di
Giancarlo Pertici
IL
CIRCOLINO DELLO “SCIOA” … e il veglione della Pentolaccia
Non
era una mossa studiata. Tutto era avvenuto per puro caso, un gioco di
sponda, che aveva sortito un effetto imprevisto. La palla colpita dal
terzino sinistro, esterno del piede, colpita male e per questo
indirizzata a sbattere sulla stessa sponda di quel Calcio Balilla
vecchia maniera. Palla che s'impenna, ma non esce dal biliardino,
come c'è da aspettarsi. No! Quella palla supera sia il centrocampo,
sia la difesa avversaria, passando sopra quelle teste e va ad
insaccarsi direttamente nella porta avversaria con un suono sordo. Un
caso! puro caso! È anche mentalmente il mio pensiero.
Intanto
Beppe di Brocchette, nella porta avversaria, sorride, quasi un
sogghigno, incredulo ma consapevole della propria superiorità. La
partita non avrà storia. Io ed Orlandino di Gnoppa, siamo destinati
a perdere contro il Cingottini e il Baglioni in coppia. Troppo più
forti loro! Intanto stiamo uno a zero in nostro favore! Anche se per
caso. Io in difesa, Gnoppino in attacco. Lui è forte. Io scarso in
difesa, in attacco addirittura improponibile. Nel volgere di poche
battute siamo in svantaggio per 6 a 1. La partita finisce quasi con
un cappotto. Quasi... perché sull'onda della disperazione tento il
miracolo. Contando sul ripetersi del caso, mi avventuro in alcuni
tiri di sponda, cercando di capire com'è sortito quel primo tiro
fortunato. Al terzo tentativo, il miracolo. La palla fa esattamente
lo stesso percorso della prima, identico anche il suono sordo in
fondo al sacco, e così la quarta e la quinta. La palla successiva,
l'ultima, decreta la vittoria del duo Cingottini/Brocchette.
Ma
che paura gli si è messo con quei tiri imparabili! È Gnoppino, a
gioco fermo, che allora tenta, anche lui, lo stesso tiro. Stessi
tentativi da parte di Brocchette e del Cingottini. Nessuno che riesca
a fare alzare in volo la palla. E' un caso! Anche se ripetuto faccio
io, mentre m'impossesso della pallina. L'ultima! Non ho voglia di
mettere dentro un altro gettone a vuoto! La piazzo giusto accanto al
terzino sinistro. Il polso sembra suggerirmi sia il giro sia la
spinta giusta. A vuoto provo mentre gli altri mi osservano,
increduli, lo sguardo di chi è abituato a snobbarmi. Poche prove a
vuoto e all'improvviso il colpo, stesso giro stessa forza. La palla,
ubbidiente verrebbe da dire, si alza in volo e disegna la stessa
identica traiettoria. GOALL! La voglia di gridare, ma mi trattengo;
gioia e incredulità mi spingerebbero a fare ben altro...
Finora
snobbato, da poco uscito di Seminario, così lontano dai giochi di
oggi e dai più elementari fatti della vita, lontano dagli amici di
un tempo quando eravamo bambini. Bambini diventati ragazzi con poco
in comune e da riconquistare alla confidenza, agli interessi comuni,
in quella quotidianità oramai perduta che ci fa sentire talvolta
degli estranei. è l'inizio del processo di “riabilitazione”,
quale lento percorso a riconquistare un posto dentro il gruppo, quel
posto che avevo lasciato di mia spontanea volontà per fare un'altra
strada. Non c'è un esame d'ammissione, non sono codificati canoni
d'accesso, né previste coreografie particolari d'iniziazione. È un
rapporto epidermico, quasi uno stato d'animo che si manifesta e ti fa
sentire ben accetto nel gruppo, ti fa sentire degno di appartenervi,
ti fa sentire quella consanguineità di quartiere che a San Miniato
ha altro nome. E all'improvviso sei parte del gruppo, considerato,
rispettato e anche temuto. Ci ripenso. “Rispettato!” Per un caso,
per puro caso! Caso che comincia a ripetersi ogni sera e ci prendo
gusto, veramente gusto. Prima nessuno mi voleva in squadra e ora
tutti mi vorrebbero. Quasi non ci credo.
