a
cura di Francesco Fiumalbi
Giuseppe
Rondoni (San Miniato, 17 novembre 1853 – 16 novembre 1919), già
Direttore della Miscellanea Storica della Valdelsa e Presidente
dell'Accademia degli Euteleti, è senza dubbio una figura molto
importante per i suoi contributi sulla storia sanminiatese.
In
questo post è proposto un suo articolo dedicato a Barone de'
Mangiadori, personaggio di grande rilievo, non soltanto nel panorama
sanminiatese dell'epoca (schierato nella fazione magnatizia durante
la rivolta del 1308), ma anche in qualità di condottiero nella
Battaglia
di Campaldino,
durante il suo mandato di “Capitano di Guerra” per la città di
Siena, dove ebbe anche l'incarico di Podestà nel 1289.
Il
Rondoni riporta numerose notizie relative al periodo senese del
Mangiadori, ma stranamente tace sull'incarico di Capitano
dell'esercito per la Lega Guelfa, durante il quale si trovò ad
intervenire nelle lotte fra Guelfi “Bianchi” e Guelfi “Neri”
che lacerarono la città di Pistoia nel 1301. Di
queste notizie abbiamo testimonianza nelle “Istorie Pistolesi”
d'Anonimo,
date alle stampe per la prima volta nel 1733, con varie edizioni
successive, e che evidentemente rimasero sconosciute al buon Rondoni.
Non mancarono al Mangiadori anche altri incarichi prestigiosi per i
centri di Colle Valdelsa, Prato, San Gimignano, e per le città di
Volterra, Perugia e Firenze, di cui Rondoni non poteva essere a
conoscenza.
Trascrizione
di G. Rondoni, Il Franco
ed esperto cavaliere Messer Barone dei Mangiadori,
in Archivio Storico Italiano, Serie IV, n. 10, parte 1, anno 1882,
pp. 350-361.
AVVERTENZA:
In blu sono indicati i numeri di pagina corrispondenti. Le note,
presenti a margine di ogni pagina, sono state portate in fondo
all’articolo. Buona lettura.
IL FRANCO ED ESPERTO CAVALIERE
MESSER
BARONE DEI MANGIADORI
[350] Poiché, nelle condizioni presenti degli studii storici, tanto importano i menomi fatti e le persone della Cronica di Dino Compagni, un piccolo corredo di notizie inedite intorno al franco ed esperto Cavaliere Messer Barone Mangiadori di Samminiato, che tutti hanno imparato a conoscere e a stimare nelle pagine dello scrittore fiorentino, non parrà, voglio credere, inopportuno. Se il provare con documenti sincroni, non solo la esistenza del Mangiadori, ma che il carattere e le opere sue corrispondono, nei particolari, a quanto ne lasciò scritto il Cronista; se il mostrare che, su questo proposito, gli atti pubblici sono quasi un commento della Cronica, potrà, riuscire di nuova conferma all'autenticità sua, ed aggiungere una ragione piccolissima alle molte e dottissime recate dal Del Lungo, giudicherà, chi legge, bastando a me di avvertire che un falsario, tacendo di Messer Barone i più accreditati storici e cronisti, difficilmente avrebbe potuto rintracciarne pure il nome, nonché parlarne con tanta fedeltà.
Per
quanto sia andato investigando, dei molti che si occuparono del
medioevo toscano, di Campaldino e della età di Dante, dei molti che
minutamente dissertarono intorno alla celebre Cronica, quasi nessuno
pensò al Mangiadori, e lo stesso Del Lungo fu pago di accennare
ch'egli fu capitano di Siena (1),
desumendola, credo, dalle istorie senesi di Giugurta Tommasi. Fra gli
antichi, il Compagni solo lo ricorda; ma in guisa da far supporre che
in Toscana quel nome non dovesse suonare oscuro; alcuni storici
senesi vi spendono intorno maggiori parole, ma siamo ben lungi dal
ricavarne quanto fa di mestieri per un'indagine precisa e compiuta.
Nella
Cronica inedita che porta il nome del Bisdomini, all'anno 1289 è
detto: “Messer Tommaso di Anciota entrò di Gennaio per un anno
avvenire. Questo Potestà non finì el suo officio, [351]
perché fe’ giustizia d'uno cherco, che li tagliò la testa, e
piacque quella justitia a tutta gente et fu scomunicato dal papa. E
andando a Roma al papa per farsi ricomunicare, el comune di Siena lo
fe' accompagnare et fece le spese. Messer conte Barone da
Sammininiato fu fatto capitano di guerra dei Senesi, in luogo del
sopradetto Tommagio, et mutossi nome l'officiale di Siena; costui fu
il primo capitano” (sic) (2).
