Estratto
da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con
notizie storiche antiche e moderne,
Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 59-63.
[059]
MONASTERO DELLA SS. ANNUNZIATA, CARCERI E COLLEGIO
Le
monache agostiniane, che stavano a Montetonico, vicino a Cigoli,
ottennero dal vescovo di Lucca, nel secolo XIV come sembra, di poter
trasferire la loro dimora presso la pieve di S. Martino, perché il
loro monastero era incomodo, solitario, esposto alle scorrerie dei
licenziosi soldati. Edificato il nuovo monastero colla chiesa
dedicata all'Annunziata, in memoria di quella che avevano
abbandonato, vennero liete ad abitarlo. Poi, col permesso del
medesimo vescovo, cambiaron l'abito delle agostiniane in quello di S.
Domenico, e ne professaron la regola, sotto la direzione del priore
del vicino convento di S. Jacopo e Lucia, il quale, d'accordo coi
religiosi suoi, a far questo passo le aveva esortate. Al tempo della
pestilenza terribile, di cui parla il Boccaccio (1348), anche queste
monache perirono, e il loro monastero restò abbandonato. L'anno
1503, volendo il comune di S. Miniato, per decoro e utilità del
luogo, far risorgere il monastero, d'accordo colla compagnia della
SS. Annunziata, che uffiziava fuori [060]
dalla porta di Ser Ridolfo, fecelo restaurare e quasi riedificare.
Quindi, col permesso del vescovo di Lucca, dal monastero di S.
Cristiana di S. Croce sull'Arno, tre religiose anziane fecero venire
della regola di S. Agostino, che del riaperto monastero presero
possesso, e in breve lo fecero rifiorire. Molta parte vi ebbe il
vicario fiorentino Tinoro Bellucci, il quale vi scolpì una latina
iscrizione (14) [VAI ALLE NOTE ↗]. I lavori continuarono sotto i
vicari Giovanni Vettori e Niccolò Scarlatti; il primo dei quali, nel
1506, costruì la gran volta per mettere in comunicazione le due
parti del vasto monastero, e il secondo restaurò la chiesa (15) [VAI
ALLE NOTE ↗]. – Di nuovo le monache ebbero a direttori i
domenicani, anche un'altra volta le consigliarono ad abbracciare la
loro regola coll'assenso di Clemente VII. Ma il comune si oppose; il
breve del papa non ebbe esecuzione, e il granduca col vescovo di
Lucca alla giurisdizione del proposto del tutto le sottometteva. Le
religiose però, le quali di rivestir l'abito di S. Domenico in vero
bramavano, come lo avevano portato le prime abitatrici di quel
monastero, mai non cessarono di pregare i vescovi di Lucca e poi
quelli di S. Miniato a volerle render contente. Finalmente mons.
Mauro Corsi, ai 7 marzo 1672, deliberò di appagare i loro voti,
dando loro l'abito di S. Domenico e la sua regola, e dichiarandole
domenicane del prim'ordine (16) [VAI ALLE NOTE ↗]. Ma poiché tutto
questo senza l'approvazione della santa [061]
sede erasi fatto, le religiose, temendone l'irregolarità, al
pontefice Clemente XI, per mezzo del vescovo Poggi, si rivolsero, il
quale, nel 1706, l'operato di mons. Corsi confermava. Allora il
Poggi, con molta solennità, di tutte quelle suore riceveva la
professione sulla regola di S. Domenico, e alla pubblica festa prese
parte con gioia la popolazione. Il 24 giugno 1696 v'indossava l'abito
religioso la giovane livornese Maria Caterina del Mazza, cui fu posto
nome Teresa, Caterina, Maria; ai 29 giugno dell'anno seguente faceva
la professione, e il 12 gennaio 1710 di questa vita passava a soli 38
anni. Ebbe sempre fierissime infermità (dico le cronache del
monastero) e pazienza invitta. Di anni 31 fu eletta priora e
confermata due volte. Monastero e chiesa restaurò e ornò; fecevi
rifiorire l'osservanza e la vita comune. Efficacemente concorse ad
ottenere il breve di Clemente XI; fu benedizione del suo monastero,
dove non visse che 14 anni; vi morì in odore di santità, e le sue
reliquie si conservano nella chiesa di S. Domenico. Il prof.
Francesco Pera ha scritto la sua tra le Biografie Livornesi.
– Questo grande monastero domenicano, che godeva bella fama in
Toscana, fu soppresso nel 1810. Ripristinati i domenicani a S.
Miniato, ebbero anche il possesso di questo monastero, a condizione
di lasciarci [062] tornare le religiose,
che ancor vivessero, le quali avevano ottenuto di poterci finire la
vita (1818). Nel 1850 lo prese in affitto il governo per ridurlo a
caserma, come è stato già detto, facendone uscire, con dispiacere
di tutti, le ultime due domenicane, che allora vi erano. Poi l'ebbero
in affitto i fratelli Federigo e Giorgio Salvatori; ma tutta quella
parte che è accanto alla chiesa, nel 1856, la prendeva il comune e a
carceri la riduceva, togliendole dal palazzo della Sotto-Prefettura.
Queste carceri del circondario, con annesso piazzale, posson
contenere igienicamente trentadue condannati, che vi espiano, per
ordinario, la pena non maggiore d'un anno. Dopo l'ultima soppressione
dei religiosi, i detti fratelli Salvatori l'altra parte del monastero
definitivamente acquistarono, ad abitazioni particolari riducendola
per sé e per altri. L'anno 1885, venuta in proprietà del padre
Vincenzo Bandecchi domenicano, un'altra trasformazione subiva,
divenendo un comodo e bel collegio per gli studiosi giovanetti,
dedicato a quel genio della sapienza cristiana, che ebbe nome Tommaso
d'Aquino. Per mala ventura, dopo soli sei anni di vita, questo
collegio chiudevasi, e passava a servir di villeggiatura, nelle
vacanze autunnali, al Seminario-Collegio Gavi di Livorno.
La
chiesa del monastero, dedicata alla SS. Annunziata, fa il servizio
religioso delle carceri, che sono ben tenute e dirette. Più grande
la riedificarono le [063] monache, come
ora si vede, col soprastante coro e tre altari in pietra nel 1613.
L'altar maggiore ha un quadro dell'Annunziata del Vannini, quello a
destra di chi entra ha una tela con S. Giacinto, e sull'altro è
dipinto S. Domenico. Nel mezzo del soffitto ad intagli è colorita la
Vergine del Rosario, e intorno alle pareti stanno appesi parecchi
quadri con santi domenicani. Sopra un marmo si legge che il vescovo
Conrtigiani, nell'agosto del 1698, la consacrava (17) [VAI ALLE NOTE
↗].
La chiesa della SS. Annunziata in Faognana
Foto di Francesco Fiumalbi
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