di
Giancarlo Pertici
PANE,
OLIO E SALE
È
sempre un ordine preciso, perentorio, che non ammette repliche,
quello della 'Signora' all'ora di merenda - "Prima vatti a
lavare ben bene le mani e usa il sapone!" - e Giancarlino, 7
anni o poco di più, obbedisce senza fiatare, le mani segnate a
tracciare sulla sabbia piste per fantastici "Giri d'Italia",
Bartali e Coppi dentro palline trasparenti di celluloide, o per
giocare a filetto, tracciato sulla ghiaia, all'ombra del parcheggio.
Il lavello in quella piccola cucina appena accennata con tanto di
cannella con l'acqua corrente, è un vero e proprio lusso, in quelle
casine per vacanze sul mare, alla metà degli anni 50. E per merenda
pane, olio e sale, qualche volta con l'aggiunta di un po' di pomodoro
strusciato sopra, ma più raramente. Non è mai una sola fetta e la
'Signora', che ben lo sa, ne taglia sempre tre o quattro, sottili
sottili, finché all'ultimo viaggio Giancarlino se ne torna ai propri
giochi dopo un bicchiere di acqua, di quella con le bollicine... è
estate, è tempo di vacanze.
Giancarlino,
o il 'Puttero' come lo chiama affettuosamente il Nuti, il vecchio di
casa, è ospite fisso di Corinna (la 'Signora') quando in estate va a
trascorrere un lungo periodo al mare, a Torre del Lago, con la
'Puccetta', sua nipote. In quegli anni '50, accanto al bagno
Gabbiano, tutto in legno, ne è spuntato quasi dal nulla uno nuovo,
con tanto di Bar e Ristorante, tutto in muratura. "Fortunato"
l'insegna e il nome, in evidente omaggio dell'ultimo nato di casa e
compagno di giochi di Giancarlino. Insegna disegnata sopra un enorme
cartellone di compensato, con un eloquente sottotitolo "Parcheggio",
proprio sopra l'ingresso, coperto da cannicci a garantire l'ombra,
sopratutto a motorini e biciclette, qualche automobile, quelle poche
in circolazione in quegli anni. E nel pomeriggio, tra un cliente che
arriva e uno che riparte, Giancarlino di 7 anni, e Fortunato di 10,
giocano per ingannare il tempo, con, in sottofondo, la musica diffusa
dalla radio dentro e fuori. Tra le canzoni più trasmesse, e siamo
nel '55, 'La Pansé' di Carosone, il ritornello ripetuto anche da
Corinna ad alta voce, tra sorrisi e cenni maliziosi di intesa tra
donne, che sembrano aver imparato a mente ogni strofa - "Che
bella pansé che tieni, che bella pansé che hai me la dai, me la dai
la tua pansé?" -
Arrivano
tutti a quell'ora i bambini di Casa Vannini e dintorni che, nei
pomeriggi di inverno, si trovano a giocare in quel giardino che dà
sulla valle di Gargozzi, tutto a pomatta. È alla stessa ora,
variabile, quella di merenda, che risuona con chiarezza la voce della
'Signora' a chiamare i bambini di casa, e sono tanti anche se solo la
'Puccetta' è dei suoi - "Lavatevi le mani per bene prima. C'è
una mezzina piena d'acqua sull'acquaio e la catinella... e usate il
sapone" - ordine che non ammette repliche e al quale tutti
obbediscono volentieri, scambiandosi quella scaglia di sapone oramai
inservibile per i panni. È lei, Corinna, che, in assenza di Irma in
servizio in Ospedale, e di Eda, fissa a cucire per confezione, pensa
alla merenda dei bambini di casa. In inverno è quasi sempre pane e
olio. Una fetta sottile per ciascuno, una spruzzata di sale, d'olio
solo un filo, disegnato ad arte, che ogni bambino, a mani pulite,
struscia ben bene prima di sedersi assieme agli altri sugli scalini
che danno nell'orto. E come per incanto quel giardino piomba
all'improvviso nel silenzio più assoluto. Non è quasi mai una sola
fetta, previste più repliche, anche se la fetta si assottiglia di
volta in volta.
Diversa
la situazione negli anni difficili precedenti l'ultima guerra, per le
sanzioni decretate contro l'Italia fascista, che hanno reso ancor più
gravosa la vita di quanti vivono unicamente del lavoro delle proprie
braccia; e sono i più. Nunziatina è tra questi. In quel poderetto
tra Pian delle Fornaci e vicolo Borghizzi, degradante verso 'Il
Sasso' tra olivi e carciofi, a mezzadria non è facile tirare avanti
la famiglia anche se con soli due figli: un maschio e una femmina.
Poche le braccia valide a far fruttare quei campetti a terrazza,
anche a mezzo bacio. Poche le staia di grano per riuscire a farne
pane sufficiente a sfamare, sopratutto gli uomini, e Nunziatina
costretta, da massaia di casa avveduta, ad arrangiarsi. La noti il
giorno che avvia il forno, già a risparmiare fascine di stipa e di
ulivo, per portarlo a temperatura. Lo fa una volta ogni 10 giorni, a
volte anche di più, e ben prima che l'infornata avanti sia finita.
-
" Quando si mette alla madia a lavorare la farina, c'è sempre
del pane vecchio per almeno tre giorni. Poi nonostante quel profumo
nell'aria di pane appena sfornato, siamo costretti a ingollare quello
vecchio. Talvolta bisogna ammollarlo per poterlo rodere." -
-
" Neanche il pane ci potevamo permettere in quei giorni " -
Il ricordo di Manlio a noi bambini del dopo guerra.
-
" È troppo 'struscievole', diceva Nunziatina, la mia mamma, e
così il pane non ci toccava mai di poterlo gustare nel suo generoso
sapore naturale " - Quasi un rimpianto, il suo, così segnato da
tante privazioni...
-
" Poi il pane diventava talmente duro che se ne faceva
'pancotto'. Nel paiolo sopra il camino, quando arrivava al bollore ci
facevano bollire l'ultimo pane rimasto. " -
-
" Appena un filo di olio e una spruzzata di sale nel piatto, ed
ecco servito il 'Pancotto' anche quel giorno che Eda, la mia
fidanzata, e siamo già nel 1947, viene invitata in casa mia, per la
prima volta, da Lillo, vedovo di Nunziatina, morta al passaggio della
guerra. " -
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