E il Dei allo stesso anno, ricordando Tommaso di Auciola Potestà
aggiunge: “Misser Barone de' Mangiadori da Samminiato fu fatto
capitano in questo anno” (3).
I due cronisti attinsero probabilmente ad una fonte più antica, ed
infatti, nota il Benvoglienti, nel catalogo dei consoli e Potestà
che si trova nell'Archivio del Duomo, di Tommaso si legge : "Dominus
Thoma de Lanciola de Parma, qui habuit brigam cum episcopo, fecit
quarantenam Romae, et ab illa communitate recessit, et Dominus Barone
de S. Miniato supplevit signoriam ipsius domini Thomae” (4).
Dal Bisdomini poi sembra che attingesse il Tizio nella sua immane
raccolta inedita, chiamando Messer Tommaso di Anciola seu Nicciola, e
ripetendo il fatto del chierico suppliziato, e della scomunica, per
la quale il Potestà sarebbe stato malvisto da ognuno (omnibus
displiceret). Aggiunge
poi: “belli praeterea ducem Baronem de Sancto Miniato comitem
creavere et in locum Thomae praetoris sufficitur, et nomen praetoris
in capitaneum mutatur, et iste primus fuit apud Senenses (sic)”
(5).
I
medesimi fatti narra il Tommasi (6),
(laddove il Malavolti di Messer Barone non fa motto (7));
ma, com'egli suole, più diffusamente. Il sacerdote fu, secondo lui,
decapitato per brutti omicidii, ed un suo satellite appiccato per la
gola. La esecuzione cagionò lite e odio gravissimo fra il Vescovo
Bernabò Malavolti e il Comune, e “volgendosi molti a favore della
corte per pubblico honore, ed altri interessati commovendo il
vescovo, [352]
la cosa venne a
scoperta parzialità, donde la città si ridusse in grave pericolo ed
in pessimo stato”. I Senesi Ghibellini, colta l’occasione, si
mossero di Arezzo con 500 cavalli, e 200 fanti, ed occuparono Montisi
e Chiusura. Quindi, trascorrendo ed ardendo si condussero a
Buonconvento (anche il Tizio accenna a tali disastri) e vi misero
fuoco, ed Lucignano ed alla Isola. “I Sindachi dei Sanesi
rifersero in Senato la risoluzione dei collegati fiorentini ed altri
contro Arezzo, e ai 28 di Aprile si deliberò in esecuzione
l'esercito, e si pubblicò gli ordini da osservare in quella
spedizione, nella quale si mandò generale M. Barone dei Mangiadori
da Samminiato, nuovamente eletto capitano del popolo Senese”.
Tali
testimonianze fanno nascere non pochi dubbi. Quanto tempo durò il
Mangiadori in ufficio? Fu Capitano e Potestà insieme, o Capitano
soltanto? È veridico il Compagni, ponendolo capo delle milizie a
Campaldino? E, dopo la guerra, che avvenne di lui?
In
questo, come in altri casi, la incertezza degli scrittori è supplita
dai documenti, colla scorta dei quali, procureremo di seguire il
valente samminiatese nelle sale dei consigli, sul campo e nel
Tribunale, rivivendo un istante con lui nei tempi che videro Dante
giovinetto.
Non
starò qui a ripetere ciò che sappiamo dei Mangiadori, insigne
famiglia di Samminiato al Tedesco, i quali, sebbene non fossero
Conti, come sembrano credere alcuni cronisti senesi, pure ebbero
forse, come gli altri magnati di quella terra, origine germanica, o
almeno dall' impero ottennero titoli e ricchezze. Non è quindi
meraviglia che Siena, come già nel 1227 aveva eletto potestà Messer
Malpiglio, un altro magnate samminiatese, creasse poi il Mangiadori
Capitano per due volte e Potestà. Fatto è che a tale autorità,
quasi dittatoriale, venne chiamato in circostanze difficili, quando
un governo ha bisogno di uomini prudenti e risoluti.
Siena,
obbligata ad un' alleanza con Firenze, indizio sempre per lei d'
indebolimento e di regresso, danneggiata all'esterno dai ghibellini,
era poi travagliata dentro da scissure fra clero e laicato. Fino dal
1251, erano nati malumori, ed i cittadini si trovarono interdetti,
perché alcuni Statuti sembrava impedissero la ecclesiastica libertà.
Ora poi il supplizio di un chierico rinnovava quelle brighe, e il
Potestà Tommaso da Gusla, costretto a [353]
partire fino dal 10
marzo 1289 alla volta di Roma, per essere ribenedetto, di propria e
spontanea volontà rinunziava all'ufficio. Nei Registri delle
Provvisioni del general Consiglio della Campana dal 17 gennaio 1285
fino al 10 marzo 1389, troviamo Tommaso del Guzola (non d'Anciola)
potestà di Siena (8).
