quella [la cappella, n.d.r.] che segue, dedicata a S. Vincenzo Ferreri, era della famiglia Armaleoni. Nella nicchia, che vi si trova, fu [066] collocato, l'anno 1853, un crocifisso, che nel monastero della SS. Annunziata ebbe grande venerazione; sotto il quale si riposero, in tre distinte cassette, le reliquie della domenicana venerabile suor Maria Teresa del Mazza livornese, cioè: teschio, ossa, strumenti di penitenza. [...]».

Ex-chiesa della SS. Annunziata
erroneamente detta di San Martino
Oggi Auditorium e sala congressi
Foto di Francesco Fiumalbi

Estratto da Francesco Pera, Ricordi e biografie livornesi, Francesco Vigo Editore, Livorno, 1867, pp. 157-162.

[157] MARIA DEL MAZZA. «Nelle vite degli antichi talora si legge, che il nascere di creature destinate a nobili fatti suole accompagnarsi a qualche circostanza notevole, quasiché la natura voglia dar segno di opera elaborata con magistero più fino. Se ciò potesse mai esser vero, troverebbesi qualcosa di osservabile pur nella nascita di Maria del Mazza: che la madre Alessandra essendo incinta di lei un giorno le venne fatto rigettare, senza rendersi ragione del rifiuto, una pietanza che molto le piaceva, offertale con insistenza dal suo consorte Benedetto; e questi allorché n'ebbe gustata corse rischio della vita, mentre un animale domestico per averne mangiata, poco stante morì. Superato dunque il pericolo della morte nel seno materno, Marietta venne [158] alla luce in Livorno a' dì 26 Marzo 1672. In età di cinque anni appena mostravasi schiva di quelle carezze che si usano ai bambini, educando fin d'allora l'anima tenerella a mirabile austerezza di vita per l'imitazione del Redentore , dinanzi alla cui immagine pregava tanto e piangeva. Prima testimone del suo fervore si fu la città di Firenze, dove trienne fu condotta dal genitore presso gli zii, ed ebbe educazione religiosa dai Padri Filippini, per la cui opera non è a dire quanto andasse innanzi nelle vie del Signore. Fanciullina di sette anni sapeva sottrarre qualche ora al sonno per occuparla nella preghiera; e nel giorno quando trovavasi con le sue piccole compagne, era bello vederla ripetere in sua maniera semplice e divota qualche utile avvertimento imparato a scuola o in famiglia, e insegnar l'abbiccì alle più ignorantelle, e mettere in mano con sorriso di gentil carità alle più poverine qualche quattrinello con puerile industria raccolto in famiglia; e tutte intrattenerle in certi giorni con prieghi e buone letture. Le quali cose faceva con tanto garbo, che innamorava solo a vederla; imperocché oltre alle rare doti dell'animo, aveva sortito da natura avvenenza di aspetto e grazia della persona. Di che non mai s'invanì: anzi come prima si accorse di tendere per nativa inclinazione ad ornarsi con qualche eleganza, scelse vesti grosse e dispette a velamento del suo corpicciuolo. Onde non è meraviglia se l'esempio ebbe grande efficacia sull'animo pur degli adulti, cominciando dalla sua zia, che cessò le troppo ricche vestimenta, e certi fronzoli men convenienti a donna cristiana, per indossare umili e semplici abiti, foggiati su quelli della buona nipote. Il padre medesimo, assai viziato nel giuoco, derivò in questo modo il suo emendamento dalla figliuoletta assennata. Una volta essendo rimasto al tutto sfornito di mezzi per nutrire la passione insaziabile, addimandò pecunia ai fratelli. Ma questi, per non aggiugnere esca a quel fuoco, [159] negarono. Non vi volle altro perché lo sciagurato venisse in discordia con loro, e prendesse ferma risoluzione di abbandonare la casa per non mai più vederli. Allora tra gli uni e l'altro s'interpose, angiolo di pace, Maria, che aveva undici anni soltanto; ma per questo primo atto d'intercessione amorosa n'ebbe in mercede una pesante guanciata. Non per tanto s'inasprisce o sgomenta il suo cuore ben fatto; anzi quel fiero trattamento la dispone ad opera di più raffinata pazienza: si getta ginocchione per terra dinanzi al padre adirato e gli addimanda perdono. Questi a tanta prova di mitezza è commosso, piange egli pure alle lacrime della innocente fanciulla, cede alle preghiere di lei con risoluta deliberazione di fare il contrario di quello che era usato, in modo da non riconoscerlo per quello di prima. Da quel dì abbandonò al postutto i tavolieri, e le bische, per darsi agli affari e alle cure della famiglia, in seno della quale, non passarono molti anni, rese l'anima a Dio dopo aver bene acconciate le cose dell'anima sua.
Con gli anni cresceva in Marietta il desiderio, il bisogno di beneficare: perciò dove facea mestieri un conforto, dove abbisognava tergere una lacrima, colà volentieri correva: e poiché negli spedali trova pascolo copioso la carità, a quegli usava di frequente, per offrire consolazione all' anima e salutari medicamenti al corpo degl'infelici ammalati. Tra' quali si avvenne una volta in cotal donna affetta di morbo sì stomachevole, che gl'infermieri le apprestavano con ribrezzo assistenza. Non così la Marietta: che anzi la stessa lordura del male valse ad avvicinarla all'inferma, e a prodigarle tutte le cure di cui la sola carità è ispiratrice operosa. Ma coli' andar del tempo la malata, o per fastidio del male o per cattività di natura, abusando di tal mansuetudine, levò sulla caritativa assistente siffatta arroganza, che il suo trattamento sarebbe paruto villano anche a prezzolata [160] infermiera. Eppure di quella bocca forbita dall'alito di Dio non uscì parola meno che umile e santa, finché pel contatto pressoché giornaliero dell'inferma la Marietta soggiacque a grave malore, da cui mirabilmente uscì libera.
