di
Giancarlo Pertici
IL
SOLE OLTRE LA PAURA
Quello
di Carlo è un risveglio agitato, forse popolato di sogni,
probabilmente, inquietanti, dei quali sopravvivono solo tracce, solo
i contorni sfuggenti, non i contenuti. Ne resta solo il sapore, amaro
come la sensazione di cui la lingua inaridita sembra intrisa. Carlo
si fa l'idea che il sogno lo voglia introdurre, tra dubbi e timori,
là dove, da alcuni giorni, la sorte lo ha destinato: a Pisa in
Questura. Ambiente che gli ha sempre suscitato soggezione, e sensi
ingiustificati di colpa. L'orario è oramai quello previsto per la
partenza, la sua. "Devo svegliare Alessandro!" Il suo
pensiero a mezza voce, mentre sente Grazia, la moglie, confabulare in
camera dei figli. È il momento della sveglia. Poi, Cristiano e
Tiziana a scuola. Diversi gli orari. Per Cristiano, in programma da
tempo, anche la visita dal pediatra.
Ben
prima delle otto già in strada, Carlo verso Pisa, Grazia verso la
scuola di Cigoli. Il traffico scorrevole nonostante una pioggia
battente iniziata già nel pieno della notte. Così sospinto e
costretto da una folla annoiata e impaziente, composta sopratutto da
magrebini, Carlo si ritrova in coda, una cartelletta in mano, con
dentro i documenti necessari all'atto di affidamento di appena tre
giorni avanti. In coda per regolarizzare il permesso di soggiorno di
Alessandro, 13 anni da compiere, proveniente dal Marocco. Fermato per
strada dai servizi sociali alcuni giorni prima, risultava entrato in
Italia da oltre un anno in compagnia del padre che lo aveva lasciato
di proposito a tentare la fortuna. E lui si era arrangiato vendendo
di tutto per sopravvivere.
Infine
il turno di Carlo e una signora gentile e disponibile a dispensare
anche generosi consigli oltre ai timbri necessari. Quindi il viaggio
di ritorno con tutto l'occorrente per iscriverlo, con il suo nome
arabo, Abdelrasack, nello stato di famiglia. La superstrada a tratti
è allagata. È dalla notte che piove e, dalle prime ore del mattino,
anche con grande intensità. Le nubi che, in lontananza, sembrano
interessare la zona di San Miniato e dintorni, hanno assunto un
colore plumbeo per nulla rassicurante, sottolineate da scariche di
fulmini dei quali si vede solo il lampo. Alessandro mostra evidenti
segni di paura e Carlo tenta di rassicurarlo, mentre entrano
nell'occhio del ciclone rallentando la velocità, proprio quando
piombano in un'enorme pozza d'acqua che sembra esplodere sotto l'auto
facendoli balzare di lato. La carreggiata è invasa da una cascata
ininterrotta d'acqua che fuoriesce anche dal ciglio della strada.
Alla luce artificiale dei fari l'impressione è quella di trovarsi in
piena notte e non nel mezzo del giorno.
Grazia
a quella stessa ora è dal pediatra con Cristiano. Visita breve e di
routine a confermare la crescita regolare e l'assenza di seri
problemi; occhi e orecchi in tensione verso quello che sta avvenendo
fuori. Una vera tormenta d'acqua che sta martellando la zona e che le
consiglia di lasciare Cristiano a casa, di risalire verso la scuola,
anche se in anticipo, a riprendere Tiziana. A scuola sono già tutti
in preallarme per il timore che possa esondare l'Egola. Appena uno
sguardo, il suo, dal ponte verso quel corso d'acqua che non pare
minaccioso anche per quanti, proprio in quel momento, allo scoccare
di mezzogiorno, sciamano dalle fabbriche verso casa. Pochi istanti
dopo anche Carlo passa di lì e, memore della piena vissuta sul
'Giuncheto' anni addietro, lanciato uno sguardo giù, si
tranquillizza rallentando ancora la corsa, come a prendere una
boccata d'ossigeno, come fosse appena uscito dallo stato di apnea.
'Tutto sotto controllo' sembra voler dire, 'Oramai a casa' mentre
esce dall'abitato verso l'aperta campagna. Pochi secondi, frazioni,
solo attimi... e si ritrova, subito dopo la strettoia del mulino, in
località Tognetti, dove Grazia è ferma a bordo strada.
Aria
smarrita la sua. Si sta chiedendo cosa fare, in cerca di una reale
soluzione. Di fronte a loro quello che assomiglia a un fiume in
piena, che sfocia con violenza dalla piccola vallata tra il podere di
Potenza e quello del 'padovano'. Una valanga d'acqua che il modesto
fosso di scolo non riesce a contenere. Straborda invadendo lo
stradello laterale, tra gorghi e creste. La via principale è di
fatto saltata con un balzo, superato il muricciolo di bordo strada,
per rifinire nei campi sottostanti, ridotti ad un enorme lago
innaturale. In lontananza si ode un rombo sordo e minaccioso che è
come un brontolio che sale di tono, sotto un cielo ancora plumbeo, le
nubi inaridite, svuotate oramai da ore ininterrotte di pioggia. Ha
smesso di piovere.