Dal 10 marzo fino al 12 giugno, il giorno successivo alla battaglia
di Campaldino, il Consiglio è convocato da Messer Rosso di Gazzano,
vicario di Messer Tommaso, e talora dai Signori Nove insieme cogli
altri Ordini della città, e col Camarlingo. Dunque il 10 marzo il
Potestà era già partito alla volta di Roma; ma sembra che facesse
la renunzia dopo qualche tempo. Infatti soltanto nel Consiglio del 12
giugno, convocato nel Palagio dal monaco Bartolommeo, camarlingo,
(pare che il Vicario del Potestà si fosse dimesso) dai quattro di
Biccherna e da Messer Ranieri, governatore e difensore del Comune e
del Popolo, considerato come il Potestà fosse partito de Siena, ed
avesse deposto 1'ufficio liberamente, e come d'altra parte fosse
necessario che nella città, per il buono e pacifico Stato, si
eleggesse di nuovo e senza dilazione quel magistrato, venne proposto
che Barone da Samminiato, allora Capitano del Comune e del popolo
Senese dovesse occupare anche l'altro ufficio, fino ai primi di
Gennaio, ed esercitarlo a forma degli Statuti e senza che veruna
rubrica del Costituto del Capitano potesse recare impedimento. I
capitoli ricordati furono: “Item nullus possit nominari (in
prima distinctione) etc.
Item quod dictus dominus capitaneus et sua familia etc. (Idem).
Ne venne quindi sospeso il vigore, cosi rispetto al Mangiadori, come
ai suoi ufficiali e ministri. Si proponeva inoltre ch'egli avesse la
potesteria, senza pregiudizio del suo capitanato, e di quello dei
successori, e che adempisse il duplice incarico, fino ai primi di
ottobre, mese nel quale scadeva dall'ufficio di capitano. Messer
Bernardino giudice (nei consigli medioevali, come nelle odierne
assemblee, non mancò mai di primeggiare la parlata dell' uomo di
legge) sorgeva a propugnare la proposta per il bene e l'onore della
città, aggiungendo che venisse registrata nel Costituto vecchio e
nuovo del Comune, e come legge venisse ritenuta ed osservata dai
magistrati. Girato il partito, la deliberazione fu conforme ai voleri
di Ser Bernardino (9).
[354]
Del resto un'autorità
simile a quella conferita al Mangiadori, impossibile in Firenze, ove
capitano e potestà erano come due forze distinte e contrapposte, in
Siena non fu cosa nuova affatto ed inusitata. Per non dire che nel
1251, quando appunto fu necessario disputare coll'autorità
ecclesiastica, ed occorreva far subito spedizioni, venne data facoltà
piena al Potestà di poter fare molte cose, senza convocare il
Consiglio, nel 1282 Guido Salvetti dei conti da Romena fu capitano e
Potestà insieme, e mi piace notarlo, perché tale provvedimento
torna utile a chiarire l'indole del nostro Comune, ove il Capitano
non ebbe mai l'autorità del Capitano del Popolo fiorentino,
mostrandosi, nel secolo decimoterzo, un semplice condottiero delle
armi, essendo, notano gli storici senesi, il generalato delle armi
nella persona del Potestà d'impedimento al governo civile della
repubblica. Aggiungono poi il capitano aver seduto nel Collegio dei
ventiquattro, e negli eserciti soprastare anche alle milizie dei
collegati, e primo avere ottenuto quella carica Uggieri da Bagnuolo
bolognese nell'anno 1251. Qui ancora è da notare quanto sia palese
l'errore di alcuni cronisti, citati in principio, i quali sembrano
credere, essere stato primo capitano il Mangiadori, coll'altra
inqualificabile avvertenza “et nomen praetoris in capitaneum
mutatur”. Basterebbe una semplice occhiata agli Spogli dei Consigli
della Campana, per conoscere la verità.
Messer
Barone, nuovamente eletto capitano fino dal 28 aprile, allorché si
deliberò di mandar fuori l'esercito (10)
era sempre a Campaldino, a capo dei 120 cavalieri e molti fanti
senesi, che il Villani ed il Tizio narrano aver avuto parte
all'impresa, quando venne chiamato al maggiore ufficio. Intanto dai
fatti precitati apparisce quanto bene si apponesse il Tommasi
scrivendo, ciò che pur è manifesto dalla Cronica, che il Mangiadori
e i Senesi furono i principali in quella battaglia. Comunque, il 13
di giugno, nemmeno due giorni dopo la vittoria, lo troviamo in Siena
a presiedere il general Consiglio, segno che fu chiamato colla
maggior fretta, e che i bisogni dei Senesi non erano di piccol
momento. In quel giorno egli propone che siano approvati gli
ordinamenti fatti intorno all'esercito raccolto dal Comune contro gli
Aretini, pessimi nemici, e, dovendo egli andare sopra quel
territorio, a maggior lode del Comune, e per dar loro il colpo
mortale (pro danda marte
finali dietis inimicis)
chiede facoltà dì lasciare un [355]
vicario in Siena, il
quale, esercitando l'ufficio di potestà, possa imporre e percipere
bandi sino al felice suo ritorno. Similmente facendo mestieri che
Arrigo, sindaco e giudice del Comune, vada in oste col Potestà, è
richiesto il general Consiglio della opportuna licenza. Le quali cose
vennero tutte e subito concesse (11).