Quando
entri al Circolino, il biliardino, ossia il Calcio balilla, è
piazzato davanti all'ingresso, tra il Bancone del bar e la
televisione che occupa tutta la parte destra di quello stanzone, non
unico del Circolino “Enal”, che un po' tutti identificano come il
Circolino dello Scioa. L'ingresso anonimo, di lato ad un andito,
porta sempre spalancata, che si apre proprio davanti alla casa di
Dilvo Lotti e al vicolo del Bellorino. Lo si può riconoscere da una
modesta e minima insegna di lamiera, infissa nella parete esterna,
che l'Enal ha consegnato al Circolo al momento dell'affiliazione.
Accanto, lo sporto di un altro Lotti, ciabattino questo. Ciabattino
di lusso. Fa anche scarpe su misura e ne vende per ogni esigenza,
quelle artigianali di un calzaturificio di Fucecchio. Per
quell'andito si accede a due appartamenti ai piani superiori, mentre
a piano terra, giusto in fondo allo stesso, c'è un uscio, che è
d'ingresso alla camera di Dusola, camera comunicante con il
ripostiglio del Circolino.
Dusola
una vecchia che vive oramai sola da anni in questa camera sempre al
buio anche di giorno. Noi ragazzi si sbaglia tante volte uscio, e
invece di andare a prendere una scopa, ci si ritrova in quella
camera, dove Dusola sembra dormire sempre, di giorno e di notte. La
finestra, gli scuri sempre chiusi. Oltre al Bar nell'ingresso, altre
due stanze completano il Circolo. Larga quanto il Bar e comunicante,
tramite una terrazza, con l'orto, ora messo a giardino, una stanza
troppo piccola per le carte. Serve soprattutto per le riunioni dei
capocci e da deposito. Di lato la stanza grande, alla cui sinistra
c'è, da una parte il ripostiglio e la camera di Dusola e dall'altra,
sempre a sinistra, il cesso. Al posto della buca una turca e uno
sciacquone con l'acqua corrente. Stanza grande adibita al gioco delle
carte, dove da pochi giorni sono apparse tre “Slot Machine”, tra
la curiosità soprattutto di noi ragazzi, ma anche di qualche
vecchietto, che con qualche “ventino” tenta la sorte.
In
quella domenica d'inizio Quaresima, ultima chiamata utile per
festeggiare con i bambini il Carnevale, è in uso giocare alla
“pentolaccia”. E proprio in quella stanza per iniziativa dei
soliti volenterosi, ossia di Giuliano detto “Fischio d'Oro” e di
Rino il barbiere, quella domenica pomeriggio non si gioca a carte, si
fa festa con i bambini. Tutti a giocare alla pentolaccia e a fare
baldoria. Tante mamme; chi a fare cantuccini, chi biscotti, chi un
dolce. E vassoi in attesa dell'assalto dei bambini all'ora di
merenda, pane e olio, ma anche panini e “semmelli” con mortadella
di quella buona col pistacchio. È dalla mattina che alcune mamme,
preso possesso della stanza, l'hanno ripulita ben bene, passando
anche il rosso in terra sui mattoni. Messi in fila alcuni tavolini,
quelli delle carte, l'hanno apparecchiati con delle tovaglie, quelle
che al circolo usano in occasione delle feste. Quando arrivo, sono
quasi le tre, sembra di entrare in un altro mondo. Già l'illusione
del pulito, lo stesso profumo d'acquetta nell'aria, pulito che salta
agli occhi tanto in terra quanto sui tavoli. Le quattro Pentolacce da
appendere ai correnti del soffitto e le sedie messe in fila,
rispolverate, tutte attorno alla stanza a lasciare libero tutto lo
spazio centrale. Sopra un tavolino, ad angolo, dove c'è una presa
della luce, Fischio d'Oro col giradischi sta facendo le prove,
sceglie la musica che decreterà il tempo utile a chi, bendato,
tenterà di trovare e rompere la Pentolaccia. È “Fischio d'oro”
a far girare i dischi di Mina, di Celentano, di Betti Curtis, di
Dallara e Joe Sentieri. Tutto fatto con precisione e dedizione e lì,
da una parte Rino insieme a Romanello, anche a preparare sorprese da
mettere da ultimo dentro la pentolaccia. Mi fermo affascinato da
quella bramosa collaborazione. Le donne che affettano il pane e
preparano le merende, mentre dentro alle pentolacce vanno a rifinire
alcuni dischi a 45 giri, qualche libro di quelli tascabili della Bur,
pacchetti di caramelle, astucci di matite e buoni spesa da consumare
al bar: dispensiere il Lotti. Altro Lotti, è quello che sta al
Poggio. Segnali importanti e forieri di novità per una gestione,
quell'attuale, a misura esclusiva dei soci più grandi, soprattutto
se Reduci o Partigiani, ben poche attenzioni per noi ragazzi che non
siamo niente di questo.
