di
Francesco Fiumalbi
E'
noto che il fascismo fece un ampio uso della retorica confacente alle
proprie iniziative, di qualsiasi genere e tipo. Alcune furono
manifestazioni eclatanti, altre più “discrete” e sottili.
Dall'intitolazione di strade e piazze a personaggi vicini al regime
(si veda il post PIAZZA MUSSOLINI A SAN MINIATO
e il post IL 25 APRILE 1939 E IL VIALE GUGLIELMO MARCONI),
all'apposizione dei “motti” mussoliniani sulle pareti di edifici
che si affacciavano su luoghi pubblici (si veda il post CREDERE OBBEDIRE COMBATTERE SU UNA PARETE DI SAN MINIATO
e il post QUANDO I SANMINIATESI SE NE FREGARONO DELLE SANZIONI).
Una vera e propria grande operazione mediatica continua, che
interessò anche altri aspetti della vita sanminiatese, e di cui sono
visibili, ancora oggi a distanza di molti decenni, le flebili
testimonianze. Nonostante la damnatio memoriae
promossa nell'immediato Dopoguerra, per uno strano caso, da
attribuire probabilmente a circostanze fortuite, sono sopravvissuti
fino ai giorni nostri un paio di segni, apparentemente celati, di
quell'epoca.
Il
primo, in ordine cronologico, è inserito nell'epigrafe collocata
sulla parete destra dei chiostri di San Domenico. Ve ne sono diverse,
ma quella che ci interessa è l'ultima, quella in fondo alla parete,
proprio di fianco all'ingresso di quei locali che all'epoca
ospitavano la Gioventù Italiana del Littorio (GIL)
ed oggi sono la sede della Biblioteca Comunale.
E'
dedicata a Francesco Ferrucci,
e fu collocata nel 1930, nel IV centenario di quell'operazione
militare, condotta dallo stesso Ferrucci, che portò alla temporanea
riconquista del castello di San Miniato, nella più ampia
controffensiva fiorentina nei confronti delle truppe imperiali di
Carlo V d'Asburgo e capitanate da Filiberto di Chalon Principe d'Orange.
[Per chi desidera approfondire sull'epigrafe si rimanda a M.
Parentini e D. Fiordispina, Lapidi
e Monumenti celebrativi in San Miniato,
in «Bollettino
dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. 79,
2012, pp. 437-439].
Ebbene,
già da una prima occhiata si nota che manca un simbolo sulla parte
sinistra. Grazie alla preziosa testimonianza di Sauro Mori apprendiamo che si trattava di un giglio, simbolo della città di Firenze. [in un primo momento era stata ipotizzata la presenza dello stemma di casa Savoia]. Tuttavia osservando con attenzione la cornice,
formata da elementi in Pietra della Lessinia,
si scorge quelli che sembrano dei graffiti apparentemente
insignificanti. In realtà sono tre lettere: A.
IX.
Il significato è abbastanza semplice: si tratta della formula che
sta per “Nono
Anno dell'Era Fascista”,
che veniva fatta cominciare simbolicamente dal 28 ottobre 1922,
giorno della “Marcia su Roma”,
che fece da preludio all'incarico di formare il Governo, conferito
dal Re Vittorio Emanuele III a Benito Mussolini. Infatti, i primi
mesi del 1930, periodo in cui fu installata l'epigrafe, appartenevano
proprio al “nono anno”. Probabilmente l'incisione non fu
cancellata perché avrebbe compromesso la qualità estetica della
cornice e, comunque, perché è anche poco visibile. Passa
inosservata allo sguardo poco attento.
San Miniato, Loggiati
di San Domenico
Foto di Francesco
Fiumalbi
Particolare con il
“Nono Anno dell'Era Fascista”
Foto di Francesco
Fiumalbi
Il secondo “marchio
di fabbrica”, se così si può definire, è quello situato su un
apparentemente anonimo muro di sostegno. L'opera fu realizzata per
contenere il terreno nei pressi del punto dove l'odierno Viale Don
Minzoni si immette in Piazza del Duomo. Lo si può scorgere dal
basso, da Corso Garibaldi, a metà strada fra la cosiddetta Scala
Santa e l'incrocio con Viale XXIV Maggio. Dall'alto, invece, può
essere facilmente individuato grazie alla presenza del caratteristico
parapetto in ferro, verniciato di rosso. Non si vede bene, bisogna
aguzzare la vista. D'altra parte, l'alto ciglione è interamente
coperto da una rigogliosa vegetazione per molti mesi all'anno. E
forse è stata proprio questa sua posizione, lontana dalla strada e
seminascosta dalle piante, a “conservarlo” fino ai giorni nostri.
In
ogni caso, facendo attenzione, si scorgono due lettere, una X
e una V,
che stanno per “Quindicesimo
Anno dell'Era Fascista”,
ovvero il 1937, l'anno in cui fu portato a termine il muro di
sostegno.
visto da Corso
Garibaldi
Foto di Francesco
Fiumalbi
visto da Corso
Garibaldi
Foto di Francesco
Fiumalbi
Ci sono, a San Miniato,
altri simboli o “marchi di fabbrica” del periodo fascista che
sono sopravvissuti fino ai giorni nostri? E nelle frazioni?
Per
il momento non ne conosciamo. Se qualcuno avesse qualcosa da
segnalare ci scriva all'indirizzo che si trova nella pagina dei
CONTATTI,
o nei vai profili Facebook,
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1° revisione - 4 gennaio 2015
1° revisione - 4 gennaio 2015
Succede sempre ed ovunque: quando un regime cade si abbattono i simboli come segno di cancellazione dalla storia. Però l'opera rimane e sarà questa ovviamente a tramandare il regime. piaccia o no anche ai nostrani vandali rossi che da 70 anni riempiono di retorica il vuoto del loro pensiero.Il faro in rocca non lo hanno voluto perchè opera fascista hanno pontificato falsamente; il muro a retta di viale Don Minzoni che da 75 anni sorregge saldamente il viale lo conservano anche con le tracce evidenti di un'opera fascista.
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