a cura di
Francesco Fiumalbi
Su segnalazione
dell’amico Alexander Di Bartolo, a cui va un sentito e sincero
ringraziamento, di seguito è proposta un’interessante
pubblicazione sotto forma di idillio. E’ dedicata alla “Madonna
di Cigoli”, la venerata immagine medievale che si conserva nel
Santuario di Maria Madre dei Bimbi.
Il testo, almeno
nella sua prima stesura del 1837, risulta anonimo, non firmato. Una
seconda edizione (non datata!), è stata erroneamente attribuita alla baronessa
Elena Morozzo della Rocca (1852-1923), moglie di Giorgio Sonnino (il fratello di Sidney), che aveva fissato la propria dimora nella Villa di Castelvecchio
attorno al 1880. La baronessa non fu, dunque, l’autrice della
composizione, ma il suo nome compare nella riedizione come una "dedica" per un non meglio specificato "merito singolare".
Il marito della
baronessa, Giorgio Sonnino, era di famiglia ebraica e la stessa
figlia della coppia, Margherita, nata a Firenze nel 1873, abbracciò
inizialmente la religione ebraica, per poi diventare valdese ed
infine cattolica. Non è quindi da escludere che Elena Morozzo della
Rocca, si fosse particolarmente distinta nell'ambito della parrocchia cigolese, rivendicando in
qualche modo la sua appartenenza alla fede Cattolica e, molto
probabilmente, era anche sinceramente devota alla “Madonna di
Cigoli”. Purtroppo, allo stato attuale degli studi non possiamo affermarlo con certezza, ma proprio nella seconda metà dell'800 la chiesa di Cigoli venne allungata di una campata e fu realizzata la nuova facciata che ancora oggi si vede. E' assai probabile che la facoltosa baronessa avesse destinato una somma consistente per l'operazione edilizia, tanto da muovere la gratitudine del popolo cigolese, che le dedicò la ristampa dell'opuscolo. Questa è soltanto un'ipotesi, ma sappiamo che in quegli stessi anni si verificò la "scissione" della chiesa di Ponte a Egola e il grosso dei parrocchiani venne a mancare. Quindi l'allungamento della chiesa e la nuova facciata dovettero godere di introiti "straordinari", che solo una persona davvero benestante poteva sostenere.
Questa seconda edizione è visibile anche sul sito del Santuario di Cigoli.
Questa seconda edizione è visibile anche sul sito del Santuario di Cigoli.
[01]
NARRAZIONE POETICA
D’UN INSIGNE
MIRACOLO
OPERATO DALLA
SANTISSIMA
VERGINE DEL ROSARIO
CHE SI
VENERA
NELLACHIESA PIEVANIA DI S. GIOVANNI
NELLACHIESA PIEVANIA DI S. GIOVANNI
A CIGOLI
SAMMINIATO
PRESSO ANTONIO CANESI
1837
[03]
I.
Donde al turbato
spirito
Improvvisa brillò
fulgida luce?
Chi guida il piè sul
florido
Sentier beato che a
sperar conduce?
Sei tu, Maria, la
bella
Di pace apportatrice
amica stella.
II.
Di tua pietade un
raggio
Sperde la nebbia
dell’incerta mente,
E sotto la gran’egida
Mi guida, cui sostien
tua man possente,
E all’ombra sua
gradita
I tuoi portenti a
celebrar m’invita.
III.
Si sciolga all’ara
un cantico
Che della tua pietà
le laudi suoni,
Onde la speme, i
miseri
Figli del pianto mai
non abbandoni,
E vivo in ogni petto
Per la Vergine pia
sorga l’affetto.
[04]
IV.
Nel suol che nome
all’inclito
Artista diè, che con
ardito ingegno
Destò le menti
languide
A più sublime, e
glorioso segno (1),
Si venerava un sacro
Della Dica del Ciel
pio simulacro.
V.
