di
Francesco Fiumalbi
Il
gelso è una pianta arborea molto diffusa in Toscana, ed anche nel
nostro territorio sanminiatese. A differenza di altre varietà, su
tutte il cipresso e l'olivo, nonostante l'ampia diffusione non è
granché conosciuta, almeno non fra i meno esperti.
“Il
gelso […]
ha
un tronco arboreo, scorsa screpolata, rami diffusi, foglie alternate,
picciolate, quasi lisce, frutta nel mese di Giugno. Egli è
originario dalla China e dalla Persia ove spontaneo vi cresce”.
[Angelo
Peroni, La
coltivazione del Gelso. Trattato Pratico,
Gaetano Venturini Tipografo, Brescia, 1832, p. 21]
L'ampia
diffusione in Toscana è dovuta al fatto che le foglie del Gelso
costituiscono la dieta pressoché esclusiva del baco
da seta
e quindi la coltivazione di questo albero è direttamente legata alla
produzione del prezioso tessuto.
Ci
sono vari tipi di gelso, catalogati a seconda del tipo di foglia,
oppure della varietà del frutto: a mora nera o a mora bianca. Questo
piccolo frutto, che l'albero produce in notevole quantità,
assomiglia molto alla più nota mora di rovo, anche se ha un sapore
decisamente più dolce. Oggi trovare un gelso è diventata quasi
un'impresa, ma, quando i gelsi erano in ogni podere, la sua mora
costituiva un gustoso spuntino da consumare nella prima metà del
mese di giugno.
Foto
di Francesco Fiumalbi
Nella
Firenze del tardo medioevo una delle principali corporazioni
cittadine era proprio l'“Arte
della Seta”,
che faceva parte del gruppo delle “Arti Maggiori” insieme a
quelle dalla Lana, dei Mercanti, dei Giudici e Notai, del Cambio, dei
Medici e Speziali e dei Vaiai e Pellicciani.
Per
rinnovare l'impulso della manifattura legata alla seta, nel 1423 la
Repubblica Fiorentina (quindi il provvedimento riguardò anche il
territorio sanminiatese) tolse la gabella sulle foglie di gelso ed,
anzi, ne proibì l'esportazione. Inoltre fu fatto obbligo ad ogni
contadino di piantare 5 gelsi all'anno, fino al raggiungimento del
numero di 50. [Rapporto
degli Studi accademici fatti nell'anno 1839-40, letto dal segretario
degli Atti, avvocato Celso Marzucchi, nell'adunanza solenne del 29
novembre 1840,
in Continuazione
degli Atti dell'I. E R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di
Firenze,
vol. XVIII, Dispensa Seconda, G. P. Viesseux, Firenze, 1840, p. 179].
Firenze,
Piazza SS. Annunziata
Foto
di Francesco Fiumalbi
Facciamo
un salto di oltre tre secoli, nella Firenze della seconda metà del
'700. Salito al trono il Granduca
Pietro Leopoldo di Lorena,
la città gigliata contava circa 80.000 abitanti, di cui 47.000
occupati. Di questi, quasi 9.000 (cioè quasi un quinto del totale)
erano impiegati nell'industria della seta [Giuseppe Conti, Firenze
dopo i Medici,
R. Bemporad & Figlio Editori, Firenze, 1921, pp. 549-550.]. E
questo dato ci dà un po' un'idea dell'importanza di tale indotto
nell'economia di Firenze e dell'intero Granducato, in particolare
della zona pratese e alcune parti dell'aretino.
Lo
stesso Pietro Leopoldo promulgò una legge, attraverso la quale
autorizzò la piantumazione dei gelsi lungo le strade regie (fra
queste c'era anche l'attuale via Tosco-Romagnola Est) e le vie
pubbliche, e i cui frutti sarebbero stati goduti dai frontisti, cioè
dai proprietari dei terreni che confinavano con le strade [Rapporto
degli Studi... Cit.,
p. 179]. In pratica era un modo per rendere produttive anche quelle
superfici di risulta, che di fatto erano destinate a rimanere
incolte. Un provvedimento che per certi aspetti potrebbe far
ricordare la “Battaglia
del Grano”
durante il periodo fascista, dove in alcuni casi il grano venne
piantato anche nelle aiuole. Ma questa è un'altra storia.