Che
poi un sì esperto generale restasse al campo ancora qualche tempo
per utile dei Senesi può apparire anche da una deliberazione del 26
luglio, colla quale egli fu esonerato dall'osservanza di certi
Statuti, cioè dal convocare i consigli, alcuni dopo otto giorni,
poiché era entrato in carica, altri dopo quindici, e altri dopo un
mese, facendo conto che già vi avesse provveduto il predecessore,
dovendosi quei capitoli riferire alla venuta in Siena di Messer
Tommaso. E cosi fu inteso rispetto al giuramento che ogni Potestà,
era obbligato dì prestare in principio del suo governo (12).
Messer
Barone non depose quasi mai le armi, fra le quali aveva incominciato
il suo ufficio. Dopo gli Aretini ebbe a combattere in Maremma contro
i Feudatari, causa incessante d'inquietudine e di turbamento. Ciò
rilevasi dai Consigli degli ultimi di agosto, nei quali si trattò se
doveva considerarsi la impresa che allora facevasi per oste generale
o per cavalcata, dacché, primo caso, a norma di uno Statuto,
cominciando da otto giorni innanzi la partenza dell'esercito fino a
otto giorni dopo il ritorno non si poteva in Siena render ragione,
laddove ciò poteva farsi nel secondo, eccetto contro quelli ch'erano
andati in campo: l'ultimo partito prevalse (13).
Del resto poco sappiamo intorno a queste imprese, e dobbiamo
contentarci di accennare alcuni fatti, che assai probabilmente vi si
riferiscono, come il rilascio, per amore del Comune di Firenze, di un
certo capitano Anfone prigioniero, e al dì 8 settembre la indennità
da pagare al Conte Cacciaconti di Fabrica per guasti ricevuti "in
suis palatiis et castris et casamentis” insieme co'suoi consorti,
convenendo che venisse tenuto conto dei dazj, prestazioni e fazioni
ch'esso Conte doveva al Comune. Frattanto il Potestà si recava di
bel nuovo in campo contro Prata, dopo aver fatto approvare la
demolizione al più presto possibile, delle mura e cassero di
Trequanda, Asinalunga, Montisi, Montifredi, Fabrica, Castelmozzi e
Belsedere; [356]
e lasciando per
vicario un tal Cantabene (14);
ma di li a poco, il 19 settembre, era già di ritorno, e presiedeva
l'assemblea, ottenendo che venisse tolto di bando certo Ser Meo
legista. Né in quelle imprese sembra mancasse il tradimento, poiché
ne' libri di Biccherna stanno registrate due condanne contro
cittadini, i quali mandarono lettere a Prata, e nei Consigli si legge
che qualunque Comune del contado, obbligato a mandar fanti a piedi
nell'oste, fosse punito, se trovato disobbediente, colla multa di L.
10 per ciascun soldato non venuto (15).
Finalmente
gli ultimi di Settembre, affinché la città di Siena ricevesse
aumento, e i nemici avessero la estrema rovina, (finalem
mortem recipiant)
sopratutto nelle parti di Maremma e di Monticiano, si propone e si
ottiene che l'esercito stia colà fino ai primi di gennaio; ma o non
furono necessari molti sforzi per domare la protervia del nemico, o
la cittadinanza vi si adopera assai languidamente, tanto è vero che
fu necessario condannare una grande quantità di persone, dei quali i
nomi si leggono anche oggi nelle pagine di Biccherna, perché non
erano andati a soldo
contro Monticiano (16).
contro Monticiano (16).
La
guerra in Maremma, le vittorie riportate, il bisogno di guarentire e
far rispettata l'autorità del Comune, eccitarono il Mangiadori a
promulgare una serie di condanne contro i feudatari più baldanzosi
di quei luoghi, i conti di Civitella, e l'avere con mano risoluta
combattuto, in nome della legge e della industriosa borghesia del
Comune, le odiose prepotenze di quei Signori, ci mostra al vivo
quanto egli fosse davvero franco ed esperto uomo, in città, ed in
campo.
