lunedì 22 maggio 2017

“UNA CITTA' IN FUGA” – I LIVORNESI SFOLLATI A SAN MINIATO DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

di Francesco Fiumalbi

Sabato 20 maggio 2017, presso il Circolo “A. Cheli” di San Miniato si è svolta la presentazione del libro di Enrico Acciai, Una città in fuga. I livornesi tra sfollamento, deportazione razziale e guerra civile (1943-1944), Edizioni ETS, Pisa, 2016. Una pubblicazione realizzata fra le iniziative di ricerca promosse dall'Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea (ISTORECO) di Livorno e la cui presentazione si è svolta nell'ambito della rassegna “Il maggio dei libri”, a cui ha aderito la Biblioteca Comunale “M. Luzi” di San Miniato.
Partendo dalla pubblicazione, è stata l'occasione per trattare molti argomenti legati anche alla storia sanminiatese. Di seguito è proposto un breve resoconto.

Un momento della serata. Al centro l'autore Enrico Acciai
Foto di Massimo Gabbrielli

Lo “sfollamento” dei civili durante la Seconda Guerra Mondiale è un tema che troppo spesso è stato relegato in posizioni marginali. Certamente non si tratta di un argomento di scarsa importanza, bensì determinante per comprendere la vita italiana nell'ultimo triennio della guerra, fra il 1943 e il 1945. Le principali cause di questo “vuoto” storiografico vanno ricercate nella vastità e nella complessità del fenomeno: come ricordava Enrico Acciai, durante la guerra circa metà della popolazione italiana fu costretta a sfollare, da alcuni giorni a molti mesi, e l'altra metà si trovò a dover accogliere e ospitare. Va aggiunto il fatto che non si trattò di un qualcosa di organizzato e pianificato dalle autorità politiche e governative – la cui capacità era ormai ridotta dal progredire della guerra – bensì di un processo lasciato quasi interamente alle iniziative dei singoli, al massimo a livello familiare. Per questi motivi, una ricerca scientifica che intenda approfondire una tale tematica non può che incontrare una serie di difficoltà: quali fonti narrative utilizzare? Che tipo di documenti pubblici è possibile rintracciare? In quali archivi e in quali contesti? Si tratta di aspetti che fino a questo momento hanno costituito un ostacolo considerevole per giungere alla definizione e quindi alla comprensione del fenomeno nella sua dimensione e articolazione.

Tenendo presenti queste considerazioni è stato trattato il caso particolare della città di Livorno: quando e come ebbe inizio l'allontanamento dalla città, con quali modalità e dove si diressero i livornesi, quali furono le difficoltà immediate e quelle di lungo periodo affrontate dalla popolazione in fuga, quale accoglienza ricevette e come risposero le comunità ospitanti. Senza dimenticare le storie individuali e particolari, come le vicissitudini patite da una famiglia ebraica.
In tutto questo è stata l'occasione per parlare anche un po' di storia sanminiatese. Durante la guerra, infatti, nell'intero territorio comunale arrivarono circa 3200 sfollati di cui 1600-1700 livornesi. Perché tutte queste persone a San Miniato? I singoli legami personali ebbero una grande importanza: la possibilità di trovare ospitalità presso familiari o persone amiche, tanto in città quanto nella campagna, determinò la scelta di molte destinazioni. Tuttavia, anche la presenza della ferrovia fu un elemento decisivo per quanti dovevano raggiungere Livorno quotidianamente per lavorare nei pubblici uffici, nelle industrie e nel porto labronico.

Uno sfollamento che per molti durò più di un anno, dal momento che la città di Livorno fu letteralmente distrutta dal passaggio dalla guerra e solamente il 25% degli alloggi era abitabile alla fine delle ostilità. A ciò va aggiunta la massiccia presenza di militari, prima tedeschi e poi alleati, a controllo e gestione del porto. In questo periodo, che va dalla primavera del 1943 alla fine del 1945 (e per alcuni anche molto oltre) i livornesi si trovarono a vivere lontani dalle proprie case, dalla propria comunità: patirono la fame, si dettero da fare in ogni modo per sopravvivere, crearono nuovi legami e talvolta innescarono anche momenti di tensione. Inoltre si trovarono a condividere i drammi delle popolazioni locali come a San Miniato, dove 9 delle 55 vittime della Strage del Duomo erano originarie proprio di Livorno. Per rimanere in zona, alcuni livornesi morirono anche nella Strage del Padule di Fucecchio. Ne esce un quando estremamente ampio e variegato, intessuto di episodi di grande generosità ma fatto anche di tensioni e tentativi di lucrare sulla pelle degli sfollati. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.

La serata è terminata con le testimonianze di Giorgio Morelli, Giuseppe Chelli e Riccardo Nieri che hanno condiviso con i presenti alcuni episodi legati alla presenza dei livornesi nel territorio sanminiatese. Circostanze personali e familiari, ma rivelatrici del clima che si respirava in uno dei periodi più difficili della nostra storia contemporanea.

In conclusione si tratta di un libro incentrato su un tema importantissimo e centrale per comprendere la vita dei civili toscani e italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, partendo dal caso specifico della città di Livorno. Un testo redatto con grande lucidità, privo di retorica e contraddistinto da un'ottima chiarezza di esposizione. Si tratta a buon titolo di un testo di divulgazione, destinato alla lettura di un pubblico anche non specialistico, senza tuttavia rinunciare al rigore scientifico. Chi fosse interessato ad approfondire il tema del passaggio della guerra in Toscana non può fare a meno di leggerlo.


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