di
Stefano Bartoli
L’ultima
difesa del SS. Crocifisso.
Siamo
nei primi anni ’60, i bambini giocavano per strada ed il giocattolo
più bello di tutti era la nostra fantasia.
Le
scalinate del SS. Crocifisso erano uno dei nostri teatri preferiti ed
anche quel giorno andò in scena una nuova commedia.
Luigi
e Paolo Maestrelli, i figli di Lilia, la signora che gestiva il
negozio di cartolibreria accanto alla parrucchiera Loredana, subito
dopo la pizzeria di Bati, Giorgio Pannini, avevano ricevuto in dono
una bella corazza argentata, uno scudo, una spada ed un elmo piumato.
Tutto
ciò che serviva per un temerario cavaliere era a nostra
disposizione.
Servivano
altre armi e Gigi s’industriò procurandosi una lunga canna, da
usare come lancia. Per dare peso e favorire lanci diritti rinforzò
la punta con un cilindro di ferro, non a punta, stondato, non doveva
far male, poi tirammo fuori un paio di fionde, di quelle fatte in
casa con una forcella di legno rubata ad un albero, due tiranti fatti
di elastico ricavato da una vecchia camera d’aria di bicicletta,
ormai forata e inservibile.
Era
stata tagliata in sottili anelli che poi erano stati annodati. Per
raccogliere i sassi da lanciare era stato aggiunto un quadretto di
pelle robusta.
Del
gruppo, oltre me ed i due Maestrelli faceva parte Marcello Viviani.
Il
copione prevedeva un assaltatore e tre difensori, disposti su tre
livelli. Il
guerriero corrazzato, munito di scudo al braccio sinistro e dispada
nella mano destra, ben protetto anche dall’elmo avrebbe iniziato a
salire le scale, il più velocemente possibile. Dietro
il primo colonnino lo attendeva il primo difensore, appena sarebbe
stato a tiro avrebbe scagliato la lunga lancia contro lo scudo ed
avrebbe ripiegato in cima alle scale. L’attaccante,
un po’ scosso, ma determinato ed implacabile avrebbe continuato a
salire fino al secondo colonnino, lì lo attendeva il secondo
difensore, munito di fionda che avrebbe scagliato un bel sasso
indirizzandolo al centro dello scudo. Il
secondo difensore ripiega, l’assalitore avanza. Il
terzo tenta l’ultima difesa, appostato al colonnino sotto la
meridiana, a destra lo spiazzo antistante la chiesa, il nostro
castello da difendere e lì ci sarebbe stato il confronto corpo a
corpo. Come
sempre vinca il migliore ed il più forte.
La
scena fu ripetuta molte volte ed ognuno di noi cambiava ogni volta
ruolo. Quando
giunse il mio turno di attaccante Paolo era armato di lancia, Gigi mi
attendeva con la fionda in mano e Marcello era l’ultimo difensore,
quello che mi aspettava per la lotta corpo a corpo.
Salgo
deciso e convinto, mi prendo la botta della lancia ferrata sullo
scudo e vacillo, ritrovo l’equilibrio e continuo a salire.
Mi
attende una bella sassata sullo scudo però succede qualcosa, con gli
occhi sopra lo scudo che tenevo alto a protezione del viso vedo il
volto di Gigi che ha uno strano sogghigno, alza la fionda, pronto a
scagliare il sasso diritto e veloce, poi abbassa un po’ le braccia,
lascia andare il sasso che finisce dentro la mia pancia, vicino
all’ombelico.
Avverto
un dolore tremendo che mi fa piegare le ginocchia e poi cadere a
terra dolorante. Il colpo è stato forte, direi terribile. Appena
posso alzo la maglietta, circondato dagli altri ragazzi, e vedo che
la pancia sta gonfiando ed è sempre più rossa, più tardi diverrà
di colore grigio e blu, un grosso livido dolente proprio accanto
all’ombelico che copre buona parte della pancia.
Gigi
la butta sullo scherzo, mi chiama soldato spartano dice che la
sofferenza tempra ed aiuta a crescere e che, in ogni caso, non
pensava di aver tirato con tanta forza.
Rispondo
solo che è un gran bischero. Appena posso smetto di giocare e
rientro a casa.
Mia
madre avverte subito che c’è qualcosa che non va, di solito non
rientro mai prima dell’ora di cena, giusto il tempo di un bicchiere
d’acqua o di una corsa al bagno, poi riparto.
Invece
vado in camera mia e di mia nonna e mi stendo sul letto.
