a
cura di Francesco Fiumalbi
In
questo post è proposto lo studio operato dall'erudito fiorentino
Domenico Maria Manni
(Firenze 1690 – 1788) relativo al sigillo dei Signori Dodici del
Comune di San Miniato. La dissertazione del Manni si inserisce nel
volume n. XIV delle sue Osservazioni
Istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi
(30 volumi, editi fra il 1739 e il 1786), stampato a Firenze, presso
la sua stamperia, nel 1743.
Il
Sigillo proposto dal Manni sembra fosse conservato nella collezione
di Gaetano Antinori, nobile fiorentino. Inoltre egli
riferisce di un ulteriore sigillo posseduto dal Canonico Innocenzio
Buonamici di Prato, del quale Luigi Passerini (L. Passerini, Le
Armi de' Municipj Toscani,
Firenze, 1864, pp. 158-159) attribuisce una datazione al 1355, anno
in cui San Miniato si pose sotto la protezione dell'Imperatore Carlo IV di Lussemburgo
incoronato a Roma nello stesso anno. Lo stesso Luigi Passerini
propone come datazione del sigillo pubblicato dal Manni l'anno 1309.
In realtà potrebbe essere anche posteriore di alcuni anni.
Occorre precisare che
la dissertazione che segue al sigillo è decisamente scarna,
incompleta e imprecisa. D'altra parte, al momento in cui scrive il
Manni, non erano molte le pubblicazioni che trattavano la storia
sanminiatese: le cronache di Giovanni e Matteo Villani, Ricordano
Malispini, Niccolò Macchiavelli e le opere di Giovanni Lami (che
contiene anche gli annali del Bonincontri) e di Scipione Ammirato il
Vecchio con le aggiunte del Giovane. Per cui molte notizie che
disponiamo oggi, a quel tempo non erano ancora state riportate alla
luce.
Più che altro, sembra
che il Manni sia particolarmente interessato all'ambito, Guelfo o
Ghibellino, in cui San Miniato si inseriva di volta in volta,
all'interno dello scacchiere politico toscano fra il '200 e il '300.
E per questo tralascia tutta una serie di informazioni storicamente
rilevanti, su tutte la conquista da parte dei Fiorentini del 1370.
Probabilmente
questa impostazione deve essere stata suggerita anche dalla presenza
nel Sigillo del cosiddetto “Capo d'Angiò”,
ovvero un lambello di colore rosso, costituito da quattro pendenti,
intervallati da tre gigli d'oro su sfondo azzurro. Questo particolare
del Capo d'Angiò contraddistingueva in Italia, e con maggior
frequenza in Toscana e in Romagna, la Parte Guelfa, a cui San Miniato
aderì in varie occasioni: su tutte nell'ambito della “Pace di
Napoli” del 1317, promossa da Roberto d'Angiò
e che segnò il ritorno di molti castelli a San Miniato, che si
trovavano detenuti dai Pisani, conquistati o fatti ribellare da
Uguccione della Faggiuola fra il 1314 e il 1316. E, come giustamente
rileva il Manni, San Miniato non mancò di aderire anche alla fazione
ghibellina a seconda delle convenienze, come in occasione delle
discese di Carlo IV, e che probabilmente portarono anche a modifiche
negli Statuti del Comune, come ha osservato Francesco Salvestrini
[F. Salvestrini, Il
Nido dell'Aquila. San Miniato al Tedesco dai Vicari dell'Impero al
Vicariato Fiorentino del Valdarno Inferiore (secc. XI-XIV),
in A. Malvolti e G. Pinto, Il
Valdarno Inferiore Terra di Confine nel Medioevo (Secoli XI-XV),
Atti del Convegno di Studi 30 settembre – 2 ottobre 2005, Leo S.
Olschki Editore, Firenze, 2008, p. 262]. E quindi non è da escludere
che, assieme ai libri statutari, anche l'emblema comunale non abbia
subito modificazioni e aggiornamenti.
Di
seguito l'estratto: Domenico Maria Manni, Osservazioni
Istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi,
Vol. XIV, Firenze, 1743, Sigillo n. IX, pp. 95-103.