Quantunque
sia comune opinione che il feudalismo non attecchisse in Toscana,
pure in Maremma esso aveva radici tanto profonde, che quella regione
meriterebbe un luogo a parte nelle istorie medioevali toscane. Ai
tempi stessi di Dante, quei luoghi fino allo Stato romano erano
famosi per selvatichezza e crudeltà, teatro a Ghino di Tacco, ed a
Messer Rinieri da Cornato, “grandissimo rubatore” (17).
Per fermo quei baroni, fra i quali Siena [357]
con rara costanza,
usufruendo la fedeltà verso l'impero, estendeva palmo a palmo, e con
sottili accorgimenti, la sua potenza e diritti, sulla fine del secolo
decimoterzo avevano quasi perduta ogni grandezza cavalleresca, ed a
chi attentamente li consideri ricordano più il masnadiere, e talora
il ladro di cavalli americano, che l'imitatore o il seguace dei
Paladini.
Di
sicuro fra costoro gli Ardengheschi, conti di Civitella, furono in
ogni tempo de' più crudeli. Abbiamo loro patti e giuramenti in
favore del Comune di Siena presto violati ed infranti, alla pari
delle ampollose donazioni ad una loro badia. Quando Siena al
principio del secolo decimoterzo nelle guerre di Montalcino chiamò
alle armi i signori alleati e soggetti, i conti rifiutarono di andare
coll'oste, talché dai Senesi vincitori, furono nel 1213 costretti ad
accettare patti gravissimi anche per i vassalli di 18 castelli, che
in Val di Nievole e di Rosia formavano il contado ardenghesco. Vero è
che molti di quei castelli erano delli Aldobrandeschi, e da essi quei
di Civitella li avevano ottenuti in feudo, come apparisce da un
privilegio di Federigo II del 1221; ad ogni modo troviamo nel 1271
risiedere in Civitella per conto della repubblica senese un potestà,
che venne però
cacciato di li a poco dai prepotenti signori (18).
cacciato di li a poco dai prepotenti signori (18).
Nel
Caleffo Vecchio (quadro vivente dello svolgimento più intimo di una
società medioevale) cominciando dal 16 Settembre 1273 fino al 1289
troviamo una lunga serie dì condanne emanate contro di loro dal
Comune che non riusciva a domarli. Il primo Potestà, cui dettero
briga, fu Guidone da Tripoli de Rambertis, per un furto violente.
Cione ed altri della nobil famiglia, andati a casa di un tal Guido
Orlandi da Civitella, vennero accolti ospitalmente, ma, dopo averci
passata la notte, assalito e legato il padrone lo portarono via, né
vollero rilasciarlo fìnché il prete con altri del borgo non ebbero
fatta società, e sborsato dieci lire. Accusati al Potestà non
comparvero, e furono
condannati in contumacia (19). I delitti in quella casa passavano in retaggio da padre in figlio. Di fatti un bel giorno (20 Giugno 1275) il Conto Uguccione e Cione suo figliuolo vennero accusati di aver fatto una scorreria nel castello di Monte Agutolo, derubando i fedeli di un certo Pizzica, e predando bovi e grano [358] in larga copia (20). Più tardi nel Settembre, una povera Rosa vedova sporgeva querela perché essi coi loro consorti e masnade, armati cervelleriis, apuntonibus et verutis, erano andati contro i figliuoli di lei Bindo e Turchio, e a tradimento li avevano feriti a morte nel pubblico mercato di Forcole, tagliando loro la borsa (21). Colla stessa prepotenza trattavano anche i pubblici ufficiali, simili a quel feudatario francese che faceva appiccare i messi del Parlamento.
Nel 1286 uno de'Conti, presso il castello, e dinanzi ad una sua vigna, insultò e percosse a mano armata Cristoforo Camarlingo di Civitella, mandato a fare un sequestro, e nel 1288 tutti i Conti vennero condannati per avere, contro lo Statuto di Siena, dato ricetto ed alimenti a un tal Ranuccio colpevole di grave delitto (22).
condannati in contumacia (19). I delitti in quella casa passavano in retaggio da padre in figlio. Di fatti un bel giorno (20 Giugno 1275) il Conto Uguccione e Cione suo figliuolo vennero accusati di aver fatto una scorreria nel castello di Monte Agutolo, derubando i fedeli di un certo Pizzica, e predando bovi e grano [358] in larga copia (20). Più tardi nel Settembre, una povera Rosa vedova sporgeva querela perché essi coi loro consorti e masnade, armati cervelleriis, apuntonibus et verutis, erano andati contro i figliuoli di lei Bindo e Turchio, e a tradimento li avevano feriti a morte nel pubblico mercato di Forcole, tagliando loro la borsa (21). Colla stessa prepotenza trattavano anche i pubblici ufficiali, simili a quel feudatario francese che faceva appiccare i messi del Parlamento.
