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[anno 1355] LIBRO IV. CAPITOLO LV.
De'
fatti commessi per lo comune di Firenze, e degl'inganni ricevuti da'
suoi vicini.
«Avvegnaché quello che seguita non sia cosa notevole, concedesi al nostro trattato per ammaestramento delle cose a venire. I rettori del comune di Firenze sentendo passato in Italia l'imperadore e coronato a Moncia, per loro non si fe' alcuna provvisione in utilità beneficio del nostro comune; stando egli lungamente a Mantova nel lieve stato che v' era, se il nostro comune v' avesse mandalo a dargli conforto, ciò che avessono volato avrebbono di grazia impetrato da lui; ove poi con pericolo e con gran costo s' accordarono con lui, come seguendo si potrà trovare. E ancora lasciarono per matta ignoranza a provvedere d'arrecare alla loro volontà e disposizione tutte le città e castella e terre vicine, le quali lievemente con alquanta provvedenza avrebbono recato a dire e a fare quello che il comune di Firenze avesse voluto; ove in sul fatto catuna terra e castello, senza richiesta del comune di Firenze, prese suo vantaggio, non senza pericolo del nostro comune: la diligenza e la sollecitudine de' nostri rettori fu abbandonata al corso della fortuna, come per antico vizio degli uomini del nostro comune è consueto, perocché non é chi si curi di patrocinare lo stato e la provvedenza del nostro comune; e i rettori, c' hanno poco a fare all'uficio, intendono più alle loro private cose che a' beneficii del comune: e però più lo conduce fortuna che provvedimento; ma molto l'aiuta Iddio, e gli ordini dati alla grande massa del comune per i nostri antichi maggiori. E in questo tempo per questa cagione avvenne, che i Sanesi non si curarono di rompere in sul fatto la fede a' Fiorentini: e i Volterrani, sentendo l'offerte fatte pe' Sanesi, anch'eglino si diedono liberamente all'imperadore contro al volere de' Fiorentini; e i Pistoiesi, contro al volere de Fiorentini, e senza con loro conferirne, vi mandarono ambasciadori per darlisi: ma sentendo che il comune di Firenze si turbava contro a loro, si rattennono della libera profferta, e soprastettono più per paura che per amore; e' Samminiatesi cominciarono segretamente, coprendosi a' Fiorentini, di darsi liberamente all'imperadore: e trovando tra loro concordia, prima l'abbono fatta ch' e' Fiorentini vi potessono riparare; e se non fosse che i rettori di Arezzo torneano forte de' Tarlati loro usciti e de' ghibellini d'entro, avendosi veduti a stanza de' Senesi abbandonare da' Fiorentini nella presenza dell'imperadore, si sarebbono dati come gli altri, non curandosi del comune di Firenze; ma per loro medesimi sostennono la libertà di quello comune, essendo forte impugnati da' Tarlati, Pazzi e libertini loro ribelli, ch' erano con l'imperadore: e avvedutisi gli ambasciadori fiorentini dell'inganno de' Sanesi, e di quello ch'aveano fatto i Samminiatesi e' Volterrani, cominciarono a parlare per gli Aretini e per i Pistoiesi. L' imperadore per sua industria non li sostenne, ma disse la parola del Vangelo: aetatem habent ipsi, de se loquantur, e non lasciò dar loro audacia o favore; e cosi per difetto di mala provvedenza, i Fiorentini de' loro proprii fatti, e di quelli che s'appartengono alla guardia de' loro vicini, furono più e più giorni a pericoloso partito, e in grande ripitio degli altri cittadini.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 144.
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