a cura di Francesco Fiumalbi
Fino
alla scoperta dei resti dell'antichissima Pieve di San Genesio,
l'unico ritrovamento significativo di interesse archeologico nel
territorio sanminiatese, era rappresentato dalla cosiddetta
“Necropoli di Fontevivo”. Si tratta di un'area alle pendici della
collina sanminiatese, nei pressi della cisterna/fonte denominata “Fontevivo” (documentata per la prima volta negli Statuti del 1337), ai piedi del nucleo di abitazioni denominato “Case Altini”.
Il 4 maggio del 1934 furono rivenuti casualmente, durante alcune
lavorazioni agricole per impiantare un vigneto, diversi elementi
riconducibili a sepolture ed a corredi funerari. Il luogo si trovava
nei pressi del punto dove, circa cinquant'anni prima, era stata
portata alla luce una statua acefala d'epoca etrusco-ellenistica,
anch'essa riferibile ad un contesto cimiteriale (1). La statua e
buona parte dei reperti del 1934 sono attualmente in gran parte
conservati al Museo Archeologico Nazionale di Firenze e, in misura
minore, nella collezione che è esposta al piano terreno del Municipio di San Miniato.
I materiali recuperati dal terreno furono oggetto di spartizione,
come era in uso al tempo, fra il proprietario e il rinvenitore (le
ceramiche) e lo Stato italiano (i bronzi). Tuttavia i due
sanminiatesi non furono soddisfatti dagli elementi che vennero loro
riconosciuti, probabilmente perché erano più interessati a
“monetizzare” quanto in loro possesso. Ci pensò il Comune di San
Miniato che di lì a poco acquistò il materiale che oggi costituisce
la collezione esposta in Municipio (2).
L'aspetto
maggiormente interessante del ritrovamento non fu il corpus degli
elementi (tutti abbastanza comuni), bensì la posizione considerata
inconsueta. Infatti fino a non molto tempo fa l'“habitat” etrusco
era considerato il territorio collinare, e lo stesso contesto
geografico, il Medio Valdarno Inferiore, era ritenuto del tutto
estraneo alla colonizzazione etrusca. Di questi ritrovamenti a
Fontevivo prese ampio spunto il Canonico Francesco Maria Galli
Angelini, che al tempo era ispettore locale della Soprintendenza, per
la stesura del suo articolo Origine
romana della città di San Miniato,
nel Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, n. 20-21, 1938.
Nel testo il Galli Angelini compie una dissertazione in cui, con tono
solenne, celebra la presunta nascita della Città di San Miniato in
epoca antica. In realtà oggi disponiamo di un quadro ben più
complesso ed articolato, grazie al lavoro encomiabile di storici e
valenti archeologi, su tutti quello di Giulio Ciampoltrini,
nell'ultimo trentennio.
San
Miniato Basso, la zona denominata “Fontevivo”
Foto
di Francesco Fiumalbi
Di questi e di altri
“preconcetti” risulta molto influenzata la pur buona relazione
compilata da Alfredo De Agostino nel 1935 e avente per oggetto
proprio la “Necropoli di Fontevivo”.
E'
comunque interessante notare l'approccio “geografico” di De
Agostino che, per dirimere la questione circa l'insolita collocazione
del sito archeologico, fa riferimento anche al contesto stradale,
chiamando in causa anche la cosiddetta via
Francigena o
Romea
come prolungamento della Clodia
(tesi poi recuperata in seguito da Mauro Ristori nei suoi studi sulla
centuriazione romana tra Valdelsa e Valdarno (3). Tale informazione
si basa su di un'indicazione contenuta nella Tabula
Italiae antiquae
in
Regiones XI ab Augusto divisae et tum mensuras itinerarias tum ad
observationes astronomicas exactae Accurante Guillelmo Del'isle è
Regiâ Scientiarum Academiâ / Parisiis / Apud Auctorem in Ripa vulgò
dicta lee Quay de l'Horloge cum Privilegio Regis MDCCXV Aug. 26 /
Joan. Bap. Liébaux Sculpsit
pubblicata a Parigi nel 1715 a sua volta ispirata da documenti
scritti e cartografici tardoantichi tra cui la Tabula Peutingeriana.
In realtà, allo stato attuale delle ricerche, non ci sono prove
concrete di questa Clodia
che avrebbe messo in comunicazione Sena
Julia (Siena)
con Inportu
(Empoli). E' del tutto ragionevole che vi fosse un collegamento
stradale nel fondovalle della Valdelsa, poi strutturatosi nella
cosiddetta Francigena,
ma
non è possibile stabilire l'esatto tracciato del percorso antico, se
avesse un nome specifico e in quale epoca poteva essere stato
materialmente realizzato.
