di
Stefano Bartoli
Le
opere di Dilvo Lotti e il contributo di mio padre, muratore.
Andando in giro per S. Miniato è facile imbattersi in opere realizzate dal Professor Dilvo Lotti per la Sua cittadina, basta soffermarsi in piazza Grifoni, tenere l’ingresso del Palazzo alla sinistra e alzare lo sguardo su, rivolto alla parete dell’altro palazzo di proprietà della Cassa di Risparmio di S. Miniato, per vedere lo stemma della banca sanminiatese, opera in piastrelle di ceramiche, fissata lassù in alto.
Il palazzo è stato, di recente, interessato a un crollo di parte della punta del cornicione, dovuto all’usura del tempo e, con molta probabilità a qualche infiltrazione di pioggia. L’opera di Dilvo ha resistito meglio del cornicione e pare non aver riportato danni. Ricordo i racconti di mio padre in merito alla muratura delle grandi piastrelle in ceramica e delle numerose prove fatte per trovare la mescola più adatta a fissarle bene alla parete.
Oltre
a questo, secondo Lui, si era aggiunta una difficoltà imprevista, la
persona che aveva cotto le piastrelle non aveva usato uno “stampo”
oppure lo aveva fermato male per cui la seconda piastrella sulla
destra, partendo dall’alto, non era perfettamente allineata con
quelle di sopra e di sotto e tendeva a “allargarsi a sinistra”.
Mio
padre provò a correggere l’errore di cottura fissando le
piastrelle in modo non perfettamente lineare, così mi disse, ritengo
che abbia fissato le file di piastrelle superiori e inferiori
allargando un po’ le “fughe”, cioè gli spazi fra una
piastrella e l'altra, e abbia invece “ristretto” le fughe della
seconda fila di piastrelle.
Mauro,
conversando con me, si è più volte rammaricato di non essere
riuscito a fare meglio. Quando passeggio lungo la piazza, mi soffermo
spesso a rivedere l’opera e provo a immaginare mio padre, lassù,
sul ponteggio intento a provare e riprovare la muratura delle
piastrelle.
L’unica cosa che non so dire è se l’artista Dilvo Lotti era salito fin lassù, insieme con Lui, per sovrintendere alla muratura. Immagino di sì ma non ho informazioni al riguardo.
L’unica cosa che non so dire è se l’artista Dilvo Lotti era salito fin lassù, insieme con Lui, per sovrintendere alla muratura. Immagino di sì ma non ho informazioni al riguardo.
Sono invece convinto della costante presenza di Dilvo Lotti durante i lavori di restauro della chiesa di Santo Stefano, la mia parrocchia, nella quale ho anche fatto, per tanti anni, il chierichetto.
Gli
affreschi ai lati del nuovo altare di pietra, sulla parete di fondo,
sono stati realizzati da Dilvo che dipingeva abilmente e velocemente
sull’intonaco speciale fissato da mio padre sulla parete. Anche
quella volta c’erano volute diverse prove per realizzare una malta
abbastanza fine che asciugasse abbastanza velocemente, ma non troppo
e desse il tempo all’artista di fissare il colore mentre questa
finiva di asciugare, ciò permetteva alle immagini dipinte di
fissarsi insieme alla calce.
Il mosaico che si trova sotto l’altare fu invece murato “a pezzi”. L’opera era stata composta incollando i piccoli pezzi colorati su dei grandi rettangoli robusta carta, a rovescio. Appena gli scalini e l’altare, già murati, divennero agibili, mio padre riempì il buco rettangolare corrispondente alla dimensione dell’altare o poco più con un preparato di sabbia e calce sul quale andò a fissare il mosaico, un pezzo dopo l'altro, seguendo le precise istruzioni dell’artista. Dovemmo aspettare un paio di giorni o poco più per esser certi che la malta si fosse seccata e il mosaico fissato bene a terra per bagnare la carta protettiva e grattarla via. Solo allora potemmo ammirare il mosaico in tutto il Suo splendore.
L’ultimo
lavoro, prima della conclusione, fu quello di murare le quattro
piastrelle di cotto negli appositi spazi scolpiti nella pietra
quadrangolare che sorregge l’altare. Ricordo l’apprensione di mio
padre per “legare” due materiali così diversi, la pietra e il
cotto, in una posizione verticale.
Il timore era che, con il tempo, queste formelle potessero staccarsi dal blocco e cadere a terra rompendosi, sarebbe stato un vero peccato. Mi pare di ricordare che mio padre si aiutò in diversi modi, scolpi delle incisioni nella nuda pietra, con mazzuolo e scalpello, proprio lì, dove doveva fissare la terracotta. Mise la terracotta a bagno e provò più volte a fissarle. Fu costretto a ripetere l’operazione dal Suo buonsenso e dalla Sua esperienza, fino a quando questi non gli confermarono che il lavoro, fatto in quel modo, era ben fatto.
Il timore era che, con il tempo, queste formelle potessero staccarsi dal blocco e cadere a terra rompendosi, sarebbe stato un vero peccato. Mi pare di ricordare che mio padre si aiutò in diversi modi, scolpi delle incisioni nella nuda pietra, con mazzuolo e scalpello, proprio lì, dove doveva fissare la terracotta. Mise la terracotta a bagno e provò più volte a fissarle. Fu costretto a ripetere l’operazione dal Suo buonsenso e dalla Sua esperienza, fino a quando questi non gli confermarono che il lavoro, fatto in quel modo, era ben fatto.
A distanza di circa cinquanta anni è tutto ancora lì, piastrelle, mosaico, affreschi, altare e scalini, non male direi, tutto ha retto alla prova del tempo e ancora oggi è possibile ammirare questi capolavori del Professor Dilvo Lotti.
La chiesa di Santo Stefano, a mio avviso, vale una visita. A volte accompagno qualcuno in giro per San Miniato e mi diletto a far conoscere parti della cittadina. Ricordo con piacere e con affetto la visita di un mio caro amico, un architetto nato in Sud Africa, da emigranti italiani che è poi ritornato per andare a vivere in S. Gimignano. Vedo Ugo, così si chiama, estasiato di fronte alla bellezza della chiesa del Santissimo Crocifisso e, in ugual misura, da queste parti, che ho appena provato a illustrare della Chiesa di Santo Stefano. Ugo, all’epoca aveva ottantacinque anni e non era più perfettamente saldo sulle gambe, doveva appoggiarsi al braccio di qualcuno. Appena entrato nelle chiese, sembrò rianimarsi e trovare vigore, iniziò a sedersi su di una panca e osservava da quella prospettiva, poi ci chiedeva di aiutarlo a spostarsi, per trovare una visuale diversa, e un altro “gioco di luci e di ombre. Mentre faceva questo ci partecipava le Sue sensazioni di meraviglia, pronunciando commenti entusiasti come può fare un bambino di fronte ad un bel giocattolo.
Scrivo di persone che non ci sono più, un artista poliedrico, non solo pittore, un muratore e un architetto grato a tutti Loro per ciò che mi hanno trasmesso e lasciato, Il muratore era mio padre.
facciata
di Palazzo Inquilini in Piazza Grifoni
Nessun commento:
Posta un commento