Nel 1286 uno de'Conti, presso il castello, e dinanzi ad una sua vigna, insultò e percosse a mano armata Cristoforo Camarlingo di Civitella, mandato a fare un sequestro, e nel 1288 tutti i Conti vennero condannati per avere, contro lo Statuto di Siena, dato ricetto ed alimenti a un tal Ranuccio colpevole di grave delitto (22).
A
tal punto erano le cose, quando il Mangiadori, dopo avere, com'è
ragionevole ammettere, calmato con savia prudenza i mali umori del
clero, sicché di questi non abbiamo più indizio, rivolse
l'animo ai fatti degli Ardengheschi, e durò a condannarli per tutto il tempo del suo ufficio.
l'animo ai fatti degli Ardengheschi, e durò a condannarli per tutto il tempo del suo ufficio.
Nel
30 luglio 1289 trovasi una condanna emanata da lui col consiglio e
consenso di Ciardo da S. Gemignano giudice ed assessore del Comune, e
dei suoi cinque giudici contro i tre figli del conte Guido, accusati
da Neri di Civitella di aver ferito cum
spuntone un suo fratello;
ma gl' imputati non comparvero, e vennero, al solito, condannati in
contumacia, ed alla ammenda di duecento lire (23).
Non bastò, perché di lì a poco con lancio e pietre (miscuglio
singolare di armi plebee e cavalleresche) furono aggrediti due
famigli dello stesso cittadino, col quale sembra che i conti
l'avessero a morte, forse per essere egli potente, tanto da tenere
genti al proprio servizio. Fu rinnuovato il bando, e portata la multa
a trecento lire (24),
ma i Conti non erano tali da darla vinta; e difatti, dopo aver per
dispregio buttato giù da cavallo un servo di Neri, e derubata la
bestia, se ne vennero dinanzi alle case di lui, in branco minaccioso,
con lancio, spiedi, coltelli, spade, e gittando sassi, e dando
l'assalto, riuscirono solo [359]
a ferirlo. Condannati ripetutamente si vendicavano col dare
ospitalità agli sbanditi contro gli ordini del Costituto Senese, ed
anzi, crudeli verso gli uomini, come irriverenti verso Iddio, dinanzi
alla chiesa di Monte Codemo ferivano e derubavano Vegna Guastavacche
(25).
Né voglio omettere un particolare che gioverà alla psicologia di
quelle schiatte feudali. Colle maggiori efferatezze del tiranno
accoppiavano le vili tendenze del ladro. Rompevano
l'uscio di casa di una povera donna, portandole via due vaccherelle, alcune staia di grano, e masserizie, indi, penetrati nottetempo in una stalla, rubavano alcuni cavalli. S'immagini un paesetto infestato da una banda di masnadieri; si ricordino certi episodii del brigantaggio nella Maremma e in Calabria, ed avremo un'idea abbastanza precisa delle condizioni di Civitella. Si aggiunga che noi conosciamo i latrocinii denunciati alle autorità; ma in paese non vicino a Siena, un gran numero di malefizi, quelli specialmente commessi a danno della povera gente, dovevano restare ignoti o trascurati. Inutile dire che i baldanzosi signori, forti delle loro rocche e de' loro uomini di arme, non si degnarono mai di comparire dinanzi ai magistrati, trovando la impunità nei ben muniti castelli; ma è vero tuttavia che le condanne incessanti servirono a renderli più riguardosi e meno infesti.
l'uscio di casa di una povera donna, portandole via due vaccherelle, alcune staia di grano, e masserizie, indi, penetrati nottetempo in una stalla, rubavano alcuni cavalli. S'immagini un paesetto infestato da una banda di masnadieri; si ricordino certi episodii del brigantaggio nella Maremma e in Calabria, ed avremo un'idea abbastanza precisa delle condizioni di Civitella. Si aggiunga che noi conosciamo i latrocinii denunciati alle autorità; ma in paese non vicino a Siena, un gran numero di malefizi, quelli specialmente commessi a danno della povera gente, dovevano restare ignoti o trascurati. Inutile dire che i baldanzosi signori, forti delle loro rocche e de' loro uomini di arme, non si degnarono mai di comparire dinanzi ai magistrati, trovando la impunità nei ben muniti castelli; ma è vero tuttavia che le condanne incessanti servirono a renderli più riguardosi e meno infesti.
Il
Mangiadori infatti aggravò le pene, ed è bello il suo zelo
crescente contro quei perturbatori della società. Non bastando le
sentenze lette da Gregorio Tempi suo notaro, coll'ordine di pagare le
multe e rifare i danni dati entro dieci giorni, sotto pena, mancando,
del terzo più, Messer Barone faceva bandire che se alcuno dei Conti
venisse nelle mani del Comune, né potesse pagare, si tenesse a
catena per la maggior parte del giorno in piazza del Campo, e poi,
scopato per la città, fosse sbandito dal contado (26).