Pietosa era
l’Immagine
E quale un dì
comparve al pro’ Gusmano:
Avea le cinque Decadi
Di rose inteste nella
destra mano,
E sui labbri il
sorriso
Che rallegra i
celesti in Paradiso.
VI.
Devoto antico Tempio
(2)
All’Imago fornìa
fido ricetto:
Ivi la mesta vedova
Si consolava del
cambiato affetto,
E al Cielo ognuor
propizio
Generoso del cor fea
sacrifizio.
VII.
Offriva i primi
palpiti
La donzelletta, e il
verginal candore;
E dall’immondo
spirito
Maria ne serba
immacolato il fiore,
Che cresce intatto in
seno
Siccome rosa nel
natìo terreno.
[05]
VIII.
Di tenerezza lacrime
Versa dal ciglio il
vecchiarel canuto,
Mentre con voce
tremula
Scioglie dai labbri
il verginal saluto,
E con man pure
inserti
Di dieci rose offre
odorati serti.
IX.
Se nelle cupe viscere
Della terrestre mole
anima, e incita
L’ira del Ciel
terribile
Dei zolfi ardenti la
virtù sopita;
Se lue maligna
apporte
Sulla tomba del padre
al figlio morte;
X.
Se tempestosa
grandine
Urta le messi, e i
grappoli flagella;
Se i nembi aduna, e
suscita
Lo spirito animator
della procella,
Corre a Maria,
smarrita
La fedel turba a
domandarle aìta.
XI.
E in Lei fidando,
sorgere
Sente nell’alma la
novella speme,
Vede sparire il
turbine,
E il rio presagio di
miserie estreme,
E con serena fronte
Ricomparire il Sol
sull’orizzonte.
[06]
XII.
Della pietosa Vergine
Si diffondean così
gli alti favori,
Tal per la Madre
amabile
Crescea l’amor
negli infiammati cori,
Che dei portenti al
grido
Accorrea d’ogni
banda il popol fido (3)
XIII.
E chi porgeva
suppliche
Pei dì felici
dell’antico padre;
E qual colmo di
giubilo
Grazie rendea per la
salvata madre;
E chi con cuor devoto
Sciogliea fedele a
piè dell’ara il voto.
XIV.
Ma chi maggior di
grazie
Di quel che a te
donò, cumulo ottenne,
Donna, dalle cui
lacrime
Della gioja verace il
dì provenne?
E chi più grato sia
Alla bella d’amor
Madre Maria?
XV.
Presso le rive
floride
Cui bagna il Roglio
colle placide onde,
Ove tranquilla, e
limpida
L’Era le accoglie,
e colle sue confonde,
Soggiorno avea di
morte
Moglie infelice di
crudel consorte.
[07]
XVI.
Due volte al sen la
misera
Delle viscere sue si
strinse il frutto;
Due volte, ahimè!
Funerea
N’ebbe cagion
d’interminabil lutto;
Che freddi i figli
accanto
Sull’alba si trovò
sordi al suo pianto.
XVII.
E invan d’amari
gemiti
Empie ogni loco, e al
Ciel si lagna invano:
E già s’insinua
tacito
Crudel sospetto nel
marito insano,
Che a lei sperar non
giova
Conforto in terra, se
su in ciel nol trova.
XVIII.
Ma intanto oh Dio! La
misera
Ha grave il grembo di
novello pondo;
E le minaccia il
barbaro
Consorte in suon di
sdegno furibondo,
Se il figlio avvien
che mora
Avrà tomba con lui
la madre ancora.
XIX. Geme al seral
annunzio
Né trova la meschina
al duol conforto:
Talor nel sonno
sembrale
Nel silenzio di morte
il figlio assorto,
E un rio
presentimento
Pianger la fa qual se
già fosse spento.
[08]
XX.