Il
Sigillo dei Signori Dodici del Comune di San Miniato
OSSERVAZIONI
ISTORICHE
SOPRA IL SIGILLO IX.
ISTORICHE
SOPRA IL SIGILLO IX.
«Dal
Sig. Abate Gio. Paolo Ombrosi, giovane di ottima aspettazione, sono
stato favorito d'alcune reflessioni d'Amico suo sopra il Sigillo de'
Dodici del Popolo della nobile Terra, ed ora Città, di S. Miniato,
alle quali alcun'altra cosa di mio mi è paruto di dovere
aggiungnere, come in appresso; il tutto per dar luce, e chiarezza al
Sigillo stesso.
L'antica
Repubblica di Samminiato faceva per Arme come fa anco di presente una
Leonessa con stocco (un
tipo di spada a lama lunga e sottile, adatta ai colpi di punta,
n.d.r.), come si vede appunto
nell'impresso sigillo.
In
un altro Sigillo posseduto dal Sig. Canonico Innocenzio Buonamici di
Prato la Leonessa sembra essere senza lo stocco, bensì coronata,
avente attorno le parole SIGILLUM ·
IMPERIALIS
·
CASTRI SANCTI ·
MINIATIS.
Ciò
premesso, chiaramente si vede, ch'esso non era Sigillo particolare
d'alcun Magistrato, ma proprio del Comune, il qual era governato a
vicenda, e secondo l'estrazioni, da dodici Persone, chiamati i dodici
Difensori del Popolo, e dipoi vi aggiunsero CAPITAN PARTIS GUELFE.
Il
governo di quella allora Repubblica fu or di Parte Guelfa, ed or di
Ghibellina, secondo che l'una prevaleva all'altra, o che cos'
richiedevano i reflessi politici: Comecchè Samminiato era residenza
de' Vicari Imperiali, che vi aprirono il lor Tribunale fino al tempo
d'Ottone I, come attestano i Bonincontri, Malespini, Boninsegni,
Villani, Ammirati ec. E de fatto per esser così benemerito
dell'Imperio, a principio inclinò il governo a Parte Ghibellina.
Del
1202. lo dice chiaramento il Bonincontri nel Lib. 4 de' suoi Annali.
Del
1240. attesta Giovanni Villani, che Federigo II. molti prigioni
Guelfi mandò a Samminiato.
Cosa
simile riferisce nel suo Viaggio il chiarissimo Sig. Giovanni Lami
sotto l'anno 1249 di alcuni Fiorentini Guelfi da Federigo messi in
progione in S. Miniato, ove i più morirono di miseria; e ciò
coll'autorità degli Annali del Bonincontri.
E
nel 1281 il medesimo Villani, poiché riceverono il Vicario
Imperiale, che venne in Toscana in favore de' Ghibellini.
Nel
1320 i Samminiatesi erano uniti con Castruccio contro i Fiorentini;
eccoli Ghibellini. Nel 1324 in lega co' Fiorentini contro Castruccio;
ed eccoli Guelfi.
Contro
la volontà dei Fiorentini si dettero all'Imperator Carlo IV da cui
riceverono cortesie straordinarie, come racconta Matteo Villani nel
Libro 4 Cap. 63 ed accettarono il Vicario Imperiale, che iusdicebat
in tutta la Toscana, ed a lui, ed alla sua Curia si devolvevano le
Cause d'appello anco criminali, come si riconosce dal fatto riferito
dal medesimo Matteo Villani al Libro 5 Cap. 26 che quei tre Cittadini
di Firenze, accusati di offesa maestà, benchè di essi noino
sospetto cadesse nel petto dell'Imperatore, nondimeno convenne, che
si appresentassero in giudicio a Samminiato, ove furono dichiarati
non colpevoli.
In
altri tempi non mi pare, che il Governo di Samminiato fosse
Ghibellino, con tutto che questo paese fosse per antico la Residenza
degli Imperatori, e de' loro Vicari nel luogo sopraccitato: vedo
bene, che in molte congiunture favorì i Guelfi, e prima.