Sono
decisioni prese in fretta, quelle di Carlo e Grazia, per cercare di
arrivare a casa, dove nonna Giulia è in attesa. Si avventurano,
davanti Carlo, dietro Grazia, guadando quel tratto con l'acqua che
sfiora gli sportelli delle auto. Carlo, mentre l'effetto onda apre un
varco in quella massa d'acqua che in quel punto attraversa la strada,
con un'occhiata allo specchietto, verifica soddisfatto il moto ondoso
provocato, mentre le auto subiscono solo un leggero rallentamento
tentennando di lato. 'Finalmente! oramai a casa' il pensiero comune
di Carlo e Grazia. Pensiero che si dissolve appena dopo la prima
curva, quella ad angolo sull'Egola. La vallata laterale è un immenso
lago che si riversa in quella strettoia costituita dal rio di
Paesante che in quel punto supera il piccolo ponticello attraversando
direttamente la strada in piccoli vortici. Forse cinquanta centimetri
d'acqua per meno di cento metri a separare dallo stradello di casa.
La decisione condivisa, con un cenno sotteso di intesa, vede Grazia
prendere in collo Tiziana mentre Carlo, mano nella mano ad
Alessandro, traccia la via, i piedi ben piantati in terra, a vincere
la corrente impetuosa che rende particolarmente faticoso e difficile
il procedere. Non senza ansia riescono a raggiungere, l'uno stretto
all'altra, la 'riva' opposta proprio dove inizia lo stretto stradello
di casa. È lì che l'acqua stagna in un movimento di riflusso
diretto verso quello che una volta era il corso del rio.
A
casa la sorpresa, inattesa, a creare ulteriore disagio. Manca la
corrente. Probabilmente un fulmine ha messo fuori uso il telefono
distruggendolo, mentre l'impianto elettrico di casa sembra in
cortocircuito. Isolati da tutto e da tutti. È a quell'ora che in
paese i più si sono fermati o a casa o in fabbrica per il pranzo
dopo aver quasi distrattamente passato oltre quel ponte che divide in
due Ponte a Egola. Forse appena uno sguardo distratto, rassicurante,
a verificare il livello, non certo minaccioso, dell'acqua,
inconsapevoli di quanto sta avvenendo di lì a pochi chilometri, a
pochi minuti di distanza dove il confluire simultaneo di più vallate
sta formando, improvvisa, una muraglia d'acqua che sormonta di quasi
un metro quel lago innaturale formatosi fra le colline ai
lati,riconoscibili da un lato dal Castello di Cigoli e dall'altro da
quello di Stibbio. Quando Carlo si affaccia dall'alto della
collinetta di casa diventa spettatore unico e privilegiato di quanto
sta avvenendo e di quanto sta per toccare agli ignari Pontaegolesi,
quasi tutti, ma non tutti al sicuro. Una muraglia d'acqua sta
procedendo a velocità costante verso il centro abitato. Solo una
innaturale cresta, ancora più alta e minacciosa, tra sbuffi di
schiuma, contrassegna il punto in cui scorre di regola quel Rio, che
ora sembra quasi sbavare di una rabbia troppe volte repressa. È come
una scia di schiuma che ne contrassegna il cammino.
Proprio
accanto al ponte, in un modesto fondo il cui piazzale si affaccia sul
corso dell'Egola, Mauro
da
tempo tiene la sua piccola bottega di falegname, dedicandosi
sopratutto a lavoretti di riparazione e riveniciatura. E tra vecchie
amadie e sedie da recuperare a vita migliore anche quelle di Grazia e
Carlo, affidate da tempo a lui che rimanda di mese in mese il momento
opportuno. Appena l'acqua irrompe su quel ponte si apre subito un
varco nel portone, trascinando fuori il contenuto, che agevolmente e
ubbidiente, va a seguire la corsa di quel fiumiciattolo impazzito,
senza che nessuno possa fermarlo e neppure esserne testimone. 'Ho
perso tutto, anche le vostre sedie ' l'amara confessione implorata
come una preghiera, quella di Mauro a Grazia, nei giorni successivi,
nel momento della conta dei danni.
La
'Vacca' - è cosi che è conosciuto per soprannome uno dei più noti
conciaioli di paese – ha lasciato i bottali in moto e anche l'uscio
aperto, per una pausa pranzo, la sua, sempre brevissima che lo trova
altrove quando l'acqua irrompe a rovesciare a terra i pianali pieni
di pelle e a bloccare il giro dei bottali, ai quali compete il merito
di aver salvato almeno quelle pelli custodite al suo interno. E sulla
medesima piazza Bellarme ha murato, con la solita tavola, il portone
di ingresso. Tavola, sempre la stessa, da tempo usata a difesa delle
piene che, ogni autunno o quasi, invadono sopratutto la via di
Giuncheto, ma che risulta inutile contro quella massa d'acqua che
sospinge Bellarme e famiglia, impotenti, al piano di sopra.