Né saprei dire se alcuno di quei Messeri sperimentasse le catene e
la sferza del popolo di Siena. Solo io so che l'ultima condanna
emanata dal Mangiadori in Civitella, fu contro due popolani, un sarto
ed un calzolaro, perché essendo stato fatto loro precetto da un
messo del Potestà, sotto bando di 20 lire, di comparire entro certo
termine, già decorso, dinanzi a Lui ed al giudice dei malefizi per
alcune testimonianze, non obbedirono, per la qual cosa vennero
condannati a 25 lire di multa. Forse, [360]
trattandosi dei Conti, erano stati comprati e si astenevano per paura
(27).
La serie delle condanne ha fine di lì a poco, talché parrebbe che
la prepotente famiglia avesse dal Mangiadori ricevuto un colpo, se
non mortale, certo assai terribile.
Anche
in Siena egli volle mantenuto rigorosamente l'ordine e la quiete. I
libri di Biccherna al tempo della sua amministrazione registrano una
lunghissima serie di condanne per mancamenti che nel medioevo
sfuggivano le più volte alla pubblica vigilanza, sebbene contemplati
dagli Statuti (sì minuziosi in teoria, e cosi vuoti di pratica
efficacia) cioè mischie, baruffe, ingiurie, ferite, porto di armi
vietate e simili. S'incontra la spesa di 35 libre al carnefice per la
condanna fatta di un Marchese Mannelli promotore di una zuffa
(meschia);
né ai berrovieri sfuggivano coloro che si aggiravano per la città
dopo una certa ora della notte, chi teneva spada o coltello, chi per
giuoco usciva coll'elmo in testa in piazza del Campo, ed infine gli
uomini e il Comune dei Corpi Santi, e quelli di Montichiello, multati
i primi per non aver punito un delinquente, ed i secondi per aver
operato contro il Costituto di Siena (28).
Il
Mangiadorì termina di esser capitano nell'ottobre del 1289, e
potestà nel Gennajo, nel quale ultimo ufficio succedevagli Giovanni
Accoramboni di Camerino. Le ultime cure del suo governo, sì energico
e temuto, furono rivolte alla religione, decretando che si elargisse
al Convento dei Minori la somma di L. 200 per edificare sulla
sepoltura di Pietro Pettinagno o Pettinaio, del quale Dante ricorda
le sante orazioni, un nobile sepolcro col ciborio e l'altare. Per
ultimo, data il giorno di Natale, in onore della Vergine, che tante
volte aveva concesso vittoria ai Senesi, la libertà ad alcuni
carcerati, mediante la offerta (29),
Messer Barone usciva degnamente dalle cariche, che i documenti
mostrano aver egli davvero esercitate da franco ed esperto Cavaliere.
Chi, meglio del Compagni, anche conoscendolo personalmente, poteva
trovar lode più acconcia per lui, e mettergli in bocca parole che
più al vivo ne ritraessero le qualità peculiari dell'animo?
Dalle fatiche onorate il Mangiadori ritrasse una buona somma di denaro, secondo che può argomentarsi dagli appunti di Biccherna. [361] Duecento cinquantacinque lire come salario di Capitano pel solo mese di luglio; duecentocinque come salario per i 41 giorni, nei quali fu coll'esercito contro gli Aretini, come Potestà, a ragione di 5 lire per giorno. Si aggiunga che aveva ricevuto 4 lire il 12 agosto, come salario della potesteria pel mese di luglio, il che vorrebbe dire 24 lire per tutto il tempo della Potesteria durata circa sei mesi (30).
Dalle fatiche onorate il Mangiadori ritrasse una buona somma di denaro, secondo che può argomentarsi dagli appunti di Biccherna. [361] Duecento cinquantacinque lire come salario di Capitano pel solo mese di luglio; duecentocinque come salario per i 41 giorni, nei quali fu coll'esercito contro gli Aretini, come Potestà, a ragione di 5 lire per giorno. Si aggiunga che aveva ricevuto 4 lire il 12 agosto, come salario della potesteria pel mese di luglio, il che vorrebbe dire 24 lire per tutto il tempo della Potesteria durata circa sei mesi (30).