Nel
1251 i Fiorentini convennero co' Lucchesi, che si sarebbero adoprati
di tirar dalla loro i Samminiatesi, così l'Ammirato il giovane: tal
promessa mi fa credere, che i Samminiatesi o fussero, od inclinassero
a Parte Guelfa, perché se fossero stati pretti Ghibellini, a tanto
non si sarebbe avanzato il Comune di Firenze.
Nel
1260 è chiaro, che di quivi li mandò le genti all'Arbia, e fu di
gran giovamento ai fuggitivi.
Nel
1276 nella pace conclusa alla Fossa Arnonica i Samminiatesi erano
collegati co' Fiorentini, che si governavano a Parte Guelfa; così
l'Ammirato il giovane.
Nel
1289 i Samminiatesi spedirono soccorso contro i Ghibellini d'Arezzo,
dove il franco ed esperto valore d'un Cavaliere Samminiatese fu causa
della vittoria di Campaldino: così raccontano le Croniche di Dino
Compagni.
Nel
1297 racconta il sopraccitato Scipione, che nell'esercito spedito in
favor del papa non solo vi erano le milizie di quivi, ma di più era
Capitan Generale di tutto l'esercito Bertoldo Malpigli da Samminiato.
Nel
1301 il medesimo Scipione afferma che si confermò la taglia de'
Guelfi in Toscana, alla quale comandava come Generale Barone de'
Mangiadori da Samminiato.
Nel
1308 nelle Croniche del nostro Ser Giovanni di Lelmo si narra, che i
Fiorentini, Sanesi, Samminiatesi, Lucchesi, ed altri Gulefi andarono
coll'esercito contro gli Aretini.
Nel
1313 nelle suddette Croniche si fa menzione che, perché i Pisani
ruppero guerra a' Samminiatesi, furono confinat nelle loro Ville
molti Samminiatesi di Parte Ghibellina.
Nel
1318 nelle dette Croniche si narra che nella pace fatta in Napoli
colla mediazione del Re Ruberto, i Samminiatesi come Guelfi ec.
Nel
1325 dopo la rotta d'Altopascio dice il Villani Libro 9 Cap. 303 che
da nullo Guelfo ebbono subito aiuto, se non da Samminiato.
Nel
1343 raccontano l'Ammirato, ed il Boninsegni, che vedendosi alle
strette i Fiorentini al tempo della cacciata del Duca d'Atene,
chiesero aiuto ai Samminiatesi, i quali in meno di ventiquattro ore
sperirono loro duemila uomini in soccorso, che molto ricreò, ed
incoraggì lo sbigottito popolo di quella Città, la quale
governandosi a Parte Guelfa, è credibile, che ricorresse agli amici,
che se in Samminiato fosse stato governo Ghibellino, certamente non
gli si sarebbe spedito così valido soccorso.
Nel
1347 mi do a credere, che in questo tempo visi vivesse a Parte
Guelfa, per la lega fatta tra i Fiorentini, e' Samminiatesi, nella
quale fra l'altre convenzioni si legge, che i Grandi di Samminiato
fossero Grandi di Firenze, ed i Grandi di Firenze fossero Grandi di
Samminiato. Vi è lo strumento riferito anco dall'Ammirato, e da
altri. Ed in questo anno, io poco dopo vado pensando, che fatto il
Sigillo, di che si discorre, perché quei Gigli pare, che denotino la
stretta unione, che si fece in quest'anno tra i due Comuni, e poteasi
dare che anco in Firenze si facesse un Sigillo coll'Arme propria del
Comune di Firenze, con accanto, o sopra la Leonessa di Samminiato (lo
che per altro non si crede) per denotare, che si viveva fra loro in
concordia, ed aleanza.
Mè
qui disdice l'aggiungere per maggiore schiarimento del Sigillo, come
si trovano alcuni Ricordi MSS, circa gli affari di Samminiato, che
nominano opportunamente i Dodici del Sigillo stesso; l'uno sotto
l'anno 1309 ed è che: Piglio di Mess. Ridolfo Ciccioni feì nel viso
Ser Fredi di Ser Ruggieri Bertacci della Contrada di Pancoli con un
coltellaccio il dì primo di Maggio, il quale Ser Fredi usciva detto
dì de0 Signori Dodici del Popolo di S. Miniato, e tutti i giurati
per tal cosa con il Gonfalone incontanente consero alla Casa di detto
Piglio, e quella per la parte li toccava spianarono fino a'
fondamenti, essendo Capitano del Popolo Mess. Leuccio de' Guazzalotri
da Prato, il quale dipoi condannò detto Piglio per detta ferita, e
maleficio commesso in l. 1500 i suoi beni applicando alla Camera del
Comune la metà, ed all'offeso il resto.
