D.O.M.
SANCTO
GUIDO DONORATICI OLIM COMITI
AD
OBSEQIUM ERGA GENTILEM SUUM DECLARANDUM
POPULARIUM
PIETATEM EXCITANDAM
OPEM
SIBI IPSIS ET POSTERIS SUIS IMPLORANDAM
SIMON
MARIA GHERARDESCA
BULGARI
E DONORATICI COMES
SUIS
IMPENSIS EXTRUCTUM DEDICAVIT
AS
MDCCIII
E'
questo il testo dell'epigrafe che possiamo leggere sostando
esattamente davanti al piccolo oratorio dedicato a San
Guido,
“santo di famiglia” dei Conti della Gherardesca (Pisa,
1060-1140†).
La piccola chiesa ottagonale, costruita nel 1703 per volontà di
Simone Maria della Gherardesca (1639-1704,
figlio di Ugo e di Lucrezia Capponi)
è situata esattamente al termine del “viale dei cipressi” di
Bolgheri. Entrambi furono resi celebri dall'ode composta da Giosuè
Carducci,
con un titolo inequivocabile: Davanti
a San Guido,
pubblicata nella raccolta Rime
Nuove,
data alle stampe nel 1887, e che si apre con questa quartina:
“I
cipressi che a Bólgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardâr.”
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardâr.”
Foto
di Francesco Fiumalbi
I
della
Gherardesca
rappresentano una delle più antiche casate nobiliari italiane, la
cui origine risale addirittura al ceto dirigente longobardo; deve il
nome al patronimico Gherardo, vissuto nel X secolo. Fin dagli inizi,
i della Gherardesca si distinsero per le grandi proprietà e
l'esercizio del potere comitale nell'area, con grande influenza sugli
equilibri dell'intera regione. Nel basso medioevo, la famiglia
risulta distinta in due rami: i Conti di Settimo e di Bolgheri
(discendenti da Gherardo III), e i Conti di Castagneto e di
Donoratico (discendenti di Ugo
I, il famoso Conte Ugolino di dantesca memoria).
Infatti, Simone Maria della Gherardesca nell'epigrafe si firma
proprio come Conte di Bolgheri e di Donoratico, richiamando il grande
legame che la famiglia ha mantenuto nei secoli con quel territorio.
Lo stesso territorio che, a partire dal XVII secolo, viene
interessato da una vasta operazione di bonifica e di impulso
all'agricoltura, proprio grazie all'intervento promosso dai membri
del nobile casato.
Foto
di Francesco Fiumalbi
Per
questo motivo è stato ipotizzato che l'oratorio sia stato costruito
a servizio dei lavoratori e dei braccianti che, in quegli anni, si
occupavano delle opere di bonifica. In realtà non è così! La
chiesa può contenere pochissime persone, una ventina al massimo,
un'inezia rispetto alle centinaia di persone coinvolte nell'area. La
vicinanza rispetto a dove sarebbe dovuta sorgere la nuova strada
Aurelia (poi effettivamente realizzata alla fine del '700), la forma
ottagonale della pianta, e l'intitolazione a San Guido suggeriscono
un contesto ben diverso.
Bolgheri,
Oratorio di San Guido
Foto
di Francesco Fiumalbi
Il
piccolo oratorio non è altro che un segnacolo, costruito nella
stessa posizione e con forme similari, rispetto ai grandi mausolei
romani che si possono vedere ancora oggi lungo le antiche vie
consolari (Mausoleo
di Cecilia Metella,
Mausoleo
di Santa Costanza,
il Casal
Rotondo
e moltissimi altri). Inoltre, la scelta di dedicare la chiesa a San
Guido, e non ad un altra figura religiosa, indica,
inequivocabilmente, la volontà di celebrare il proprio casato. La
bonifica, i territori strappati dalle acque, l'agricoltura, lo
sviluppo, il tutto “benedetto” dal santo di famiglia, da colui
che più di altri nella casata si è avvicinato a Dio. E tutto questo
alla vista di tutti, lungo la nuova strada in progetto, verso Roma,
quasi a dire: “qui c'è nostro”.
Foto
di Francesco Fiumalbi
Da
un punto di vista architettonico, l'oratorio è caratterizzato da una
pianta ottagonale e dal paramento in pietra arenaria di colore
grigio. Le finiture delle cornici dell'oculo, delle finestre laterali
e del portale, sono in travertino bianco. La copertura, a padiglione,
è terminata da una lanterna slanciata. L'interno
accoglie un pregevole altare barocco,
in marmo e stucchi, attribuito a Romolo della Bella, che negli stessi
anni risulta molto attivo nella zona.
Foto
di Francesco Fiumalbi
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