di Giancarlo Pertici
È un rumore sordo, è un battere insistito di pugni sul portone nel silenzio assoluto della notte, poi colpi di fucile esplosi nelle vicinanze. Intontito dal sonno, a tasto cerco la radiosveglia. È spenta. L'abat-jour non funziona. Altri spari, questa volta in lontananza - "Già a caccia a quest'ora?" – Più un pensiero, che parole. La bocca impastata, gli occhi incollati che faticano ad aprirsi. – "Giancarloooo Giancarloooo" – Questa volta il risveglio è totale. La voce è quella di Pina. È la nostra vicina di casa da quando ci siamo trasferiti in quel minuscolo appartamento sul “Giuncheto” in Ponte a Egola, tra Bellarme e la Pesa Pubblica, appena due mesi fa. Non funziona nulla, manca la luce. Deve essere successo qualcosa di grave! Sono appena le due. Chiaro il messaggio che mi giunge a finestra aperta – "C'è la piena! Ha dato di fuori l'Egola, sono passati i carabinieri a dare l'allarme. Bisogna fare alla svelta e murare le tavole alle porte" – Scalini a due a due da quel primo piano dove c'è la camera, una pila d'emergenza in mano, e subito in strada per capire la situazione. Acqua gelida a mordere le caviglie, sta arrivando lentamente ma ha già inondato la via e ora avanza sul piazzale davanti casa.
– "Cosa dobbiamo fare?"
– "Ce
l'hai della calcina, cemento o gesso, qualsiasi cosa per fermare la
tavola alle porte?"
– "Qualcosa
mi deve essere avanzato in garage! Se riesco a trovarlo."
Abbiamo fortuna e, quasi alla cieca, arraffo un ballino di gesso. È quasi intero. Quel tanto che basta per mettere al sicuro casa mia e quella di Bellarme, appena in tempo, prima che l'acqua arrivi alla tavola, anche se continua a salire. Si ferma, quasi per miracolo, a pochi centimetri dal bordo della stessa. Alluvione archiviata senza danni: il nostro soggiorno appena preso a rate con la libreria piena di libri, i nostri libri. Un sospiro di sollievo in quel dicembre del 1977, e l'animo leggero tanto da pensare anche ad immortalare quei momenti con alcuni scatti della mia Zenith, modesta reflex russa.
Novembre
1993, un venerdì, se ben ricordo. Suddivisione rigida dei compiti
quella mattina, tra me e Graziella per assolvere alle incombenze non
rimandabili. Lei a preparare e portare Tiziana e Cristiano a Cigoli a
scuola. La Titti in seconda e Cri in quarta. Io d'urgenza in Questura
a Pisa per regolarizzare l'affidamento familiare di Alessandro, 12
anni, affidatoci con urgenza in quei giorni dai servizi sociali del
Comune. Mattinata iniziata all'insegna del maltempo con un cielo
plumbeo che ritarda l'arrivo del giorno. Lungo la superstrada,
diretto a Pisa, il cielo sembra schiarirsi, anche se continua a
piovere, ma meno intensamente. A Pisa pioviggina appena. Ma, nel
momento di posteggiare la macchina, volgendo lo sguardo verso
l'interno, verso Pontedera e oltre, lampi e sopratutto nubi radenti e
di un colore che sfiorano il nero assoluto, non lasciano presagire
nulla di buono. Quasi intimorito dal secco susseguirsi dei fulmini,
dal violento nubifragio che ci accoglie all'ingresso in superstrada e
ci accompagna per tutto il viaggio di ritorno, Alessandro,
raggomitolato su se stesso sul sedile posteriore, in preda ad un
attacco di panico, prima si sdraia e poi si assopisce. Con prudenza,
a velocità costante, l'auto sembra quasi galleggiare nei punti
invasi dall'acqua. Dai ciglioni laterali una fiumana d'acqua salta
letteralmente le fosse, fino a balzare nel mezzo della carreggiata.
Solo nervi saldi, prudenza, occhio e una dose di fortuna consentono
alla mia “Renault 12” di avanzare senza rischi. Viaggio comunque
da incubo fino a Ponte a Egola, combattuto tra la tentazione di
fermarmi e il desiderio di raggiungere casa.