Racconto
cosa è successo, alzo la maglietta e faccio vedere in che
condizioni. Mia madre inizia a piangere poi s’arrabbiai di brutto,
vuole uscire ed andare a dirgliene quattro, riesco a fermarla non
senza difficoltà.
Sono
cose mie, fra ragazzi e non voglio intromissioni di adulti.
Quando
rientra mio padre lo informa, Lui viene a trovarmi in camera, mi fa
alzare la maglietta, scuote la testa, mi guarda, poi sorride e mi
lascia andare un scappellotto amichevole: La prossima volta stai più
attento. Non Ti preoccupare sono cose che succedono giocando fra
ragazzi. Una volta, più o meno alla Tua età, ho tirato un sasso a
Luciano Petralli e gli ho aperto la zucca, quanto sangue ha perso da
quel taglio.
Nella
seconda metà degli anni ’80 mio padre era sempre più ammalato e
ancor di più semi paralizzato. La malattia si era manifestata nel
febbraio del 1975 ed andava avanti da quasi quindici anni. Nessuno
era riuscito a dare un nome preciso alla malattia e neppure trovato
una cura efficace. Per anni si era andati avanti per tentativi o
esperimenti, poi mio padre aveva deciso di lasciar perdere. Mi aveva
comunicato: Stefano ora basta, non voglio fare più niente, vorrà
dire che se nessuno ha trovato la malattia morirò guarito, è una
soddisfazione anche questa.
Nessuno,
in casa, si rassegnava ciò allora le due sorelle di mio padre fecero
i due ultimi tentativi, la prima chiamo per un consulto un medico di
S. Miniato che da decenni svolgeva la Sua attività a Montelupo, la
seconda invitò Luciano Petralli.
La
prima visita non diede alcun riscontro positivo. Quando venne Luciano
ero in casa.
Mio
padre e Lui si salutarono da vecchi amici ed iniziò la visita, mio
padre disteso nel letto con mutande e maglietta e Luciano che girava
intorno a Lui, faceva domande, consultava reperti, poi toccava ed
ascoltava il corpo, lo percuoteva in tanti punti con un martelletto
di gomma e intercalava tutto con alcune battute: Ti ricordi Mauro
ecc….. La risposta era Ti ricordi Luciano….. così conobbi
diversi aneddoti della vita di mio padre bambino e del gruppetto dei
Suoi amici.
Alla
fine Luciano espresse le Sue valutazioni, frutto della lunga,
paziente e competente analisi fatta.
Cara
Mauro, hai fatto bene a non farti strapazzare più, la situazione è
seria e non vedo rimedi, puoi solo sperare che la malattia duri il
più a lungo possibile, che proceda cioè molto lentamente.
Mio
padre chiese di essere vestito e di essere aiutato a rialzarti.
Dopo
un po’ era comodamente seduto sulla Sua poltrona, in salotto.
Invitò
Luciano a sedersi accanto a Lui e gli disse:
Caro
Luciano devo scusarmi con Te per una vecchia questione, Ti ricordi?
Quando eravamo bambini Ti ho tirato un sasso, Ti ho colpito in testa
e Ti ho fatto sanguinare-
Luciano
sorrise: Me lo ricordo sì, ho ancora la cicatrice. Ed iniziò a
frugare fra i capelli per mettere a nudo il segno sul cuoio
capelluto-
Mio
padre proseguì: All’epoca Ti dissi che era successo per sbaglio,
ma mentivo, volevo proprio colpirti; non ricordo perché ero
arrabbiato con Te però sappi che Ti devo le mie scuse per averlo
fatto volontariamente.
Luciano
sorrise e disse. Mauro, sono trascorsi ben più di cinquanta anni, Ti
ringrazio per le scuse ma non c’era bisogno.
Questa
è stata una delle ultime lezioni che mi ha dato mio padre ed è
stato anche un bel modo di conoscere un po’ uno dei Suoi amici
d’infanzia, lo squisito Dottor Luciano Petralli.
Ritornando
a Luigi Mestrelli, l’ho rivisto di recente, in Lucca, nonno felice
e ci siamo fermati a parlare di omenti vissuti, di piacevoli ricordi,
quasi tutti appartenenti al mondo del basket. Il mitico Magilla non
si ricorda più dell’ultimo assalto al “castello” del S. S.
Crocifisso e della “meridiana” che non ho mai raggiunto.
Va
bene così!
San Miniato, Santuario del SS. Crocifisso
Foto di Francesco Fiumalbi
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