Di seguito sono proposti alcuni estratti della relazione redatta da Alfredo De Agostino: Scoperta di una necropoli etrusca in località «Fonte Vivo», in «Notizie degli scavi di antichità», Atti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1935, vol. XI, serie VI, fasc. 1-3, pp. 31-38.
«Nei primi del maggio dello scorso anno il colono Baldini Giuseppe, eseguendo dei lavori agricoli nella proprietà del sig. Giulio Poggetti in località Fonte Vivo presso San Miniato e precisamente a circa duecento metri dalla strada nazionale Firenze-Pisa, veniva a scoprire casualmente una discreta quantità di vasi di argilla d'impasto e pochi utensili bronzei. L'ispettore locale dott. F. M. Galli si affrettava a comunicare la scoperta al R. Soprintendente dell'Etruria, che inviava me sul posto per una ricognizione.
Di seguito sono proposti alcuni estratti della relazione redatta da Alfredo De Agostino: Scoperta di una necropoli etrusca in località «Fonte Vivo», in «Notizie degli scavi di antichità», Atti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1935, vol. XI, serie VI, fasc. 1-3, pp. 31-38.
«Nei primi del maggio dello scorso anno il colono Baldini Giuseppe, eseguendo dei lavori agricoli nella proprietà del sig. Giulio Poggetti in località Fonte Vivo presso San Miniato e precisamente a circa duecento metri dalla strada nazionale Firenze-Pisa, veniva a scoprire casualmente una discreta quantità di vasi di argilla d'impasto e pochi utensili bronzei. L'ispettore locale dott. F. M. Galli si affrettava a comunicare la scoperta al R. Soprintendente dell'Etruria, che inviava me sul posto per una ricognizione.
Trovasi
la località dello scavo in perfetta pianura, e la zona ove avvenne
il ritrovamento occupa l'estensione di m. 8 x 6 di un fertile
terreno. In questo breve spazio si rinvennero, alla profondità
minima di m. 0,80 e massima di m. 2, una trentina circa di olle
d'impasto di forma ovoidale e con labbro svasato, tutte in frammenti,
contenenti il rogo delle ossa semi combuste e coperte dalla relativa
ciotola-coperchio, anch'essa d'impasto e molto piatta. Soltanto due
delle dette urne contenevano oltre i resti della cremazione, una
fibula bronzea a foglia lanceolata ed una moneta, in condizioni così
deteriorate da non potersi riconoscere. Data la casualità della
scoperta, resta ignoto il rito di seppellimento usato, e la scoperta
ha importanza soltanto dal punto di vista topografico in quanto
questa zona è assolutamente povera di avanzi antichi, e il
rinvenimento della necropoli porta a far credere, che in quei pressi
doveva esistere un centro abitato.
E' noto difatti che le abitazioni della Valdelsa si trovano generalmente nella parte alta della valle e non nel fondo di questa, che doveva essere paludosa e malsana».
Studi più recenti sembrano aver dimostrato l'inconsistenza dell'ipotesi della vasta pianura paludosa: ne sono testimonianza i toponimi, resti di centuriazione arcaica, piccoli ritrovamenti di materiale ellenistico, etc.
E' noto difatti che le abitazioni della Valdelsa si trovano generalmente nella parte alta della valle e non nel fondo di questa, che doveva essere paludosa e malsana».
Studi più recenti sembrano aver dimostrato l'inconsistenza dell'ipotesi della vasta pianura paludosa: ne sono testimonianza i toponimi, resti di centuriazione arcaica, piccoli ritrovamenti di materiale ellenistico, etc.
[…]
«Per poter determinare il centro abitato più vicino alla necropoli è d'uopo sfruttare gli antichi itinerari e conoscere il percorso delle strade principali, sia pure costruite dai Romani, ma che i Romani facevano passare pur sempre da centri già importanti.
Le strade secondarie, non indicate negli antichi itinerari, si possono ricostruire tenendo conto delle sedi delle antiche pievi, che venivano sempre poste sul percorso della strada romana, affinché maggiormente venisse favorito il loro sviluppo.
Utilissime ci sono pure le strade medievali, che spesso sono la continuazione di quelle di costruzione romana. Tale è la strada Romea o Francesca per la quale nel 990-994 c.v. viaggiava Sigerico, arcivescovo di Canterbury. Dal suo itinerario risulta che la via Romea non è altro che l'antica strada Clodia costruita dai Romani nel 43 a. Cr., della quale solo così se ne possono conoscere il percorso e le stazioni. Per il tratto che c'interessa, vediamo, che essa attraversa il piano di Gambassi quasi in linea retta, passa presso San Miniato e tagli l'Arno presso Fucecchio. Nel punto d'incrocio tra la via Clodia e la via romana che univa Firenze a Pisa – che non è improbabile sia stato pure il punto di confluenza dell'Elsa con l'Arno, benché ciò sia oggi difficile stabilire dati i continui spostamenti cui è stato soggetto l'alveo dell'Arno – sorgeva un «pagus» romano denominato «Inportu».
