martedì 9 settembre 2014

I SANTUARI DEL GIOCO - 2 PARTE - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

I “SANTUARI” DEL GIOCO
e noi bambini, anni '50 e paraggi, testimoni e ….officianti…

SECONDA PARTE DI CINQUE

La Campana – in giro lungo la strada, senza un luogo ben preciso –
Alle bambine non era riconosciuta una Libertà a tutto campo, quella di muoversi e di decidere cosa e dove fare qualsiasi cosa o qualsiasi gioco. Dovevano comunque restare nella sfera di controllo di qualcuno, nonno, zia, fratello... anche se era consentito loro di partecipare a tutti i giochi di noi maschietti. Certi giochi, prettamente femminili come “La Campana” è lungo la strada nelle vicinanze della casa di qualcuno, che la facevano.
Io mi ricordo sempre di quel gruppetto formato da Maurizia, Brunina, Daniela e Anna che quasi ogni pomeriggio stazionavano davanti all'uscio di casa. Mentre quasi per imitazione se ne formavano sempre altri davanti al Migliorati, come davanti al Ricovero. Si piazzavano esattamente tra l'uscio di nonna Livia e quello di zia Primetta e con il gesso disegnavano la loro Campana utilizzando le lastre che contrassegnavano con un numero e terminando lo stesso al centro strada con quella pietra ovale che chiudeva il pozzetto centrale delle acqua pluviali. Non c'era quindi bisogno di disegnare tutta la Campana. Bastava farne i contorni dopo aver assegnato un numero ad ogni lastra.
Se in quel momento sono sull'uscio in compagnia di Nonno Nuti che mi racconta di Tonino, non posso non seguire con lo sguardo il gioco che un po' mi affascina… anche se “è da femminucce”.
Sette i settori tutti contrassegnati con un numero. Lancia per prima Brunina la sua pietra, pietra liscia, dalla base terra alla casella 1. A zoppetto, senza toccare i bordi va nella casella 1 e raccoglie di terra la pietra e torna alla base terra. Quindi lancia la sua pietra alla casella 2 e la centra. A zoppetto passa dalla uno, va alla due, recupera la pietra e fa il tragitto al contrario. Percorso netto fino all'ultima casella.
Qualche sosta obbligata quando arriva un ambulanza o passa una macchina o un camioncino. Quando è la volta di Maurizia, mia sorella, ...in difficoltà per il precario equilibrio dovuto alla lussazione alle anche non del tutto superata, si trova a ripetere spesso il gioco... quando pesta la riga, quando perde l'equilibrio. E' quasi sempre ultima.
E' un gioco ripetuto fino alla noia mentre mantengono l'occhio fisso a Piazza Santa Caterina in attesa che rientri qualche gruppo di maschietti, per aggregarsi.