Intanto
io mi godo quel momento, come segno di cambiamento, un po' come
quello personale, di cui sento quasi epidermica la sensazione, che è
di benessere e leggerezza, mentre arriva Orlando con il suo Torpado.
“Cinquantino”, in dotazione di Gnoppino, che parte importante
avrà nella nostra amicizia; complice indivisibile delle nostre
domeniche, a suggellare un rapporto destinato a durare nel tempo. Si
va alla Serra??? Oggi è l'ultimo giorno che ci ballano… per tutta
Quaresima restano chiusi, è l'invito, quasi un comando di Gnoppino.
La domenica usciamo insieme, usando fino in fondo quel senso di
libertà che ci dona il Torpado. Libertà di andare ben oltre le
nostre gambe, a nostro piacimento, in velocità. Piacere che io
assaporo tutto, dietro a Gnoppino, su quel sellino, a lui
avvinghiato, i piedi a mezz'aria ché non freghino in terra… gli
occhi chiusi a difesa del vento e dei moscini. È una tentazione
irresistibile. Lì al Circolino non c'è nulla per noi che ci
trattenga, oggi che la festa è tutta per questi bambini piccoli.
Però stasera, dopo cena, ballano anche qui. Mi piacerebbe vedere se
ci fanno venire anche quelle tre o quattro ragazze che ho adocchiato
e che abitano a due passi. Almeno quelle verranno! Oltre a mia
sorella e alle mie cugine. Mi aggrappo a Groppa, appena in tempo a
salutare Nonno Nuti lì di strada, diretto alla Misericordia e alla
sua partita a 21 che mi fa: “Non fate tardi”. Nel frattempo
cominciano a sciamare tanti bambini, chi da solo, chi accompagnato
dal nonno, chi per mano alla mamma o al babbo, mentre qualcuno si
limita a attraversare la strada come Cecilia, o come Francesco che
viene da Piazza dei Polli, o come Luca il figliolo della
parrucchiera. A prima vista sono davvero tanti. Non ce la faccio
neppure a tentare di contarli. La salita di Sant'Andrea, la superiamo
a stento. Verso la Serra, passando dalle Colline e giù dalla
Borghigiana, davanti a quel Bar Alimentari che si sta attrezzando per
ballare nel retrobottega. Alla Serra, solito giro! Tutte le ragazze
in fila, tutte d'accordo o quasi a dirti di no, quando le inviti a
ballare. Quasi tutte scortate da mamma o da zia. Poche variazioni al
tema! Poi anche loro cominciano a sciogliersi, ma con chi pare loro,
poche volte con me. Senza rimpianti, anzitempo, torniamo in San
Miniato. Confidiamo, questa è la speranza, in un veglione tutto
nostro, al Circolino delle Scioa. E sarà veramente un veglione tutto
nostro, anche imprevisto.
Dopo
le nove, appena poco dopo, mi ritrovo al Circolino. Ci siamo quasi
tutti: oltre me, Berto, Gnoppino, Brocchette, Gallina, Alberto, Beppe
di Gnoppa, Pierino, Francesco, Giancarlo di' Turini. In arrivo alla
spicciolata lì. Punto d'incontro per ripartire verso “altro” in
quella sera d'inizio primavera. Giancarlone col suo Moto Morini,
pronto a partire in gruppo, diretto verso Montecatini assieme al
Pantani e al Nencini, anch'essi muniti di moto. Li vedi e li senti
ripartire anche dal rombo del motore che rimbomba lungo tutta Via
Paolo Maioli quasi a chiedere strada. Restiamo noi, quelli più
piccoli, appiedati o quasi, a prendere posto e visione in quella
estemporanea sala da ballo, di cui ci sembra quasi di avere
l'esclusiva. Gradevole sensazione che si traduce in un senso di
sicurezza nel muoverci, nell'esserci di fronte agli altri, alle
ragazze, agli adulti e ai vecchi. Sala che si riempie velocemente,
mentre consumiamo una pacifica partita al biliardino, fatta lì per
lì, più per ingannare l'attesa che per il piacere del gioco. Solo
pochi minuti e ti accorgi che, il prezioso lavoro del pomeriggio e lo
spontaneo passaparola, hanno portato i suoi frutti riuscendo ad
attirare ragazze, mamme, ma anche ragazzi, coppie di giovani sposi
giunte lì per la voglia di divertirsi. E “Fischio d'Oro” a
mettere la musica, mentre con la sua “Reflex” ferma immagini
della serata.