Messer
Barone, il quale per esser generale a Campaldino aveva già dovuto
levar nome di sé, faticando da prode in altre guerre di Toscana da
lui ricordate, secondo il Compagni, coll'autorità dell'uomo che
molto ha combattuto, e per esser Potestà in Siena avrà certo dovuto
reggere altri Comuni nelle varie parti d'Italia, sembra che, stanco
alfine della vita errante ed agitata, si riducesse nel luogo natio a
respirare, a piè della rocca di Federigo, le aure salubri del
Valdarno. Difatti, che io mi sappia, non troviamo più ricordato il
suo nome fra i magistrati delle città nostre più insigni, e nei
casi più solenni di Toscana. Tuttavia pare che gli spiriti antichi
talora commovessero il cuore di lui. Ed invero, dopo aver operato su
campo illustre, non sdegnò scena più ristretta, e lo vediamo, dopo
varii anni, avviluppato nelle gare del suo Comune, ed a capo della
fazione aristocratica che nel 1309 in S. Miniato disfece il buon
popolo guelfo; ed anzi a lui ed a Teodulo Ciccioni dettero i magnati
facoltà di riformare la terra, ed essi dal Palagio rinnuovarono la
magistratura dei Dodici, il Consiglio grande e quello della Guardia
(31).
Dopo,
di Messer Barone null'altro sappiamo, nemmeno il sepolcro. Forse,
vecchio e disilluso, avrà trovata la vera pace in un'arca di pietra,
nel tempio che il suo Comune aveva eretto al glorioso poverello di
Cristo, S. Francesco, e il pié scalzo del frate minore avrà
calpestato il suo stemma di guerriero già sfolgorante sui pennoni e
sugli scudi di Campaldino.
Giuseppe Rondoni
NOTE E RIFERIMENTI
(1)
Dino Compagni e la sua Cronica. Vol. II, Lib. I, pag. 37. V.
Commento.
(2)
Biblioteca Comunale di Siena. Buondone e Bisdomini, Croniche, C. 126,
Codice A. III. 23. (3)
Croniche di A. Dei appresso Muratori, Rer.
It. Scriptores, T. XV,
pag. 49.
(4)
Croniche di A. Dei. Nota del Benvoglienti nel luogo citato. Questo
catalogo è l’Obituarium Ecclesiae Senensis, pubblicato dall’Ozanam
nel libro: Monuments puor
servire à l’histoire littéraire d’Italie.
(5)
Tizio, Historia Senensis, Tomo. Il. c. 168, Biblioteca Com. di Siena,
B. II.
(6)
Tommasi, Istorie Senesi,
Lib. VII, pag. 124.
(7)
Malavolti, Storia di Siena, Parte II, Libro III, c. 51 e 54 t. e 55.
(8)
R. Archivio di Stato in Siena. Deliberazioni del Consiglio della
Campana. Volume XXXVI passim.
(9)
Vedi per questi fatti, Archivio di Stato in Siena, Deliberazioni del
Consiglio della Campana. Volume 37, c. 25 e seg.
(10)
Deliberazioni
dei Consigli della Campana, Vol. 38, c. 3 e seg.
(11)
Ibidem.
(12)
Ibidem.
(13)
Deliberazioni
dei Consigli della Campana, Vol. 38, c. 7 e seg.
(14)
Ibidem,
c. 18. Arch. di Stato in Siena. Libri della Biccherna. Entrata e
Uscita. Anno 1289.
(15)
Deliberaz.
dei Consigli della Campana, Vol. 38, c. 22.
(16)
Libri di Biccherna – Entrata e Uscita – ad annum.
(17)
Commento
alla Divina Commedia di Anonimo fiorentino del Sec. XIV a cura di P.
Fanfani, Canto 12, pag. 309.
(18)
Repetti,
Dizionario
Storico Geografico della Toscana,
v. Civitella.
(19)
Archivio
di Stato in Siena. Caleffo Vecchio, a c. 748, 16 Dic. 1273.
(20)
Caleffo
Vecchio, a c. 748 t., 2 Agosto.
(21)
Caleffo
Vecchio, a c. 748-749 t., 9 Settembre.
(22)
Caleffo
Vecchio, a c. 750 e 751 seg., 14 Settembre 1286 e 11 Settembre 1288.
(23)
Caleffo
Vecchio, a c. 752-754.
(24)
Caleffo
Vecchio, a c. 755-756 t.
(25)
Caleffo
Vecchio, a c. 755-756 t. e c. 758. Sono le condanne del 27 agosto, 5
novembre e 31 dicembre.
(26)
Ibidem.
(27)
Caleffo
Vecchio, a c. 756. Condanna del 31 dicembre.
(28)
Archivio
di Stato di Siena. Libri di Biccherna. Entrata e Uscita. Anno 1289.
Passim.
(29)
Deliberaz.
del Consiglio della Campana. Vol. 38, c. 62 e 65, 18 e 28 dicembre.
(30)
Biccherna.
Entrata e Uscita. Ad annum.
(31)
Diario
di Messer Lemmo da Comugnori. Lami, Deliciae
Eruditorum,
Tomo VII.
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