Senso
di sollievo nel notare, giunti sul ponte, il livello dell'Egola al di
sotto del livello di guardia. Situazione che precipita visibilmente
nel giro di pochissimi minuti, quelli necessari a raggiungere Molino
d'Egola e casa. Alessandro è ancora assopito, quando incrociamo
Graziella che viene dalla scuola di Cigoli. Facciamo fatica a uscire
di paese. All'altezza di Alvaro il mugnaio, proveniente dalla vallata
sotto il camposanto di Cigoli, è un'autentica valanga d'acqua che,
con un balzo dal ciglione sovrastante, attraversa la strada. Passiamo
uno per volta, prima io e poi Graziella. Stessa manovra all'altezza
della località “Tognetti” in prossimità del podere di Zanardo.
Tutta la stretta vallata è un immenso rio che si riversa in Egola,
apparentemente ancora sotto il livello di guardia, e ha smesso di
piovere. Ma alla curva del bosco, l'Egola ha già invaso i campi
laterali. Dalla valle e dal rio di Pesante, è un fiume in piena che
aumenta di volume e di intensità, che non è possibile passare in
auto. Le lasciamo nel punto più alto, avviandoci a piedi verso casa,
forse 100 metri. Io con Alessandro per mano, Graziella con Tiziana in
collo, nell'acqua fino alle ginocchia. Cristiano già a casa.
Facciamo appena in tempo a cambiarci che riprende a piovere con
violenza. È già quasi il tocco. Un tuono spaventoso ci fa
sobbalzare mentre ci mettiamo a tavola, fulmine che distrugge parte
dell'impianto elettrico e scaraventa il telefono dalla parte opposta
della stanza; isolati e senza luce. Tutti bene anche se mancano
notizie di Driss che è fuori al lavoro, lui che abita da noi con
moglie e la piccola Hannah, nata da pochi mesi. Per verificare la
possibilità di passare con le auto ci avventuriamo, quasi alla
cieca, per la stradina di casa verso la via maestra. Desistiamo, è
tutto allagato. Dalla collina riusciamo a renderci conto di quanto
sta avvenendo.
La
vallata dell'Egola è un immenso lago, da noi fino da “Canuto”.
Riusciamo ad individuare solo la linea immaginaria del corso
dell'Egola, che sembra sovrastare di almeno un metro l'immenso “lago
circostante”. Sono cavalloni spumeggianti, dal colore livido di
terra, che rotolano violenti a trascinare e rompere tutto quello che
incontrano. Lugubre brontolio in quel silenzio irreale che avvolge
tutto, campi, case, vegetazione, uccelli. Da lassù l'immagine è
quella di una catastrofe che si sta abbattendo in paese e a Ponte a
Egola. Verso le 16, che è quasi buio, bagnato fradicio arriva Driss.
Si è fatto a piedi da Ponte a Egola, attraversando, immerso anche
fino alla vita, quel lago limoso e gelido. È alla stessa ora che si
sentono e si distinguono i primi elicotteri volteggiare sopra Ponte a
Egola: Carabinieri e Vigili del Fuoco. I primi soccorsi. A camino
acceso, l'unica luce possibile, andiamo a cena tutti assieme, come
programmato da tempo per la festa di "Eid el Kebir". Menù
a base di Kuss Kuss. Il giorno dopo, i primi aneddoti a stemperare la
tensione di fronte ai danni subiti sopratutto da famiglie e imprese.
Il racconto ripetuto in più versioni e a più voci di Daniele il
Cicalini, colto all'improvviso dalla piena lungo la via di Giuncheto
e salvatosi lasciando andare il motorino e afferrandosi a una
cancellata. Come quello di Paolo, idraulico in via Pannocchia,
dimenticato da tutti, appollaiato nel suo magazzino in vetta ad una
scaleo in attesa di soccorsi, raggiunto solo la sera dopo le otto da
una anfibio del vigili del fuoco. Nei giorni successivi anche
l'elettricista, il nostro, con il suo aneddoto da 1 milione e mezzo
di lire a riparare il danno.
Ponte a Egola, alluvione anno 1977
Foto di Giancarlo Pertici
Ponte a Egola, alluvione anno 1977
Foto di Giancarlo Pertici
Ponte a Egola, alluvione anno 1977
Foto di Giancarlo Pertici
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