Seguendo
le note e il ritmo del “Tangaccio” facciamo il primo giro di
sala. Le mangiasoldi, già incappucciate, quasi ad anticipare il
clima di quaresima. Davanti le prime sedie; una ragazza e una mamma,
una ragazza e una mamma, tre ragazze in fila e una zia… è Zia Pia,
e ancora una ragazza e una mamma. Inaspettati anche la mia mamma e il
mio babbo si affacciano appena. Dopo pochi minuti li rivedo seduti ad
un tavolino all'altro capo della sala. In angolo, davanti all'uscio
che da anche in camera di Dusola, una ragazza, già intravista appena
pochi giorni prima, di passaggio in quel pezzetto di strada. Deve
essere nuova, non so dove abita né come si chiama. Ora è lì, lo
sguardo appena incrociato e poi distolto verso terra, il suo.
Identica reazione del nostro primo fugace incontro. In fila davanti a
me Gnoppino, Berto a scherzare ridendo. “Si fa un ballo?” domanda
indirizzata a vista lungolinea senza pretese, senza neppure
soffermarsi. Nell'angolo mi soffermo. Quasi un sussurro il mio “Si
fa un ballo?”. Lo sguardo perso nel vuoto, non oso fissarla.
Sguardo che vaga tra lei, la mamma e quel pavimento di mattoni appena
ripassati col rosso.
“Certo!”
risposta ben scandita, due braccia robuste che mi afferrano, mi
dirigono al centro della stanza. È la mamma che ha risposto
all'appello anticipando la figlia. Non oso volgere lo sguardo nel
cantone tutto intento al ballo che neppure conosco. Poche prove fatte
con l'aiuto delle mie cugine ad introdurmi ai rudimenti del ballo.
Non è panico, ma quasi. È questa mamma che mi viene in soccorso a
guidarmi, un braccio attorno al collo e l'altro sulla spalla destra a
dettare tempo e direzione. Quando a destra, quando a sinistra, quando
a girare, quando a fermarsi… forse un tango. Ben stretto in quella
morsa, ubbidiente al tempo e al ritmo anche se in affanno, compresso
e stretto ad un seno straripante che contiene e mantiene inalterate
le distanze. Solo ora mi rendo conto fino in fondo di questa mamma,
generosamente abbondante in ogni dove, intenta a tenermi affinché
non gli sfugga dalle mani, prigioniero delle sue mani e di quel seno
che mi sospinge e nel contempo mi trattiene a distanza. Alla fine di
quel primo ballo, neppure il tempo di un timido grazie che mi sento
quasi risollevare… è un valzer.
Quasi
una morsa quella mano prensile a manovrare la spalla come fosse un
volante, sensazione che rimane sotto forma di fitta dolorosa anche
alla fine del terzo ballo, quando riesco a liberarmi. La sorpresa
vera è il risultato del giro successivo che sembra volermi informare
di una regola non scritta: se balli con la mamma, hai la possibilità
di ballare anche colla figlia. E in quell'angolo, con un sorriso
appena accennato, è in attesa per sussurrarmi un timido sì, quella
ragazza, la figlia. La musica quasi non la sento, l'emozione mi
impedisce di aprire bocca al primo ballo. Entrambi sulla difensiva.
Io muto. Lei un braccio timidamente appoggiato sulla spalla sinistra
e l'altro puntato decisamente alla spalla destra a mantenere le
distanze. A distanza di tanti anni mi rimane impressa la sensazione
di quella innaturale distanza, di quei balli sofferti insieme, di
quei sorrisi ricambiati all'incrociarsi degli sguardi, e di quella
sedia improvvisamente vuota e di un nome che non ho mai conosciuto.
La notizia, il giorno dopo, del suo ritorno a Casale Monferrato
assieme alla mamma, dopo un breve soggiorno da una sua cugina di San
Miniato.
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