Alfin l’amaro
termine
Della nona si compie
infausta luna,
E l’innocente
pargolo
Gelosamente custodito
in cuno
Respira l’aure
prime
E in languidi vagiti
il pianto esprime.
XXI.
Ma pochi appena
scorsero
Incerti giorni, che
la madre amante,
Mentre s’affretta a
porgere
L’alimento del
petto al caro infante,
Lo trova inutil peso
Sulla gelida culla
esangue steso.
XXII.
E invan d’amare
lacrime
Lo bagna, e tenta
richiamarlo in vita,
Che sordo ai lunghi
gemiti
Non sente il figlio
la materna aita;
E dalla fredda salma
Ben chiaro appar ce
dipartita è l’alma.
XXIII.
Lo lascia, e il crin
si lacera
Forsennata la madre,
e al ciel sospira,
E fugge inconsolabile
Disperata nel duol
che la martira;
E correa furibonda
Il suo cordoglio a
seppellir nell’onda.
[09]
XXIV.
Quando s’avvenne in
giovane
Donna di venerando e
vago aspetto,
Che la cagion del
flebile
Plorar le chiese con
pietoso affetto,
Ma sorda ai dolci
accenti
Raddoppia la meschina
i suoi lamenti.
XXV.
Pur la dolente
istoria
Di sue sventure a
raccontar s’induce;
E come detestabile
Le comparìa così
del Sol la luce,
Che alla crudel sua
sorte
Non rimanea conforto
altro che morte.
XXVI.
Allor con amorevoli
Voci la distogliea
dal rio consiglio,
E le dicea che
barbaro
Il Ciel non è quando
percuote un figlio;
E come il ben sovente
In sen della sventura
ha la sorgente.
XXVII.
Così dicendo,
riedere
La fea men trista a
riveder la spoglia
Del caro estinto
pargolo;
Ma giunta appena
sull’infausta soglia,
L’idea del dolce
pegno
L’arresta, e del
marito il crudo sdegno.
[10]
XXVIII.
Pur singhiozzando
ascendere
Con violento piè le
soglie puote,
E riveder l’esanime
Figlio giù steso
colle labbra immote
In braccio alla
vezzosa
Consolatrice del suo
duol pietosa
XIX.
Che al sen lo
stringe, e l’alito
Gli infonde in petto
che mantien la vita,
E nella salma
immemore
L’alma richiama
ch’era dipartita,
E il figlio in lieta
faccia
Rende risorto alle
materne braccia.
XXX.
Or di quell’alma il
giubilo
Ridir mi sappia chi
di madre ha il senso;
Miracol fu che
all’impeto
Regger poté di quel
piacere immenso;
Che alla rara
dolcezza
Di vera gioja il cor
non mai s’avvezza.
XXXI.
Voci non ha che
esprimano
Suoi grati sensi, e
quel non più sentito
Del sen tenero
palpito
Che al duol succede
ond’era il cor sopito:
Deh dimmi, alfine
esclama
Chi da morte col
figlio or mi richiama?
[11]
XXXII.
Il suol che Ceuli
appellano
Ho il mio soggiorno,
e me noman Maria:
Disse; e qual nube
candida
Che si dilegua per
l’eterea via
Le scomparì dal
ciglio
Colei che la salvò
dal rio periglio.
XXXIII.
Muta rimase, immobile
La donna allor col
fanciullin risorto,
Che d’infantili
grazie
Alla madre porgea
novel conforto:
Riscossa alfin,
giuliva
Esaltò la pietà
della sua Diva.
XXXIV.
E l’alba appena
sorgere
Vide dell’altro dì,
che in traccia volse
Di Lei che dalle
squallide
Fauci di morte il
figlio suo ritolse:
Nell’ansiosa mente
Lieta di rivederla, e
impaziente.
XXXV.
Giunge al Castello;
interroga
Ove sia donna che
Maria si appella (4)
Né mai sì
venerabile
Trovo sembiante, né
pieta sì bella
Che traluca dai cigli
Né volto sì gentil
che a Lei somigli.
