di
Francesco Fiumalbi
Nel gennaio del 1370,
dopo alcuni mesi d'assedio, San Miniato perse definitivamente una
qualche forma di autonomia all'interno dello scacchiere toscano. I
Fiorentini dopo aver espugnato la fortezza e occupato il territorio
sanminiatese, attraverso una serie di disposizioni inglobarono il
Comune di San Miniato nel proprio distretto. Senza entrare troppo nel
dettaglio, tali provvedimenti riguardarono gli aspetti
politico-militari (istituzione di un Vicario, nomina del Podestà,
riforma degli Statuti) e la sfera economica (pagamento danni di
guerra, abolizione delle gabelle, nuovo regime fiscale, inserimento
nel catasto). Tutto questo provocò, almeno fino agli anni '20 del
'400, un generale clima di malcontento che spesso sfociò in azioni
di rivolta più o meno organizzate. Uno di questi casi è l'episodio
che vide protagonista Taddeo di Francesco da San Miniato nel dicembre
del 1377.
La “Rocca” di San
Miniato
Foto di Francesco
Fiumalbi
Di
questa cospirazione ne abbiamo notizia attraverso gli atti
giudiziari, compilati dal notaio Bartolo Corsi, che ci sono pervenuti
fino ai giorni nostri. La documentazione è conservata presso
l'Archivio di Stato di Firenze, Giudice
degli Appelli,
93, fasc. 10, cc. 9r-13r
e
parzialmente pubblicata da Giuliano Pinto, “Toscana
Medievale. Paesaggi e realtà sociali”,
Le Lettere, Firenze, 1993, pp. 61-62.
Il protagonista di
questa vicenda fu un sanminiatese, verosimilmente appartenente al
ceto popolano, probabilmente artigiano o piccolo commerciante;
sicuramente non era un magnate, e nemmeno un bracciante. D'altronde,
come vedremo, Taddeo di Francesco col suo modo di agire dà l'idea di
essere ben consapevole della situazione politica ed economica, e
tiene dialoghi alla pari con persone che risultano essere per lo più
commercianti, che egli spesso incontra alla “Dogana del Sale”.
Taddeo aveva avvicinato diversi uomini di San Miniato e dei borghi
circostanti, sostenendo la necessità di ribellarsi al Comune di
Firenze e alla parte Guelfa, e di ricostituire l'autonomia comunale
di San Miniato, da raggiungere probabilmente attraverso il
coinvolgimento della parte filoghibellina.
«…
quod
dicta terra Sancti Miniati non perseveraret set diverteret a
iurisdictione, dominio, potestate, voluntate et obedientia populi et
comunis Florentie et Partis Guelfe».
Un abitante di San
Miniato era stato avvicinato da Taddeo di Francesco, il quale aveva
cercato di convincerlo ad unirsi alla cospirazione pronunciando
queste parole:
«[…]
Tu
vedi come noi stiamo male; e vedi come noi siamo male tractati dal
Comune di Firençe, che à posto testè a questa terra e al contado
diecimila fiorini, e facti rimediare come tu vedi
(il riferimento è al nuovo regime fiscale, ndr).
E vedi che di questo e dell'altre chose e' ci dà tante graveçe e
ispese che non sono da poterlle sostenere; e ben vedi tu che noi
stiamo viè pegio che se noi fussimo socto uno crudelissimo tiranno.
O non sarebe meglio che noi fussimo liberi e reggiessimoci per noi
medesimi e uscissimo dalle mani di questo maledetto tiranno ch'é il
comune di Firençe? E però faremo meglio d'essere hiuratti insieme,
e d'essere chome fratelli e di lasciare stare il settegiare, e
attediamo d'essere liberi. Io per me sono disposto toccare questa
materia et secretamente tractare con quegli huomini che ci ànno
virtù veruna, che noi siamo liberi e usciamo di questa subgettudine.
Et pregoti che tu voglia essere mecho a ttractare e ordinare questo
ch'io ti dicho […]».
L'uomo
chiese come poteva essere organizzata la rivolta; Taddeo non si
lasciò pregare ed illustrò il suo disegno che avrebbe impegnato
anche l'intervento di forze esterne per cacciare i Fiorentini.
Difficile capire se dietro al progetto non ci fosse la mano di alcuni
fuoriusciti, magari appoggiati dai Pisani, come
avvenne nei tentativi di Benedetto Mangiadori nel 1397.
San Miniato, veduta
panoramica
Foto di Francesco
Fiumalbi
Lo stesso Taddeo sembra
che si recasse spesso alla Dogana del Sale, che verosimilmente si
trovava presso La Catena, vicino all'antica Abbazia di Santa Gioconda o
Gonda, dove egli non si lasciava scappare l'occasione di avvicinare altre
persone. Tra esse un abitante del castello di Cigoli, località che
dal 1370 costituiva una comunità con maggiore autonomia da
San Miniato, dotata di propri statuti (ovviamente di ispirazione
guelfa) e appartenente al distretto fiorentino.
T.
«Come
vi pare stare voi da Ciuli?».
C.
«Io
per me stò male, ch'ò pagato e sommi rimedito al comune di Firençe
dugento fiorini».
T.
«Voi
volesti uscire di sotto Sa' Miniato: parvi stare meglio?».
C.
«E'
ci pare stare meglio che si può!».
T.
«Se
gli uomini de questa terra attendessono di volere la libertà loro,
voi fareste bene per vostro utile a volere ritornare a questo comune
chome voi eravate».
Sempre presso la dogana
del sale, Taddeo aveva attaccato bottone con un abitante di Bucciano,
al quale disse:
«Come
ti pare stare, che t'à fatto remedire il comune di Firençe
cinquanta fiorini? Meglio sarebe a trovare de' modi che noi non
avessimo a ppagare più. Se tu vorai, tu e gli altri, noi ci vederemo
ben modo, e debiamo essere più contenti di ricevere le graveçe da'
nostri vicini che d'altrui».
Taddeo avvicinò
moltissimi uomini nei luoghi più svariati: lungo le strade, davanti
alle chiese, alle porte cittadine, oltre che alla dogana del sale. I
dialoghi mantennero un copione abbastanza consolidato, con Taddeo che
fa notare l'oppressione del regime fiscale di Firenze, le migliori
condizioni del Comune di San Miniato al tempo della sua autonomia, la
necessità di liberarsi da posizioni di fazione e agire per il bene
dell'intera collettività. Un esempio è il dialogo intercorso fra
Taddeo e un altro abitante di San Miniato:
T.
«E'
pare che tu piangha. Che a' tu?».
A.
«O'
male, c'ò pagato al comune di Firençe cento fiorini d'oro, e anche
me ne chonviene paghare XXX d'usura».
T.
«Se
noi voremo essere huomini ed essere fratelli, noi averemo a ppagare
pocho tempo queste graveçe, e ssaremo signori di noi e ssaremo
liberi».
Per
sua sfortuna, ben presto Taddeo fu scoperto e processato. Purtroppo
non conosciamo l'esito della vicenda perché il Registro
delle Condanne
è andato perduto, anche se non è difficile immaginare quale sorte
sia toccata al cospiratore.
Impiccagione
Angelo
Ardinghi, disegno tratto dall'originale
del
Sercambi, conservato all'Archivio di Stato di Lucca
Edito
in Salvatore Bongi (a cura di), Le
Croniche di
Giovanni
Sercambi,
Vol. 1, Tip. Giusti, Lucca, 1892, p. 179.
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