Nel numero n. 20-21, anno 1938, del Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato,
è pubblicato l’articolo di Francesco Ravaioli dal titolo Guerra
poetica sulla Città di San Miniato. Nel
brano sono riportati
il celebre sonetto di Averardo Genovesi e le risposte che ne
seguirono. Attraverso questo post ripercorreremo le vicende che
portarono ad una vera e propria battaglia a suon di rima e di cui
ancora oggi se ne avverte il riverbero.
Sommario
del post:
Averardo
Genovesi nacque a Santa Croce sull’Arno nella seconda metà del '700, e fu segretario
della Giunta Toscana durante la prima Restaurazione fra il 1799 e il
1801. Nel 1821 ricevette l’incarico di professore di Umanità, e
poi in seguito anche di Retorica e Lingua greca, nel Ginnasio di San
Miniato (lo stesso in cui insegnerà Giosuè Carducci) (1)
e fu insegnante di Augusto Conti. Fece
parte dell’Accademia degli Euteleti (2) ed è rammentato anche dal
Repetti come “erudito poeta” (3). Morì il 15 gennaio del 1843 e fu sepolto a Corniola presso la villa di suo nipote Vincenzo Salvagnoli (la
sorella Silvia era la madre del Salvagnoli) (4). Fu autore di vari
componimenti redatti in varie occasioni e di un opuscolo intitolato
“Della utilità di un
giornale d'arti e mestieri”
stampato presso Antonio Canesi, a San Miniato nel 1839.
Per
ricostruire la vicenda che dette avviò alla Guerra
poetica, Francesco
Ravaioli si avvalse della memoria del Cavaliere
Prof. Luigi Ciardi, primo titolare della Cattedra dantesca a Ravenna,
compaesano e discepolo del Genevosi nel Liceo sanminiatese.
(…) Il sonetto fu
scritto su rime obbligate e per scherzo ad una cena tenutasi nel
palazzo del Nobile Cavaliere Pazzi in San Miniato (l’attuale
Palazzo Piccolo in via IV Novembre, n.d.r.)
nel Carnevale del 1841, e che il sonetto tra la unanime ilarità fu
accolto ed applaudito, senza che destasse alcun risentimento da parte
dei presenti, uomini di spirito superiori alla mentalità gretta del
borghese campalinismo. Il Genovesi che non aveva alcuna intenzione di
pubblicarlo, se lo infilò nella tasca del pastrano e lì rimase fino
a quando lo stesso Genovesi non dette a riparare il soprabito ad una
sarto che casualmente trovò il sonetto. Il sarto copiò il sonetto,
ne fece varie copie e lo divulgò all’insaputa dell’autore. Il
risentimento dei sanminiatesi fu “corale” e si manifestò in una
serie di sonetti come appresso vedremo.
Fu
da una tedesca mammalucca
Dichiarata
città questa bicocca.
Che
ha per insegna una sfasciata rocca
Per
protettore un santo senza zucca*.
Il
magistrato in ricci ed in parrucca;
Cittadina
boriosa e sciocca.
Lustrissimi
spiantati per la bocca;
Popol
che nulla fa e tutto pilucca**.
Se
piove o tira vento t’alza i panni,
Ti
fa batter coi denti la diana;
Ci
canta a mezzogiorno il barbagianni***.
Fu
presa dalle capre in guisa strana
Dal
valoroso capitan Giovanni
La
notte, se non sbaglio, di befana
****.
*
La tedesca mammalucca
è Maria Maddalena d’Austria, Granduchessa Reggente di Toscana che nel 1622 fece innalzare San Miniato al rango di Città affinché vi fosse istituita una nuova diocesi, da staccarsi da quella di Lucca.
A quel tempo San Miniato era un piccolo centro di provincia, di
nessun interesse economico o militare e da almeno un paio di secoli
versava in condizioni decadenti, tanto da essere definita una
“bicocca”,
termine dispregiativo per indicare un luogo fortemente disagiato e/o
disabitato (5). Sulla “sfasciata
Rocca”,
il riferimento è alle condizioni manutentive del principale
monumento sanminiatese, lasciato in stato di abbandono da almeno tre
secoli, e colpito numerose volte dai fulmini. Di
incerta interpretazione il “santo
senza zucca” protettore
della città, in quanto i patroni San Miniato e San Genesio furono
entrambi martirizzati per decapitazione.