[12]
XXXVI.
Intanto in folla il
popolo
D’intorno accoglie
di saper desìo:
E al pio Pastor
l’annunzio
Ne giunge, che i
lpensier rapito in Dio,
La vide… e a te chi
sia
Io io gridava
additerò Maria.
XXXVII
Così dicendo al
Tempio
Seco la trasse, e
genuflessa all’ara,
porgi devota supplica
A Lei che consolò
tua vita amara;
Sì dicce, e il sacro
velo
Tolse alla Bella che
innamora il Cielo.
XXXVIII.
Al folgorar del
vivido
Propizio sguardo,
alla pietà del viso
La donna, ah! non più
misera
Sei tu, gridò, sei
tu, ben ti ravviso
Madre del bello
amore,
Che porgesti conforto
al mio dolore.
XXXIX.
Deh! tu la lingua
accendimi
Di tua pietade a
celebrar la gloria,
Onde le genti
imparino
De’ tuoi portenti
la pietosa istoria;
Ma pria m’infiamma
il petto
Augusta Diva di
celeste affetto.
[13]
XL.
Proteggi, o bella
Vergine,
La madre, e il figlio
che al mio sen rendesti;
Tu che su questo
popolo
Copia diffondi di
favor celesti,
Tu ch’ogni freddo
core
Scaldi alla fiamma
del divino amore.
XLI.
Molle di calde
lacrime
Tornò l’avventurata
al patrio lido,
Che la verace istoria
Ne tramandò dei
figli alla memoria.
XLII.
Deh! se propizia o
Vergine
Tu fosti ai prieghi
dei devoti figli,
Ci salva or dai
terribili
Dello spirto d’abisso
orridi artigli,
E sciolto il mortal
velo,
Ci guida, o Madre, a
benedirti in Cielo.
[14]
NOTE:
(1) Da
Cigoli ove sortì i natali, prese il cognome l’insigne Pittore
Lodovico Cardi di famiglia Samminiatese. Egli fu il primo che
nell’infievolimento in cui l’entusiasmo pei grandi modelli aveva
ridotto la Scuola Pittorica di Firenze, nel XVI secolo troppo ligia
di servili imitazioni, destò la Nazione a uno stile più nobile, e
originale. (Almanac. Degli Erud. Tosc.)
(2) La
Chiesa di S. Giovanni a Fabbrica prossima a quella attualmente
distrutta di S. Andrea a Bacoli, rammentata nella Bolla del Pontefice
Celestino III spedita li 1194 al Preposto di S. Genesio, mentre la
Parrocchia di Castelvecchio (S. Michele del Castello de Ceulis)
faceva parte fino da quella età del Piviere di Fabbrica. (Repetti
Dizion. di Toscana)
(3) Nel
Secolo XIV l’immagine della Venerata Annunziata divenne pei
Fiorentini l’oggetto più caro della loro devozione. Innanzi ad
Essa riscosso aveano un culto speciale l’Immagine di S. Maria da
Cigoli ec. (Sacchetti Lett. A Jac. del Conte)
E il medesimo
scrivendo di certo Tommaso di [15]
Luigi de Mozzi andato per voto a Cigoli, così
si esprime «E fu un tempo che a S. Maria da Cigoli ognuno accorrea».
(Osservatore Fiorentino)
(4) Richiesta
la S. Vergine qual fosse il suo nome, e qual Paese abitasse; io mi
chiamo, rispose, Maria, ed abito a Cigoli accanto a Rocco, e Michele:
i due titoli delle due Chiese in mezzo a cui è posta la Chiesa di S.
Giovanni a Fabbrica, ove a riconoscere la sua Benefattrice condusse
il Parroco quella Madre fortunata, e a render grazie a Maria per
quelle molto maggiori che da Essa avea ricevute.
(Tradizione Popolare)
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