GF1843-5/20_NECROLOGIO
DI AVERARDO GENOVESI PROF. DEL LICEO DI S. MINIATO
Questa pagina fa parte del regesto
inerente le notizie sanminiatesi contenute nella Gazzetta di Firenze
dell'anno 1843.
Estratto
dalla
Gazzetta di Firenze
n. 26 del 2 marzo 1843, p. 4:
San
Miniato – NECROLOGIA
Averardo
Genovesi, professore di belle lettere nel Regio Liceo di questa
Città, mancò ai viventi la mattina del 15 Gennajo decorso, nel suo
64° anno. L'annunzio della sua morte fu cordoglio universale; così
era egli tenuto in pregio per il suo sapere, ed amato per le sue
virtù private e pubbliche. Un numeroso Clero, ed una Schiera de'
suoi Discepoli ne accompagnarono dolentissimi il Cadavere alla
Cattedra e, poi all'Oratorio della Misericordia. Accrebbero la mesta
solennità dei Funerali i Professori del Liceo, ed i Cittadini più
ragguardevoli; accorsi a pregare per l'illustre e diletto defunto, e
ad ascoltarne l'elogio che il D. Enrico Buonfanti, vincendo
l'angustia del tempo, seppe trovare nell'affetto verso l'estinto
amico una ricca vena di pensieri per rilevarne i pregj, e per farne
deplorare la perdita. Ci varremmo di questo eloquente e veridico
lavoro per appresentare la bella immagine della mente e del cuore del
Genovesi, e dar conto delle sue produzioni letterarie, se ciò non
fosse materia più vasta che non comporti un'annunzio necrologico, e
se non dovesse essere pubblicata la vita dell'Esimio letterato, e del
vero cittadino insieme con molte sue composizioni inedite; lasciate
da Esso ad un suo dilettissimo Nipote, perché le ponga in luce a
vantaggio dei poveri della sua terra Natale. La scelta di questi
eredi nel retaggio della preziosa proprietà dell'intelletto, mostra
sola di per sé come il Genovesi intendesse, ed esercitasse
l'altissimo ufficio di letterato. Fino dalla primissima gioventù non
iscompagnò mai le azioni più generose dalla libera professione
delle più utili verità; e la sua nobile poesia, e la sua prosa
elegante furono mai né vane ciance, né vil merce, né omaggio
servile. Fermo ne suoi propositi, volle canuto quel che imberbe
desiderava: e la malignità della fortuna, e la infelicità dei tempi
non gli fecero mai disperare del trionfo della civiltà. Così visse
e morì nella medesima fede. (A. C.)
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