Nel
1779, in occasione della nascita del suo undicesimo figlio, Antonio
Vittorio,
Pietro Leopoldo concesse vari provvedimenti a vantaggio di diversi
settori, fra cui la facoltà di contrattare liberamente le foglie di
gelso e i bozzoli del baco da seta, permettendone il trasporto e la
vendita senza il rischio di incorrere in gabelle o, peggio ancora, in
sanzioni. Una sorta di “liberalizzazione”, fatta passare come una
concessione, ma che di fatto costituiva un nuovo impulso a quella che
all'epoca era una delle poche attività redditizie dell'intero
Granducato.
Foto
di Francesco Fiumalbi
Nella
Relazione
dello stato delle arti e manifatture per la comunità infrascritta
sottoposta alla cancelleria della città di San Miniato e alla
giurisdizione civile di detta città
[Paolo Morelli, Aspetti
dell'economia e della società di San Miniato durante il regno di
Pietro Leopoldo,
in P. Morelli (a cura di), San
Miniato nel Settecento. Economia, società, arte,
pp. 40-42), datata 1768, traspare in maniera evidente come la
manifattura della seta non sia fra quelle praticate nel territorio
sanminiatese. Tuttavia la coltivazione del gelso, che rientrava in
campo agricolo (e non manifatturiero), doveva essere molto diffusa:
ogni podere o quasi aveva le sue piante di gelso, i cui rami venivano
letteralmente privati di ogni foglia nel momento in cui si
schiudevano le uova del baco da seta. E l'attività di “sfogliatura”
dei gelsi divenne uno di quei lavori stagionali come la vendemmia, la
mietitura o la raccolta delle olive.
Foto
di Giuseppe Chelli
Al
giorno d'oggi, con la scomparsa delle coltivazioni promiscue e con un
tessuto agricolo incentrato sul modello monocolturale di tipo
aziendale, i gelsi sono quasi del tutto scomparsi dalle nostre
campagne. Tuttavia qualcuno riesce a sopravvivere, magari nei pressi
di una vecchia casa colonica o sul ciglio di una viottola. D'altra
parte il gelso è una pianta che supera facilmente il secolo di vita.
Se
qualcuno volesse gustare le prelibate more di gelso, può andare nel
bel mezzo di San Miniato Basso. Nella prima metà di giugno, gli
alberi del parcheggio di Piazza Vincenzo Cuoco, antistante la sede della Misericordia, si riempiono delle tipiche more nere.
Sono ad una media altezza, e soprattutto sono un'ottima merenda
completamente gratuita. Provare per credere: sono dolcissime!
C'è da dire che queste piante sono state utilizzate per il parcheggio perché richiedono poca manutenzione, non diventano troppo grandi (come, per esempio, i platani) e d'estate fanno un bel fresco.
C'è da dire che queste piante sono state utilizzate per il parcheggio perché richiedono poca manutenzione, non diventano troppo grandi (come, per esempio, i platani) e d'estate fanno un bel fresco.
Una
piccola avvertenza: le more macchiano e se ci lasciate l'auto
parcheggiata sotto, anche solo per un'ora, farete la gioia di un
autolavaggio.
davanti
la sede Misericordia
Foto
di Francesco Fiumalbi
Visto che il gelso sta
scomparendo dal nostro paesaggio agreste, si propone di fare il
“censimento del gelso”. Per indicare dove si trovano le piante
sopravvissute potete scrivere un commento qua sotto, oppure inviarci
una e-mail al solito indirizzo smartarc.blogspot@gmail.com
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