Gli Aquiloni – in Pian delle Fornaci –
Andare e arrivare in Pian delle Fornaci ha il profumo e il sapore stesso della libertà, veramente lontano dagli sguardi, fuori controllo diretto, nessuna finestra che vi si affacci, solo una vista parziale e ridotta dai terrazzi, ma non nella parte che sale al Sanatorio nascosta dal ciglione. E non è questo l'aspetto che più mi affascina di Pian delle Fornaci. Anche nel ricordo, ...è la sua vocazione naturale …donata a noi bambini. Chi vi si affaccia per la prima volta non ne può cogliere la vocazione. Non è uno spazio veramente aperto. Incorniciato da un doppio filare di cipressi, lontano, almeno in apparenza, da venti favorevoli. Invece alla prova dei fatti a noi bambini degli anni '50, anche perché a portata di mano, risulta il posto ideale per gli Aquiloni.
Anche in piena estate, sia di luglio sia di agosto, dopo le 4 del pomeriggio si alza un leggero venticello che, incanalato nella valle di Gargozzi che va a terminare salendo, assume una direzione ascendente all'incrocio con Pian delle Fornaci, per spingere con gentilezza in direzione est a velocità costante. Pochi i giorni di bonaccia ad impedire il volo. Angusto il “corridoio” (spicchio abile al volo) giusto tra lo stradello per Casa Giusti e il primo cipresso …forse 10 metri, mentre ampio lo spazio che degrada verso il Valdarno passando tra e sopra il “gozio”, riserva d'acqua per i buoi nella calura estiva.
La tecnica di volo univoca nei modi, con due possibili varianti rispetto alla direzione di corsa (corsa necessaria al distacco ...al decollo), in direzione Cappuccini o in direzione Sanatorio. Il decollo avviene giusto al passaggio davanti al “corridoio” di volo indipendentemente dalla direzione di corsa. E' in quella breve corsa che capisci se il lavoro fatto è stato fatto bene, se quell'aquilone che hai costruito volerà o potrà volare. E quell'arte, perché di arte trattasi, di costruire aquiloni, l'hai imparata dagli altri… in parte “insegnata” dai più grandi, in parte carpita nei segreti più gelosamente conservati. Risultati alterni, dove passi dalla delusione all'euforia del “volo”.
Pochi di fatto i segreti anche carpiti… la pazienza di attendere il momento propizio… la scelta del materiale per lo scheletro – canne palustri lavorate al verde e lasciate essiccare per l'uso dopo averle squartate – la giusta equilibratura sia nel peso sia nella dimensione… la carta velina o oliata a scelta tra un piccolo aquilone o un grande aquilone. La pazienza perché, con il materiale in mano, prima e, con l'aquilone appena realizzato, poi, bisogna saper rispettare il giusto lasso di tempo perché l'incollaggio sia perfezionato.
Colla a base di farina ed acqua, che assicura costo zero, ma esige quantomeno una nottata di attesa, meglio se di più. E non è finita perché per decollare l'aquilone ha bisogno di essere imbracato per l'attacco alla corda che lo tende nel cielo e al tempo stesso lo tiene prigioniero (legato a sé), non prima di averlo dotato di una lunga coda a bilanciare adeguatamente testa e coda. Operazione che risulta sempre molto complessa e che spesso si risolve solo provandolo sul campo. Allora lo vedi, anzi lo intravedi, mentre corri e lo senti tirare la corda dietro di te che prende il vento e inizia ad issarsi su nel cielo, mentre rallenti la corsa per restare nel “corridoio” e con leggeri colpetti lo fai innalzare. Mentre si innalza rilasci un po di corda, appena un po' e mentre l'aquilone tende a ridiscendere lo riconduci in alto nel mezzo della brezza con un altro colpetto di corda, in un continuo alternarsi di rilascio e di colpetti calibrati… mai troppo il primo, mai bruschi i secondi, finché giunge al centro della corrente convettiva e comincia a chiedere solo corda.
Allora!!! Allora??? allora basta averne… se c'è, e basta avere gli occhi buoni, un colore azzeccato dell'aquilone (mai verde o azzurro che si perderebbe nel cielo) per capire di cosa ha bisogno in volo… e tu resti li per minuti, per ore ad accudire questa tua creatura che vibrando nel tuo palmo ti rende emozioni incredibili mentre il tempo vola veloce e lontano come l'aquilone.
E qui si inserisce un personaggio, a volte antipatico, che di corda ne ha da vendere… io credo che in verità sia corda tutta “sottratta” al babbo calzolaio. Intere rocchelle di Refe, quella usata dai calzolai con l'aggiunta di pece per cucire suola al tomaio e renderla impermeabile. Rocchelle lunghissime di refe resistente e leggera... sembra nata e inventata per gli aquiloni. Io non me lo posso dimenticare Luigi di' Lotti… da quella volta che alla caduta del vento in tarda serata, il suo aquilone oramai un punto invisibile nel cielo, cade insieme al filo… è quasi una richiesta di aiuto, tentazione alla quale non riesco a resistere e giù in valle a seguire quel filo esile, sempre più invisibile alla luce del sole che sta scomparendo, da un campo all'altro, tra filari di viti, campi di carciofi e ulivi guardiani sui ciglioni fino alle prime case vicino alla strada maestra oramai punteggiata dai lampioni già accesi.
Quando riemergiamo in Pian delle Fornaci è buio da un pezzo… ma mia madre ci vede benissimo per accompagnarmi a sculaccioni fino a casa…. “e stasera a letto senza cena”. Non era un modo di dire allora!

Carretti a cuscinetti – Pian delle Fornaci –
Siamo oramai alla fine degli anni '50 e la motorizzazione ha iniziato a far sentire i suoi effetti e a rilanciare anche i suoi bisogni che cominciano ad invadere le nostre “enclavi di gioco” che perdono man mano l'esclusiva di alcuni angoli di territorio, mentre occasionalmente rendono utilizzabili al gioco altri spazi. Ed avviene questo quando viene asfaltata la strada che conduce in Pian delle Fornaci fino ai Cappuccini ed oltre… se ben ricordo. Strada che usiamo, ma raramente, per filare a pedalino su vecchie biciclette fuori uso dalla Piazza fino a Pian delle Fornaci, giusto all'altezza della Casa di Marianna dove inizia la salita. La superficie regolare suggerisce altri usi.
E' l'esempio del Giustino che lo percorre in scioltezza con il suo barboncino Parigi, a tirare il suo carretto, lui che... finimenti fatti su misura… già percorreva quella strada e lo strabello di casa tutti i giorni. E' solo un esempio che trasforma le nostre strade, le nostre cantine, i nostri orti in laboratori e falegnamerie, officine per creare su disegno unico dei carretti a cuscinetti.

Carretto fatto a triangolo, snodo sul davanti a tenere una barra trasversale a fare da volante tramite una cordicella ai due estremi. Due cuscinetti fissi sul dietro per ruote più grosse sul telaio di legno, freni a pedale… o meglio a pedate, piedi a terra e scarpe dalle suola robuste. Non solo ragazzi, oramai siamo oltre i 10 anni quasi tutti, ma anche ragazze ad ingrossare le fila già alla prime discese. Ginocchia sbucciate… mani graffiate, ammaccature dappertutto dopo capitomboli, perdita di ruote, fuoristrada… è il rodaggio che dobbiamo imparare a condividere con le prime motociclette, qualche camioncino, qualche auto che va e viene su e giù per quella strada ad ogni ora del giorno. Vita breve per quei carretti con le ruote a cuscinetti che alla fine già del primo anno vengono riposti nelle cantine fino ad addormentarvicisi in letargo.

FINE SECONDA PARTE

San Miniato, la zona di Pian della Fornaci, sotto Santa Caterina
Foto di Francesco Fiumalbi


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