Queste le più antiche notizie che abbiamo su quel territorio. Non possiamo perciò dire se la latina Inportu abbia occupato il posto di un'etrusca città preesistente, né individuare il punto dove doveva sorgere il villaggio etrusco, cui appartenne la necropoli. Solo qualche altro importante rinvenimento potrà definire la questione».
Tale questione, così definita da De Agostino, è a tutt'oggi oggetto di dibattito dal momento che ancora non è stato possibile localizzare l'abitato nei pressi di Fontevivo (4).
[...]
«Tutto questo corredo funebre non ci offre alcun dato cronologico sicuro: i tipi ceramici sono quelli che comunemente si ritrovano nelle rombe etrusche del III-II sec. a. Cr. e la suppellettile bronzea ha sorprendente analogia con quella scoperta dal Brizio nel sepolcreto dei Galli Senoni a Montefortino presso Arcevia».
[...]
«Per poter determinare il centro abitato più vicino alla necropoli è d'uopo sfruttare gli antichi itinerari e conoscere il percorso delle strade principali, sia pure costruite dai Romani, ma che i Romani facevano passare pur sempre da centri già importanti.
Le strade secondarie, non indicate negli antichi itinerari, si possono ricostruire tenendo conto delle sedi delle antiche pievi, che venivano sempre poste sul percorso della strada romana, affinché maggiormente venisse favorito il loro sviluppo.
Utilissime ci sono pure le strade medievali, che spesso sono la continuazione di quelle di costruzione romana. Tale è la strada Romea o Francesca per la quale nel 990-994 c.v. viaggiava Sigerico, arcivescovo di Canterbury. Dal suo itinerario risulta che la via Romea non è altro che l'antica strada Clodia costruita dai Romani nel 43 a. Cr., della quale solo così se ne possono conoscere il percorso e le stazioni. Per il tratto che c'interessa, vediamo, che essa attraversa il piano di Gambassi quasi in linea retta, passa presso San Miniato e tagli l'Arno presso Fucecchio. Nel punto d'incrocio tra la via Clodia e la via romana che univa Firenze a Pisa – che non è improbabile sia stato pure il punto di confluenza dell'Elsa con l'Arno, benché ciò sia oggi difficile stabilire dati i continui spostamenti cui è stato soggetto l'alveo dell'Arno – sorgeva un «pagus» romano denominato «Inportu».
Queste le più antiche notizie che abbiamo su quel territorio. Non possiamo perciò dire se la latina Inportu abbia occupato il posto di un'etrusca città preesistente, né individuare il punto dove doveva sorgere il villaggio etrusco, cui appartenne la necropoli. Solo qualche altro importante rinvenimento potrà definire la questione».
Tale questione, così definita da De Agostino, è a tutt'oggi oggetto di dibattito dal momento che ancora non è stato possibile localizzare l'abitato nei pressi di Fontevivo (4).
[...]
«Tutto questo corredo funebre non ci offre alcun dato cronologico sicuro: i tipi ceramici sono quelli che comunemente si ritrovano nelle rombe etrusche del III-II sec. a. Cr. e la suppellettile bronzea ha sorprendente analogia con quella scoperta dal Brizio nel sepolcreto dei Galli Senoni a Montefortino presso Arcevia».
[...]
A.
De Agostino
NOTE
E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
(1)
A.
Maggiani, Artigianato
artistico in Etruria. L'Etruria settentrionale interna in età
ellenistica,
Regione Toscana, Electa, Milano, 1985, pp. 133-134.
(2)
G. Ciampoltrini, Il
museo archeologico di San Miniato. L'antica collezione comunale,
Sistema Museale di San Miniato, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera,
2008, pp. 10-12.
(3)
M. Ristori, La
viabilità della Francigena a San Miniato. I guadi del fiume Arno,
in L'Universo,
anno LXXXIX, n. 2, Istituto Geografico Militare, 2009, pp. 230-246.
(4)
G.
Ciampoltrini, Un
crocevia degli itinerari dell'Etruria Settentrionale: l'area di San
genesio nel sistema degli insediamenti del Valdarno Inferiore fra VI
e II secolo a.C.,
in F. Cantini e F. Salvestrini (a cura di), Vico
Wallari – San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su
una comunità del medio Valdarno Inferiore fra Alto e Pieno Medioevo,
Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato,
Firenze University Press, Firenze, 2010, p. 17.
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