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cura di Francesco Fiumalbi
REGESTO
L'AUTORE
E L'OPERA
Matteo Villani,
fratello minore di Giovanni, nacque a Firenze nei primi anni '80 del
XIII secolo. Come il fratello, fu dedito alla mercatura presso la
compagnia dei Buonaccorsi, della quale fu rappresentante presso
Napoli seguendone le alterne vicende fino al fallimento, avvenuto nel
1342.
Matteo,
a partire dal 1348, proseguì la Cronica
del fratello Giovanni morto di peste in quell'anno. Nel 1362 subì un
processo per “ghibellinismo”, ma fu assolto dall'accusa.
Denunciato nuovamente l'anno successivo, fu dichiarato ineleggibile
nelle magistrature pubbliche. Morì anch'egli di peste nel 1363.
La
Cronica di
Matteo Villani si compone di 11 libri, formulati come prosieguo di
quella del fratello. Coprono un arco temporale di quindici anni, che
va dal 1348 fino al 1363. La narrazione fu ulteriormente continuata
da suo figlio Filippo.
Una
prima edizione dell'opera, composta solamente dei primi 4 libri, fu
data alle stampe in Firenze, da Lorenzo Torrentino nel 1554. Complete
invece le edizioni Giunti del 1562 e del 1581, quest'ultima con i
riscontri di un nuovo manoscritto, rinvenuto nel frattempo, ovvero il
cosiddetto “Codice Ricci”, e già pubblicato, sempre dai Giunti
nel 1577. L'ulteriore ristampa Giunti del 1597 contiene anche i
capitoli compilati dal figlio Filippo. La Cronica
conobbe nuova fortuna con
l'edizione muratoriana del 1729 (nella “collana” Rerum
Italicarum Scriptores).
Il codice Ricci fu ulteriormente riprodotto nell'edizione curata da
Moutier e stampata in Firenze da Magheri nel 1825-26, integrata con
alcune varianti desunte anche da altri manoscritti. Quest'ultima
versione fu poi riprodotta nell'edizione di Sansone Coen (Firenze,
1846) e nella Lloyd Austriaco (Trieste, 1857). Ed è proprio da
quest'ultima edizione che è tratto il nostro regesto in chiave
sanminiatese.
Frontespizio
SAN
MINIATO NELLA “CRONICA” DI MATTEO VILLANI
Le
notizie “sanminiatesi” contenute negli undici libri della Cronica
di Matteo Villani sono di
varia natura anche se circoscritte agli anni 1355 e 1363.
Carlo IV di Lussemburgo,
ancor prima di essere incoronato imperatore (Roma, 5 aprile 1355),
dette inizio ad una politica volta a rafforzare la posizione della
corona all'interno del complesso scacchiere toscano, dominato ormai
dalla città di Firenze. La strategia di Carlo IV fu volta a
garantirsi il consenso e il sostegno da parte dei centri toscani, a
scapito di Firenze, che sarebbe dovuta rimanere isolata. In questo
contesto, anche i Sanminiatesi giurarono la propria fedeltà
all'Impero [01].
A tal proposito, Matteo Villani chiarisce anche il retroscena
venutosi a creare all'interno della comunità sanminiatese, divisa
dalle due casate magnatizie dei Malpigli e dei Mangiadori che,
affinché nessuna delle due prendesse il sopravvento sull'altra, di
comune accordo inviarono gli ambasciatori al cospetto
dell'Imperatore. Quest’ultimo nel frattempo si trovava a Pisa, e
l'8 marzo 1355 raccolse l’atto di sottomissione dai Sanminiatesi
[02].
Le trattative tra l'Imperatore e i Fiorentini, affinché anche
quest'ultimi riconoscessero l’autorità regia e quindi facessero
atto di sottomissione, presero avvio con l’iniziale posizione di
forza da parte della corona, forte della signoria che Carlo IV poteva
vantare sui centri di Pisa, Siena, Volterra e San Miniato [03]
[04]. Rotte le trattative
con i Fiorentini, Carlo IV da Pisa partì alla volta di Roma dove lo
attendeva la cerimonia di incoronazione, l’ultimo atto formale
della sua ascesa al trono imperiale. Dopo aver visitato Volterra, il
23 marzo 1355 passò anche da San Miniato dove fu accolto come
signore [05].
Carlo IV transitò una seconda volta da San Miniato il 5 maggio
successivo, mentre era in viaggio da Siena a Pisa, di ritorno da Roma
[06].
Una
volta rientrato in Pisa, l’Imperatore trovò una situazione pronta
ad infiammarsi. Il Conte Iacopo della Della Gherardesca (detto
“Paffetta”) e Ludovico Della Rocca soffocarono nel sangue la
rivolta contro l’Imperatore scoppiata il 21 maggio successivo, dopo
che era stato incendiato il palazzo degli Anziani. Pochi giorni dopo,
tre esponenti della famiglia dei Gambacorta, costretti sotto tortura
a dichiarare ogni tipo di colpevolezza, furono decapitati. Uno di
essi, aveva fatto il nome di tre cittadini fiorentini con cui la
fazione dei rivoltosi avrebbe stretto trattative e ottenuto aiuti
dall’esterno. I tre fiorentini furono condotti a San Miniato, dove
l’Imperatore aveva ricevuto la signoria. Qui furono processati, ma,
vista l’inconsistenza delle accuse mosse contro di loro, furono
completamente assolti e quindi rilasciati [07].
Alcuni
anni dopo, nel 1363, i mercenari al soldo dei fiorentini che dovevano
prendere servizio presso Peccioli ebbero da lamentarsi a causa della
paga, giudicata troppo bassa anche se non va escluso un tentativo di
estorsione da parte dei militari. Quest’ultimi si ribellarono e
costituirono una vera e propria “compagnia” di ventura (chiamata
Compagnia del Cappelletto) a cui si aggiunsero molte alte
soldatesche, fino a contare più di 1000 uomini. Sul momento fu una
vera e propria scheggia impazzita in seno all’esercito fiorentino
che, in quel momento, stava combattendo fra Marti e Castel del Bosco
contro i Pisani. Il capitano, messer Bonifacio Lupi, decise così di
interrompere le operazioni belliche in atto e di ritirare le truppe a
San Miniato [08].
Infine,
riporta l’avvenuta morte di Pietro Farnese, Capitano Generale
dell’esercito fiorentino, mentre si trovava a San Miniato [09].
In quel periodo la Toscana era nella morsa di una nuova ondata di
peste, dopo quella drammatica del 1348. La stessa ondata che, poco
dopo, avrebbe colpito lo stesso Matteo Villani.
REGESTO
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