L'altro:
i Ciccioni, e Mangiadori, e gli altri Nobili di S. Miniato adì 14
agosto 1309 roppero il Popolo di detta Terra, ed arsero tutti i
Libri, e Statuti del Comune, e cacciarono li Signori Dodici del
Palazzo, e così il Capitano del Popolo, e questo fecero perché
s'era fatto uno Statuto, che i Nobili fossero tenuti sodare dinanzi
al Capitano di lire 1000 di non offendere nessuno popolare, la qual
cosa i Nobuli recusando, furono forzati combattere insieme. Vincendo
i Nobili, come s'è detto di sopra molte Case de' Populari
abbruciarono, e guastarono, e specialmente quelle di Bindo Vannucci,
di Ser Matteo di Ser Arrigo Malederrate, e di Ser Giunta da
Brusciana, e molte altre messe a scacco. E dopo questo il giorno
seguente ad ora di Vespro detti Ciccioni, e Mangiadori con altro
Nobili fecero consiglio per riformare la Terra, e dettero autorità,
e potestà, e balia a Mess. Betto Tagliameli da Lucca in quel tempo
Podestà di S. Miniato; e Mess. Barone de0 Mangiadori, e Mess.
Tedaldo de' Ciccioni furono eletti Capitani, e Riformatori a riformar
la Terra; i quali abitavano, e facevano residenza nel Palazzo nuovo
del Popolo, dove elessero li Signori Dodici; dipoi con detti Signori
s'elesse il Consiglio del Popolo, e della Guardia, e così d'accordo
fu riformata la Terra, ed il Podestà per vigor dell'arbitro datoli
fortemente puniva con aspezza, e specialmente Cinello di Bardo
Bonfigli della Contrada di Pancoli, il quale avea morto Vanni di Ser
Piero il Giovedì a' 22 d'Agosto, e volendolo ricomprare gli amici
suoi lir. 1500 non ottenne la grazia, ma il dì seguente gli fu mozza
la testa. Molte cose di Samminiato sono riferite dal soprallodarto
Sig. Dottor Giovanni Lami nel suo Viaggio.
Ma
per dire qualche cosa della Divisa di tal Luogo, ella, come è stato
accennato di sopra, si è una Leonessa bianca in campo rosso avente
uno stocco nella branca destra, sebbene poco nel Sigillo si conosce.
In altro Sigillo parimente antico della Terra, oggi Città medesima,
si legge attorno: SANTUS ·
MINIATUS ·
FUGURAM ·
DAT ·
LEONINAM.
Notar
quindi si vuole, come il Comune di Samminiato l'anno 1491 concedè a
Matteo di Manetto Carnesecchi, e suoi figliuoli, e discendenti di
poter portare l'Arme stessa della Leonessa, in riguardo de' buoni
portamenti fatti da esso Matteo stato Vicario ivi l'anno 1410 e di
quelli ancora di Maneto padre di esso Matteo statone Vicario l'anno
1440. Ciò, che in varj luoghi in altri tempi a diverse Famiglie è
stato fatto, full'esempio di quel che ha praticato talvolta il Comune
di Firenze verso gli Ufficiali loro forestieri, che hanno fra noi
amministrato la giustizia.»
Ma come da leonessa divenne leone qui non si dice nulla pur accennando a quel Carlo IV che pare sia stato la causa del mutamento di sesso.
RispondiEliminaL'ho scritto nell'introduzione, fu il Passerini a dire che mutò da leonessa a leone, nel suo libro sugli stemmi dei comuni toscani, stampato nel 1864. L'ipotesi (si può parlare sono di ipotesi) del Passerini è stata poi ripresa da tutti quelli che sono venuti dopo.
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