Racconto
di Giancarlo Pertici
L'aia
di Frillo. Giorno di battitura.
È
un movimento lento e silenzioso, tutto rivolto verso quella piccola
aia che si apre proprio ai piedi dei muri degli orti che si
affacciano sulla valle di Gargozzi. Principia con le prime luci
dell'alba. L'atmosfera è quella della festa, quella che si celebra
ad ogni raccolto di fieno, di grano o di orzo di cui, spesso, vengono
pazientemente seminati, a mano, i campetti a terrazza tenuti ad
uliveta che fanno da cornice a quella valle e quelli che degradano
dolcemente verso il 'Sasso', verso il fondovalle. Movimento che parte
da quei piccoli poderi a confine e da quelli sulla via del Sasso, ma
anche dalle campagne di Calenzano e oltre, e che sale di tono, col
passare delle ore, fino all'apice: la messa in moto della Trebbia e
dei trattori di supporto a margine.
È
l'inizio della battitura in quella minuscola aia per cavarne grano
per Frillo e famiglia. È tutto uno sferragliare di mezzi, coperto in
parte dal rombo assordante dei trattori, di quelli in uso
nell'immediato dopo guerra. Solo allo scoccare dell'ora di mezzo, si
avverte anche il vociare in sottofondo. Sono ordini, chiacchiere a
perdere, il parlottare composto ai margini da parte dei molti curiosi
convenuti per l'occasione. È a quell'ora che resta in moto, al
minimo, solo il trattore addetto alla cinghia di trasmissione, per un
'quasi silenzio', colonna sonora che accompagna il rito del pranzo.
Depostosi
a terra quel pulviscolo appiccicoso che sembrava stazionare a
mezz'aria, è tutto un fiorire di teli e tovaglie che trovano posto
all'ombra dei filari di pioppi ai lati, lungo il muro degli orti
ornato da pergole cariche d'uva ancora acerba, per una processione
programmata di massaie addette alla distribuzione del pranzo. Sono
tegami colmi di zuppa, di panzanella e pappa, teglie appena sfornate
con patate a fare da contorno a pollo, nane e coniglio in umido.
Per
me è solo in questo momento, a macchine ferme, che, con i miei sette
anni scarsi, posso scendere dall'orto fino in sull'aia di Frillo,
dopo essere stato osservatore attento di ogni manovra, seduto sul
muro di cinta che separa dalla Valle e dai vicoli sottostanti.
Proprio sopra a quell'aia a respirare gli acri vapori dei trattori in
moto e quel pulviscolo impalpabile di cui sembra impregnata l'aria
già dal primo mattino, che nell'occasione principia ben prima che il
primo trattore venga avviato. Punto d'osservazione privilegiato a
vedere trasformati quei fastelli e quei covoni, in grano da una parte
per il pane, e in paglia dall'altra, per farne lettiera per la
stalla. Il tutto con nonno Nuti accanto che non fa mancare i propri
commenti, le sue storie, tutte vere, tutte del secolo scorso.
Appena
il tempo di consumare il pranzo e di nuovo ad occupare quel posto
privilegiato d'osservazione: il muro di cinta dell'orto di nonno
Nuti. - "Ecco Gosto assieme a Virgilio... ad allungare le
mannelle per l'imboccatura..." - La pula sollevata in aria anche
dalla brezza leggera che, ad inizio pomeriggio, da Pian delle
Fornaci, si insinua fino sull'aia, rende lo scenario e i colori
particolarmente evanescenti, i movimenti indefiniti. Riesco ad
individuare con sicurezza nonno Musolino, una forcina in mano, mentre
allontana la paglia che esce di lato, e la spinge verso un palo
infisso nel terreno per diventare pagliaio.
-
"Da bambino anche fino a Corfino si andava col mi babbo per la
battitura a dare una mano per un pasto sicuro, qualche volta anche
uno staio di grano..." - Dall'alto della bica a gettare sul
ripiano della trebbia le mannelle che vengono infilate da mani
esperte dentro la ruota dentata. In cima alla bica uno dei Bagni e
Vergella. I figlioli di Frillo all'imbocco, e, a turno, a fare la
spola da una postazione all'altra. Le donne con un fiasco d'acqua e
uno di vino a portare refrigerio agli uomini sudati e polverosi,
salva solo la bocca e il naso, difesi da una pezzola accuratamente
legata alla nuca.
-
"Tonino una volta che era da parenti a Scarperia la fece davvero
grossa... mentre tutti erano all'ombra per l'ora di pranzo... lo
incolparono di aver levato una calzatoia alla trebbia. Non si fece
male nessuno ma per puro miracolo" - Una delle tante
disavventure così fedelmente ricordate da nonno a fare da cornice ad
una giornata che si dipana velocemente verso l'imbrunire. La bica a
scendere fino a terra, il pagliaio a prendere forma e consistenza,
mentre mani esperte legano accuratamente per il collo ogni singola
balla; tutte messe a catasta pronte per transitare col barroccio
verso il granaio di Frillo, là, Sotto il Ponte.