**
Questa è la quartina che fece più male ai sanminiatesi, colpiti
nell'orgoglio. Accusati di essere attenti alla forma, di badare poco
alla sostanza e di parlare troppo. Altezzosi, con spocchia, sempre a
vantarsi degli antichi fasti di un tempo che fu, salvo poi
piagnucolare per le contingenti condizioni economiche, di cui si
dichiarano vittime. Invece di rimboccarsi le maniche, come da
buonsenso, i sanminiatesi sono additati di non far niente per
migliorare la propria situazione e, anzi, di stare immobili ad
aspettare aiuti, come in attesa della caduta della manna dal cielo
oppure di approfittarsi dell'ingenuo di turno. In altre parole
“piluccano”.
***
In questa terzina, Genovesi coglie alcuni aspetti “climatici”
della Città di San Miniato. La dipinge come un luogo ventoso e
freddo, tanto che gli animali notturni come il Barbagianni,
cantano a mezzogiorno. Battere
la Diana
è un espressione del gergo militare: i soldati venivano svegliati
col rullo di tamburi poco prima dell'aurora, quando la luce appariva
riflessa sul pianeta Venere, detto “Stella Diana” (6). Anche in
questo caso, si tratta di un'allusione alle rigide temperature della
notte e del primo mattino, tali da far battere i denti dei poveri
sanminiatesi.
****
L'ultima terzina è una citazione del poema eroicomico di Ippolito
Neri “La Presa di
Samminiato”
in cui si narra la fantasiosa ricostruzione dell'assedio
sanminiatese, risolto con l'espediente dei lumini attaccati al collo
delle capre, di cui, stando al poema, fu autore il capitano Giovanni
Cantini da Monterappoli. In effetti San Miniato fu presa dalle truppe
fiorentine il 9 gennaio 1370, quindi in prossimità del giorno di
Befana, anche se riguardo al Cantini sappiamo che fu protagonista
durante il tentativo di rivolta di Benedetto Mangiadori del 1397.
Anche in questo caso, si manifesta in tutta la sua evidenza lo
sberleffo verso il carattere ingenuo e credulone di cui sono accusati
sanminiatesi.
La "sfasciata rocca" alla fine '800
Le
risposte al sonetto di Averardo Genovesi furono almeno sei, redatte
nell'arco di quasi un secolo:
RISPOSTA
DI ENRICO BUONFANTI
RISPOSTA
DI ANONIMO – 1
RISPOSTA
DI ANONIMO – 2
RISPOSTA
DI RAFFAELLO GIANNONI – 1876
RISPOSTA
DI PADRE SILVIO DA PISA – 1912
RISPOSTA
DI ERCOLE PAROLFI
NOTE
BIBLIOGRAFICHE
(1)
Boldrini Roberto (a cura di), Dizionario
Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX),
Pacini Editore, Pisa, 2001, p. 130.
(2)
Lotti Dilvo (a cura di), San
Miniato nel Tempo,
Arti Grafiche Pacini, Pisa, 1981, p. 253.
(3)
Repetti Emanuele, Dizionario
Geografico Fisico Storico della Toscana,
Tofani, Firenze, 1833, Tomo V, v. Santa Croce s/A, p. 111.
(4)
Ravaioli Francesco, Guerra
poetica sulla Città di San Miniato,
Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 20-21, San Miniato,
1938.
(5)
Pianigiani Ottorino, Vocabolario
Etimologico della Lingua Italiana,
Roma, 1907, v. Bicocca, si veda anche
http://www.etimo.it/?term=bicocca
Destino ha sempre voluto che gente di fuori abbiano detto male dei sanminiatesi, cosa che essi non fanno, generalmente, cercando di vivere e lasciar vivere. Il sonetto del Genovesi tuttro sommato è anche simpatico, certamente scherzoso per le circostanze in cui fu scritto e come venne divulgato. La "Guerra poetica" che scatenò, in fin dei conti, è uno spaccato originale della società indigena di quegli anni. Del resto se non finì proprio a taralucci e vini, finì con lo scambio di doni per Befana, come saggiamente suggerì Ercole Parolfi. Di ben altro tenore e valenza fu invece lo studio del Dott.Francesco Alfonso Talinucci di Barga, scritto nell'anno 1769,"" per servire d' istruzione e comodo al ministero del cancelliere comunitativo di Samminiato"".Mica scrisse delle "stornellate" a fine cena, magari un po' su di giri! Scrisse che i sanminiatesi sono ""..ignoranti, poco ingegnosi,molto inerti e poco sobri nel bere e nel mangiare.....l'ozio e l'ignoranza in cui vivino produce la maldicenza...e l'invidia è un seme che molto produce in questa città" Non aggiungo altro perchè è bastante per dire al Genovesi, al Talinucci e ai loro "discendenti" vivi e vegeti: ma fatevi i cazzi vostri!
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