Ristorato a salute il corpo , continuò a governarsi con ogni maniera di mortificazioni: tra le quali primeggiava il contrasto alla propria volontà, parendole questa l'abnegazione più accetta. Per tale abitudine faceva sì che il volere di Dio fosse pur suo volere; e studiavasi in tutto di soddisfare gli altrui onesti desiderj, quantunque non fossero i suoi. Perciò riusciva carissima alla terra e al paradiso, del quale era innamorata: e ben appariva in lei quest'amore nel tempo della preghiera e del Sacrifizio: che allora quasi rapita in soavissima estasi l'avresti somigliata ad un angiolo assorto nelle visioni belle del Cielo.
Non pertanto, vedi scelleraggine umana! a tanta purezza di vita non mancarono persecuzioni ed accuse di magiche arti, come a colei che sotto ipocrito manto di penitenza e pietà covasse mene turpi e nefandi commerci. Allorché l'innocente verginella per queste scellerate imputazioni fu citata dinanzi al S. Uffizio, vi comparve rassegnata e umile come Cristo davanti al Pretorio: e ne uscì in pieno concetto di esemplarissima vita, lasciando gli esaminatori commossi di tanta moderazione e virtù; sì che tornò a sua gloria la nota d'infamia onde i maligni tentaron macchiarla.
Già di ventiquattro anni sentendosi chiamata alle solitudini del chiostro, aveva indossato l'abito Domenicano nel convento dell'Annunziata di San Miniato; ove sin da quando era soltanto educanda osservava le regole dell'Ordine più che non facessero le religiose medesime, le quali, per vero, tenevano poco all'austerità de' primitivi statuti.
Il suo bell'esempio, vivo rimprovero alla rilassatezza di quegli abusi monastici, non ebbe sulle prime fortunata [161] accoglienza; ma poi a grado a grado ricondusse l'istituzione a' suoi principj, ripristinando l'osservanza delle regole cadute in disuso. A queste le suore furono allettate dalle dolci maniere e dalle soavi esortazioni della loro compagna, che ancora quando parlava od operava solea tener sempre rivolta la mente a Dio, recando gli atti più comuni della vita ad argomento di contemplazione divota. Nel vestirsi levava il pensiero a quell'abito di gloria immortale che indosseranno gli eletti; il versare delle acque la richiamava alle vivaci sorgenti della grazia divina, che si spande sull'anima e la feconda a virtù; la quiete della notte le rammentava il silenzio del sepolcro; e da un breve sollievo preso a ristoro dell'animo, quel pio intelletto facilmente saliva alla gioconda immortalità dei beati.
Il legno (usava ripetere) finché tiene dell'umido non è atto a bruciare; né il cuore dell'uomo finché sente di mondo può ardere dell'amore di Dio.
Simili ammonimenti sulle sue labbra riuscivano di molta edificazione, perché ne mandava innanzi la pratica: e le furono presto affidate alcune fanciulle, che sotto la guida di siffatta maestra crebbero studiose delle più elette virtù. Continuava ad esercitare con ardente zelo il ministero dell'educazione, allorché avendo per ben tre anni dato prova di molta prudenza, fu eletta a superiora del monastero. Al quale ufficio avrebbe voluto sottrarsi, adducendo l' età di trent'anni sempre minore al difficile incarico. Ma fu tolto l'ostacolo da un Breve pontificio, che le dava gli opportuni permessi: allora mise innanzi altre cause suggerite dalla sua rara umiltà. Invano, bisognò che accettasse il malagevole ufficio. Seppe quindi sostenerlo con tanta saggezza, che ogni qual volta cessava il termine assegnato , veniva rieletta: e questo si rinnuovò finché non cadde inferma di quel male, sopportato per varj mesi con vero coraggio di cristiana eroina fino alla morte, che la colpì nell'età di soli trentott'anni. Le sue [162] spoglie vennero sotterrate in un luogo del monastero, poi ridotto a sepolcreto comune delle monache: ma quando fu soppresso il convento, le reliquie di lei passarono ai Domenicani di S. Miniato , che le riposero nella cappella di S. Vincenzo Ferreri. I medesimi custodivano un quadro ov'essa è dipinta in atto di ricevere un Breve pontificio dalle mani del suo Pastore; e possedevano ancora il copioso manoscritto della sua vita, da cui furono estratte queste notizie, assai brevi rispetto alle molte che in quello si narrano.
Ragguardevoli personaggi del sacerdozio e del laicato la tennero in altissima stima. Le sue consorelle affermavano aver ella un modo suo proprio di farsi amare; fu sempre da esse rispettata e obbedita; i suoi consigli erano tanto cari quanto quelli della loro madre medesima. Per queste e altre doti merita essere proposta ad esempio di quelle femmine, a cui per doveri di sangue o di ufficio viene affidato il governo di una famiglia, il reggimento di un sodalizio».

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