E
passata l'ultima mannella all'imbocco, col primo sussulto a vuoto
della trebbia, i giochi sembrano concludersi quando improvviso
irrompe il silenzio a chetare quanti si ritrovano improvvisamente,
senza volerlo, ad urlare le proprie ragioni, le proprie opinioni o le
pur legittime richieste, o le risposte dovute e attese. Solo un
attimo, sancito dallo scambio incrociato di sguardi colmi di scuse
per una colpa che non c'è, ma che è fortemente e istintivamente
sentita, come il disagio a ritrovarsi nudo tra la folla anche se
dentro un sogno. Poi un sorriso di circostanza, a riprendere, in tono
sommesso, quanto interrotto da quel silenzio che preannuncia una
diaspora che si diparte improvvisa a disperdere quel popolo
improvvisato di volenterosi... fino all'anno che verrà.
Fermati
i motori, sganciata la cinghia di trasmissione, resta solo il fumo
residuo e i vapori che continuano ad irrorare l'aria circostante,
mentre quel pulviscovo viscoso pare ondeggiare indeciso dove posarsi
non più sostenuto dallo spurgo della treggiatrice e dai tubi di
scarico a risollevarlo a turno da terra in un turbinio senza
soluzione di continuità. È in quel preciso momento che avverti fino
in fondo quel convergere di braccia che la mattina, alla spicciolata,
non hai potuto contare per l'intero. Chi era partito dopo aver
governato le bestie nella stalla, chi arrivava anche da Calenzano,
chi già nelle vicinanze, chi non visto veniva dal Sasso, chi tramite
i vicoli, a ridosso delle mura, era giunto, come alcuni amici, dalla
Val d'Ensi. Ma tutti alla chetichella, in silenzio, quasi non visti e
non sentiti... si erano ritrovati su quell'aia nel momento della
messa in moto della trebbia.
Altro
l'effetto visivo alla conclusione della giornata. A parte quei pochi
addetti alla trebbia e ai trattori di servizio, tutti gli altri si
allontanano nello stesso momento, o quasi, diramandosi in tutte le
direzioni, tutti assieme, in una variazione cromatica sottolineata
dalla calda luce del sole vicino al tramonto. Sono in tanti, uomini e
donne, giovani e vecchi, con bambini al seguito. Impossibile
distinguere chi era a curiosare e chi a lavorare, almeno a prima
vista. Poi noti la pezzola legata al collo, usata a riparare bocca e
naso dalla pula e dalla polvere e quel diffuso velo di polvere che
pare rendere tutti gli addetti alla trebbia dello stesso colore,
dalla camicia ai capelli. Non sembra mancare nessuno. C'erano tutti,
o quasi. Certamente non era della partita Cionce col suo carretto di
gelati, a passare veloce per piazza dell'Ospedale all'ora solita di
inizio pomeriggio. Ma solo lui.
Sullo
stradello diretti a vicolo Borghizzi il Giustino e i fratelli
Morelli. Diretti verso la Cappellina i Latini e Vergella dei Taddei,
seguito da Duilio di Boldrino; lui certamente non ha lavorato,
immacolata la sua camicia a quadri. La Bronchella assieme alla Zoppa
per la scorciatoia sotto il boschetto di Gazzino. I fratelli Capecchi
proseguono per vicolo Borghizzi, passando di lato al muro del
Bastardaio, loro che stanno all'inizio di Via Ferrucci, loro che non
si sono certamente risparmiati abituati da sempre a lavori faticosi
come lo scasso delle vigne. Lillo e il fratello Cesare si avvicinano
alla mia postazione - "vieni ad aprirci la porticina." -
Appena un paletto e un puntello da togliere su bisogno e su per quei
cento scalini fino a casa. A ruota, per le stesse scale, anche nonno
Musolino e i fratelli Sani, che stanno proprio di fronte. A
discendere verso Gargozzi e verso il Sasso, nelle due diverse
direzioni, quelli che hanno dato il massimo in braccia, la famiglia
Bagni, quasi sotto il Comune, Casalino e i Cei dalla via del Sasso.
È
tutta una serie di piccoli gruppetti, sparpagliati su viottoli, per
callari, oltre che lungo gli stradelli segnati dalla ghiaia o in
terra battuta, che variano ad ogni incrocio, pronti a ridividersi e a
riunirsi al campo successivo a salire o a scendere nelle quattro
direzioni. Verso Scacciapuce lo noti subito da solo Gambelunghe; a
grandi falcate, in salita, sembra voler arrivare primo anche se è da
solo da un pezzo. Deve certamente andare a governare le sue bestie e
probabilmente a finire di vangare un filare di viti, come ogni sera o
quasi. È in questo che è conosciuto sopratutto il Cini, questo il
suo vero cognome che pochi conoscono ed usano, nella sua capacità di
vangare senza apparente fatica e senza soluzione di continuità. Poi
c'è il Micheli, il marito di Tetta, che fa pariglia col Dainelli.
