martedì 4 giugno 2013

DALLA ROCCA SI VEDE IL MONDO

a cura di Francesco Fiumalbi

Dalla Rocca si vede il Mondo”. E' questa una delle frasi ricorrenti quando un sanminiatese, con occhi illuminati, invita qualcuno a salire sul punto più alto della propria Città. Ed è, probabilmente, anche uno degli aspetti che suggerirono agli imperatori germanici di eleggere San Miniato quale propria sede. Tutti i popoli toscani vedevano (e vedono) San Miniato e il suo castello imperiale, e da San Miniato i regnanti, o i loro vicari, potevano gettare gli occhi sulla Toscana e controllare, almeno visivamente, le altre città.

La “Rocca” di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

L'alta torre è uno dei principali motivi di orgoglio nei sanminiatesi, oggi, così come nei tempi passati. Ce ne fornisce prova Augusto Conti, celebre filosofo nonché Patriota d'Italia, nel suo Evidenza, Amore e Fede e Criterj della Filosofia – Discorsi e Dialoghi, Ranieri Guasti, Prato, 3° Edizione 1872 (1° Edizione, Firenze, 1862).

«Già i Samminiatesi son tutti a quel modo, né stanno bene che all'ombra della rocca; e si tengono tanto della lor terra, che presso i vicini destano gelosia».
[A. Conti, Evidenza... cit., p. 546]

Senza entrare troppo nei dettagli, con questo suo lavoro egli propone una serie riflessioni di filosofia su tutti i campi del sapere, dalla religione alla scienza, fino alla politica e all'arte, sotto forma di dissertazioni o di dialoghi. A conclusione dell'opera, divisa in due volumi, lascia spazio ad una “Lieta Brigata composta da un Romano, un Napoletano, un Siciliano, un Piemontese, un Lombardo e un Toscano. A primo acchito potrebbe sembrare una barzelletta, ma non lo è affatto. Guarda caso il Toscano è un Sanminiatese ed è un po' il capoccio della compagnia, che egli conduce a fare un “Viaggetto” di cinque giorni passando per le Pizzorne, Empoli, Vinci, Castelfiorentino, Certaldo, Gambassi, San Vivaldo giungendo, infine, a Cigoli e a San Miniato, che è la tappa conclusiva. E, al termine dei cinque giorni, proprio lassù, sulla cima della Rocca, i sei protagonisti si soffermano ad ammirare il panorama. Il discorso cade su un tema assai caro ad Augusto Conti: l'Unità d'Italia, non solo politico-amministrativa, ma anche culturale, e il difficile rapporto fra Stato e Chiesa. «Deh! Pensiamo e amiamo fortemente, operosamente; camminiamo col buon senso del popolo e con la sapienza degli avi; abbiamo cara la fede; e l'Italia è fatta. Ed è fatta pure la scienza e l'arte, non possibili senz'evidenza del vero, senz'amore del bene, e senza fede.»
Per risolvere quello che all'epoca era davvero una problema nazionale (il Conti scrive nel 1862, ma la Legge delle Guarentigie è del 1871!), Augusto Conti, intrinsecamente, suggerisce di guardare la questione dall'alto, per dominare il mondo che ci circonda, per meglio poter apprezzare la ricchezza e l'intensità culturale, religiosa e scientifica dell'Italia. Aveva bisogno, quindi, di una ambientazione in posizione d'altura. Ed egli scelse un punto preciso, la Rocca di San Miniato, situata al centro della Toscana, quella terra, culla del Rinascimento, considerata dal Conti un po' come il cuore d'Italia. Quindi al centro della Penisola e del mondo caro alla brigata.

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Ecco le parole di Augusto Conti:

«Già il sole s'avvicinava al tramonto, e, nunzio della sera, si levò un venticello, per cui sussurravano leggermente le foglie odorate degli allori. In tutta l'ampiezza del cielo non vedevasi che dolce serenità; però il Samminiatese invitò i giovani a seguirlo, ché gli avrebbe condotti sul vertice del monticello, ove s'inalza la rôcca. La lieta brigata sorse in piede, rientrò in Samminiato, e per un viottolino scosceso salì su quella cima, che serba dell'antico una torre sfasciata e pochi rudere, ma di lassù che veduta! A ponente il mare, a levante il Casentino e i monti senesi, a tramontana gli appennini di Pistoia, a mezzogiorno i poggi di Volterra e della maremma toscana! Chi sta su quella punta, gli pare come il centro d'un circolo, la cui periferia non chiude la vista, ma n'è termine naturale che la riposa. Da una parte fan semicerchio i selvosi appennini che dall'Alpi apuane su pe' monti di San Marcello, di Firenze, del Casentino e di Siena, girano a' colli maremmani; e si distende nel mezzo la Valdinievole, seminata di castelli, e il Valdarno, e il pian di Lucca e di Pisa, e la lontano il mare che brilla al sole cadente. Dall'altra parte è un ondeggiare di colli, com'onde marine, fin a Volterra ed a Montenero, sicché lì diresti una pianura solcata in valli dal diluvio, fuggendo l'acque all'oceano. Ed ogni cima di colle ha la sua chiesetta, ed ogni pendice le sue case rusticali o ville signorili, ed ogni valle il suo fiumicello; e tutte le convalli si girano verso la valle dell'Arno che specchia in sé fitti, e, quasi direi gremiti, castelli e villaggi senza numero. Oh che be' luoghi! Oh luoghi divini!»

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

«Mirate, diceva il Samminiatese, siam quasi nel mezzo d'Italia. Sotto quel monte aguzzo che si chiama la Verruca, giace Pisa, terra natale di Galileo, antica signora del mare; lungo i monti più là è Genova, patria del Colombo; varcate que' monti si va nel Monferrato, e poi a Torino, la piccola nostra Macedonia, fatta grande dalla pietà e dal costume guerriero dei suoi re e del suo popolo. Quelle son le montagne del Pistoiese ove la lingua è sì pura ed armoniosa; e là è San Marcello e Gavinana ove Francesco Ferruccio prodigò l'anima grande alla patria. Indi si valica in Lombardia bella, che ha scontate a sì caro prezzo le discordie di sue cento città, un dì sì potenti e fiorite; e là vive il Manzoni e là nacquero Virgilio e l'Ariosto. Su quel nodo di monti sorge Fiesole, città etrusca, ond'ebbe Roma tanta parte di civiltà; e più sotto è Firenze, che vide le spalle d'Arrigo imperatore e di Carlo re, patria dell'Alighieri, Atene d'Italia. Su' gioghi più lontani 'l poverello d'Assisi rinnovò l'immagine di Cristo e s'offerse a Dio per questa patria sua piena di peccato e di discordia. Di là si scorge l'Adriatico sposo infedele alla cara Venezia, che fiaccò la superbia ottomana e fu novella Roma; e giù per que' monti da un lato discende l'Arno, presso ad Arezzo, cuna di mecenate del Petrarca, del Cesalpino e del Redi; e dall'altro si muove il Tevere per la città di Quirino e di San Pietro, per la sublime Roma di cui negli antichi e ne' nuovi tempi, dopo quello di Dio, non sonò mai nome più grande sotto la volta de' cieli. Volgetevi in qua; vedete nel sereno dell'orizzonte le torri dell'etrusca Volterra, e, movendo l'occhio per la cerchia de' colli, mirate, noi andiamo a terminare in quella punta ch'è Montenero; e là sorge Livorno. Da quel porto movendo le navi, e costeggiando le piaggie di Roselle e di Populonia, rasentano poi Fiumicino. Il navigante salutata di lontano la cupola di San Pietro, dopo non molto vede le colline di Posilippo e di Mergellina, e il biforcuto Vesuvio e ricorda gli antichi popoli de' quali non ebbe Roma più valorosi soldati e le glorie della Magna Grecia, e la battaglia di Velletri, e la divina musa del Tasso, e l'Aristotile santo d'Aquino. Fuggono poi d'innanzi agli occhi 'l capo Miseno, baia, Cuma e Sorrento, e sorgonsi i monti di Sicilia, sprone d'Italia, margherita del mare, tesoro di stupende rovine, patria d'Empedocle e d'Archimede, la quale aspetta glorie novelle quando noi, fatti migliori, placheremo lo sdegno di Dio.»

Augusto Conti, Evidenza, Amore e Fede e Criterj della Filosofia – Discorsi e Dialoghi, Ranieri Guasti, Prato, 1872, Volume II, pp. 582-584.

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

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