Odore
di buono, al sabato sera in San Miniato, corre l'anno... '53 (?)
Quando
nonno chiama a quell'ora del pomeriggio, che ancora non è buio, io
accorro. La sua è una richiesta di aiuto; e così ogni sabato in
quella cantina piena di sorprese, di curiosità, di ricordi, di
tesori. Seminterrato e anche magazzino pieno di tutto, in un
disordine che affascina, stuzzica fantasia e sogni. Tre gli scalini
al buio, dall'andito a tentoni, fino a quell'unico interruttore della
luce, posto lassù in alto, dove io ancora non arrivo, per l'unica
lampada che a mala pena rischiara, avara, quella stanza. E sotto la
lampada, proprio di fronte all'unica finestra, il deschetto di Nonno
Nuti calzolaio - con accanto la forma in ferro, quella a piedistallo,
sempre pronta, su necessità, per suolare scarpe e sandali - ma anche
dispensa di trincetti e coltelli affilati, quando c'è da spellare un
conigliolo. E nonno prende dal deschetto il coltellino a serramanico,
quello suo, quando ragazzo viveva a Firenzuola. Lama corta e sottile,
per passarla e ripassarla leggermente, quasi una carezza, su una
scaglia di pietra serena oramai consunta. È così che l'arrota e
l'affila per un lavoro all'apparenza incruento, fatto di tocchi
leggeri tracciati nell'aria a sfiorare quel coniglio, oramai morto,
appeso per una zampa, ad un chiodo infisso nei correnti del soffitto.
Ed io a dare una mano, ritto su una seggiola, a tenere ferma l'altra
zampa, un secchio sotto a raccogliere sangue e rigaglie.
Un'arte
la sua per una pelle che se ne sorte sempre intera, senza tagli e
senza difetti, per Bicce Bocce, il cenciaio. Quasi il vestito delle
feste che nonno, con gesti sicuri, toglie di dosso a quel conigliolo,
con fare accorto come dovesse riporlo nell'armadio per le occasioni.
Lo incide e lo sfila a piccoli tocchi; il distacco di quella
membrana, leggera; sembra quasi fodera. Poi il punto più difficile,
con le "maniche" a fare resistenza, per una veste che
invece docile si arrende, come maglione stretto a collo alto,
lasciando la testa ignuda ma i "guanti intatti". E quella
pelle, così arrovesciata, appesa ad un chiodo ad asciugare, di
fronte alla finestra aperta che dà nell'orto, che viene riempita di
giornali che io appallottolo pagina dopo pagina e Nonno Nuti infila
dentro, è lì in serbo per quando passa Bicce Bocce.
Mentre
io sogno giocattoli o 'ghiottonerie' frutto di quella pelle,
rigaglie, budelle e fegato, dentro quel secchio, vanno a rifinire in
sull'acquaio di cucina, per Corinna, a farne 'salsa' per il giorno
dopo.
Comincia
così, il rito che ci accompagna ogni sabato al giorno di festa, alla
domenica. È appena fatto buio che, come liturgia stabilita nel tempo
da bisogni e risorse, gelosamente custodito per i giorni di festa, o
pollo o coniglio allevato in casa, viene preparato per la tavola
della domenica, che si riveste anche di tovaglia e piatti "boni".
In quell'acquaio di pietra, sotto la finestra che dà nell'orto,
immerse in un catino in acqua e aceto, le rigaglie e le budella,
Corinna le sciacqua e le risciacqua a più riprese. Cambiano colore,
sanno di pulito, odorano di buono. Manipolate, strusciate,
stropicciate e di nuovo risciacquate, fin dentro l'acqua chiara di
pozzo, vengono infin riposte, al 'fresco' della notte, fra due
scodette, in su quel davanzale, pronte per la salsa.
Clima
d'attesa, quella del sabato quando anche il mi' babbo torna presto,
mai dopo le otto. Attesa che io inganno appeso a quella sbarra di
ferro che serra l'uscio che dà in giardino. Uscio vecchio e
consunto, che un chiavistello corroso dal tempo da solo non riesce a
tenere. Gioco di quasi tutte le sere, in quell'angolo, nella
penombra, a fare capriole e giravolte, agganciato a quel paletto in
ferro. Gioco a volare lontano, tra sogni e fantasie e a guardare
rovesciata quella parete di fronte, quella nicchia dentro il muro,
con la conca del bucato, il coperchio di legno, che, una volta al
mese, Corinna e mamma mettono in funzione. Cenere, soda, lisciva e
varichina, a cancellare macchie, tracce di grasso e terra; io sempre
a debita distanza, in quella cucina essenziale, arredata con madia
per il pane e vetrina coi serviti delle feste.
Poi
arriva il mi' babbo, dalla stazione dei treni in bicicletta, felice,
stanco e affamato che mi scarruffa; le sue carezze, quelle del
sabato. Gli altri giorni, spesso, sono addormentato già da un pezzo.
E a cena tutti assieme, io, babbo, mamma, mia sorella Maurizia,
Corinna e Nonno Nuti in quella cucina a "di mezzo":
minestra in brodo, francesina o trippa, con contorno di patate lesse
o insalata dell'orto. E' il menù del sabato, così ogni sabato.
Anche quando, ricordo lontano, c'era tata Ines. Ora, che sposata
Actis a Domodossola, arriva solo per Natale con la "Cetta"
e col "Galup" in dono, il Panettone di Torino.
E
dopo cena a veglia! Serata speciale, il sabato si esce, sempre o
quasi. Nonno Nuti dal Giorgi per la consueta partita a carte.
Maurizia, è piccola! A letto presto. Noi si va da nonna Livia, la
porta accanto. Loro, che "hanno messo" la Radio, si mettono
a tavola ben dopo le otto, appena tornati Alberto e Magnino dal
lavoro. Mi serbano sempre un posto per l'assaggio del secondo, nonno
Musolino a capo tavola. Mamma nel cantone della Radio, alle nove del
sabato mandano le canzoni. Io mi ci incanto davanti a
quell'occhiolino verde che si illumina un po' per volta; zia Pia che
cerca la stazione e Nunzio Filogamo che annuncia le canzoni. Nilla
Pizzi, Achille Togliani, il Duo Fasano, Gino Latilla, Giorgio
Consolini a cantare in quella serata del Festival del '53, a San
Remo. Hanno orecchie solo per musica e canzoni, zia Pia, mamma e
Nonna Livia mentre, appena arrivata con al seguito la Chira e la
Simona, cani fedeli, Adriana, ancora infreddolita, indugia davanti al
focarile.
Intanto
le immagini mi si fanno confuse, gli occhi che non ubbidiscono più.
Faccio appena in tempo a
salutare Zio Alberto, Barnaghino, e zio Rodolfo, Magnino. "Si
va a fare a l'amore" .
Vanno
dalle fidanzate, con la moto Guzzi appena comprata a rate. Viaggio
"assistito", invece il mio, in collo a mamma, fino al primo
piano di casa Vannini, in quella prima camera e in quel letto da una
piazza e mezzo, mio e di Nonno Nuti.
a
San Miniato, nei pressi della chiesa della SS. Annunziata
"Nunziatina"
Foto
di Filippo Del Campana Guazzesi – Fine XIX secolo
Immagine
tratta da Il silenzio del negativo. Filippo Del Campana Guazzesi
fotografo in San Miniato, a cura
di G. Marcenaro, CRSM, Sagep Editrice, Genova, 1981, p. 172, n. 185.
Utilizzo
ai sensi art. 70 comma 1-bis della
Legge
22 aprile 1941, n. 633
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