Gino di Gazzino seguito da Giovanna, la figlia di mezzo. Mentre
Mandorlino e Gosto, rientrano in piazza dell'Ospedale percorrendo la
scorciatoia tagliata nel ciglione sotto la casa di Pellegrina.
-
“Quello è il Valleggi... Centolire deve essere stato a chiacchiera
tutto il pomeriggio, neppure il cappello ha un granello di polvere o
un po' di pula... i Mancini fanno ritorno in San Maiano facendo il
giro più lungo passando di Gargozzi; quanto hanno lavorato!” - È
nonno Nuti che accompagna ogni gruppetto con un commento, fino a
quando - “Ma c'era il Tofani? Non mi pare di averlo visto. Eppure
se si tratta di approfittare di un bicchiere di vino, non resta mai
addietro!!” - E invece c'era, in compagnia di Rigoletto e di Cento
Lire, del Toni di Scacciapuce con la moglie Irma partiti per primi
tagliando per i campi - “andiamo a governare le beste” - e
s'erano avventurati su per i campi di Gazzino, arrampicandosi da un
ciglione a l'altro.
Poi
i vecchietti del ricovero, gli ultimi ad andarsene, non prima di aver
scolato gli ultimi fiaschi di vino, dei pochi residui rimasti, con
alla testa Ghigo a tener per mano Giannino oramai cieco da anni.
Gruppetti indistinti che si allontanano, tra vecchi e giovani, uomini
e donne, chi a scendere chi a salire diretti verso casa, che l'ora di
cena è oramai prossima. Tutti in movimento su quella salita che
porta alla Cappellina e proprio su quelle scale, inginocchiato,
inconfondibile il suo saio, il frate cercatore, oramai vicino al suo
convento, quello dei Cappuccini, appena dopo casa Taddei. Prega
tenendosi stretta la bisaccia, probabilmente ricolma di grano fresco
di battitura, dopo essere stato ai margini dell'aia tutto il
pomeriggio, con la corona in mano a sgranare marie.
Tutto
in un colpo d'occhio! a scolpire nella memoria quel particolare
momento, liturgie comprese, mentre, noi bambini, scalpitiamo
impazienti perché sappiamo che è il nostro momento, quello di
immergersi in quella realtà che dal vivo ci viene negata. Qualcuno
ad assistere, già dalla mattina, ai margini, sotto stretta
sorveglianza di qualcuno di casa, nonni sopratutto, tenuti anche alla
larga dagli uomini al lavoro; loro le occhiatacce e gli urlacci
capaci di perforare il clangore della battitura.
Ma
a macchine oramai ferme, lontani gli uomini di guardia, fonti di
pericolo messe a tacere, inondiamo quell'aia, per quel gioco a lungo
sognato ad imitare, nella misura del possibile, ogni gesto di questo
o di quello, pensando - "quando sarò grande..." - mentre
qualcuno ripete a più riprese... - "non vi avvicinate troppo al
trattore è caldo, vi brucereste" - I più grandi a contendersi
i punti più in alto sulla trebbiatrice, chi alla guida del trattore.
Per noi più piccoli, liberi gli scivoli di lato, qualche predellino,
i parafanghi del trattore, quali trampolini a tuffarsi nella pula
ammassata attorno alle ruote del trattore e della trebbiatrice. Quasi
un battesimo ripetuto, a risalire e a ridiscendere, fino al grido di
richiamo per la cena, ripetuto da più punti, dagli orti sovrastanti
quell'aia, quando abbiamo assunto pressapoco l'aspetto dei nostri
zii, dei nostri babbi addetti alla battituta: polverosi dal capo ai
piedi.- "A cena! Forza! … ma dopo cena nell'orto... il
conchino è pieno d'acqua calda, è tutto il giorno che è al sole."
- E così sia! Obbedisco volentieri a mamma dopo una giornata come
questa.
Filippo Del Campana Guazzesi – Fine XIX secolo
Immagine
tratta da Il
silenzio del negativo. Filippo Del Campana Guazzesi fotografo in San
Miniato,
a cura di G. Marcenaro, CRSM, Sagep Editrice, Genova, 1981, p. 173,
n. 213.
Utilizzo ai
sensi art. 85-ter comma 2 della Legge 22 aprile 1941, n. 633
L'immagine è
di “pubblico dominio” in quanto i diritti di utilizzazione
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