di Giorgio Giolli
"Via crucis di guerra" [1984]
Stazione sesta - Invasione fra gli sfollati
Stazione sesta - Invasione fra gli sfollati
tecnica mista su carta pacchi.
"Via crucis di guerra" [1984]
Stazione ottava (?) - L'amore in Gargozzi
Stazione ottava (?) - L'amore in Gargozzi
tecnica mista su carta pacchi.
SAN
MINIATO, 22
LUGLIO '44
"Via
crucis di guerra" [1984]
Stazione nona - Prima dell'eccidio
Stazione nona - Prima dell'eccidio
tecnica
mista su carta pacchi.
(…)
Nella stessa riproposizione del dolore,(..) Giolli, un quindicennio
avanti aveva dato vita a una “Via Crucis di guerra” per il
quarantennio dell’eccidio. Quei fogli, a ben guardarli, mantengono
ancora oggi una loro drammatica e presaga freschezza, quasi l’artista
volesse insistere nel sottolineare l’attualità di un evento feroce
che non cessa mai – purtroppo – di porsi come contemporaneo.
E’ il diario di un delitto nato nel sangue e concluso nella ricerca dei morti e delle cose perdute, realizzato con una tecnica mista che ben si adattava nella promiscuità delle materie al caos delle vicende. Un calvario che da corale si presta a caratterizzazioni individuali: la via crucis di una popolazione, di un paese, del mondo intero.
E’ il diario di un delitto nato nel sangue e concluso nella ricerca dei morti e delle cose perdute, realizzato con una tecnica mista che ben si adattava nella promiscuità delle materie al caos delle vicende. Un calvario che da corale si presta a caratterizzazioni individuali: la via crucis di una popolazione, di un paese, del mondo intero.
Il
paese di San Miniato si erge a simbolo di una storia di popolo, –
di qualunque popolo – votato alla superficie del nemico. La
storia inizia con una “colpa”, cioè con la sofferenza di un
“oppressore ucciso”, già autore di chissà quante stragi, che
nel bluastro della notte è disteso, enorme e livido, a disposizione
per una specie di rendiconto morale di chi lo guarda, con se stesso e
con la storia, e anche con le ombre circostanti colme di risentimento
e di vergogna, in un alone di espressionistica perdizione.
Poi
“l’invasione del tedesco nella comunità”: un angolo acuto
nello spazio tra la tavola dei frati e i mobili rovesciati: il
bagliore delle armi si placa in un leggio abbandonato quale momento
di ravvedutezza perduta con i cibi offerti ad una ipotetica
quiete del cuore.
Poi
“l’invasione nella famiglia” raccolta intorno al desco, col
tedesco sulla porta come ombra dell’imminente terrore: un bambino
ci guarda per chiamarci a testimoni del male.
La quarta
“stazione” di questa passione di morte segna il trasferimento dal
convento dei frati alla Cattedrale: si delinea l’eccidio tra le
carrette inutili e il passo lento della gente.
[testo di Dino Carlesi]
Nessun commento:
Posta un commento