Massa
d'acqua che invade in pochi minuti case, magazzini, fabbriche,
botteghe, aggirandosi tra strade, corti e piazze. La piazza della
Chiesa a quell'ora non conta nessun posto auto libero. Ogni posto è
occupato, come avviene quando c'è la minaccia, vicina o possibile,
di una piena destinata ad invadere tutta la zona di Leporaia e a
dileguarsi tra mille rivoli passando in tutta la sua lunghezza la via
di sotto: Via di Giuncheto. Ma questa volta l'acqua ha altre mire, ha
altre dimensioni, ha altre ambizioni e non si accontenta del solito
giretto, ma con prepotenza, carico di motriglia e di olio e di
carburanti, lascia il segno e colma ogni avvallamento, dal una via
all'altra, da una piazza all'altra, in un paese che sembra
all'improvviso come deserto. I pochi per strada si sono subito
riparati in casa salendo ai piani superiori. Dai balconi e dalle
finestre sguardi sgomenti a rimirare oggetti varii trasportati
dall'acqua in ogni dove. Controcorrente, sulla via di Giuncheto,
Daniele, forse anche un po' alticcio, sta tentanto il ritorno a casa,
con il suo 'cinquantino'. Corsa che si arresta all'improvviso in un
singhiozzo convulso del motore, appena il tubo di scarico tocca il
pelo dell'acqua. Appena un attimo e Daniele, impotente spettatore del
suo motorino trascinato via dalla corrente, fa appena in tempo ad
aggrapparsi ad una cancellata mentre braccia amiche lo trascinano fin
dentro il portone più vicino. Nelle scuole di campagna bambini e
insegnanti restano isolati per ore, in attesa di soccorsi che
arriveranno solo a sera.
Alcuni,
sopratutto piccoli artigiani, si attardano in fabbrica, anche fin
verso il 'tocco', mettendo in ordine per la ripresa pomeridiana del
lavoro. Pausa pranzo sempre minima. Paolo, di ritorno da un cantiere,
nel suo magazzino di elettricista, ripone sugli scaffali il materiale
in avanzo e carica sul furgone filo e scatole da incasso. E così
anche quel giorno, a caricare e scaricare, come d'abitudine, anche se
con particolare fretta, per l'acqua che gli arriva alle caviglie,
preso a mettere al sicuro il materiale più delicato, riponendolo
negli scaffali più alti. Ma con l'acqua che arriva tutta assieme, ed
occupa piazzale e magazzino salendo subito di oltre il metro, Paolo,
si ritrova, uno scalino per volta, seduto in precario equilibrio in
cima ad uno scaleo. Solo in tarda serata sarà soccorso da un
anfibio, assieme ad altri.
In
mancanza di notizie, senza corrente e col telefono fuori uso, ora che
il cielo è stato spazzato via da ogni nube, Carlo e Grazia salgono
fin in cima alla collina per capire cosa sta avvenendo. La campagna
visibile dal paese fino da 'Canuto' è tutta una distesa uniforme di
acqua. Un immenso lago artificiale dal quale emergono alcune case
coloniche che paiono tante piccole isole innaturali. E un silenzio
assoluto sembra accompagnare quella scena, ora che anche il corso del
rio è nuovamente del tutto invisibile. Solo verso l'imbrunire si
leva alto il rombo dei motori a rompere quell'innaturale silenzio e
si vedono volare bassi sulla campagna quelli che, in lontananza e
controluce, potrebbero sembrare dei corvi. Sono gli elicotteri di
Carabinieri, Vigili del Fuoco e dell'Esercito a portare i primi
soccorsi, mentre alcuni anfibi stanno facendo il giro delle case
coloniche isolate.
Verso
l'imbrunire l'arrivo a casa, sperato ma imprevisto, di Driss, uno dei
tanti marocchini che vivono da anni in paese e nei d'intorni. Odissea
la sua, di ritorno dal lavoro. "Ho lasciato la macchina sulla
via per San Romano, e mi sono incamminato a piedi. Ho fatto la
traversata, da un cancello al portone successivo, passando per la via
principale, quella davanti la Chiesa. Dalla via vecchia non si
passava, l'acqua era troppo alta, allora ho preso per la Via Nuova.
L'acqua fino anche oltre la vita." Anche per lui, senza luce,
impossibile fare una doccia in quelle due stanzette in una casa
colonica appena fuori paese. Sul canto del fuoco ad asciugare, lui e
i vestiti, in attesa della cena e, nel paiolo, sul fuoco, al posto
della polenta, a cuocere il kuss kuss.
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