di
Francesco Fiumalbi
ARCHIVIO
DOCUMENTARIO DIGITALE DI SAN MINIATO [ADDSM]
1195,
24 aprile – Bolla di Papa Celestino III a Gregorio proposto della
Pieve di San Genesio
Foto
di Francesco Fiumalbi
In
questa pagina è proposto il commento alla
Bolla inviata dal Papa Celestino III alla Pieve di San Genesio l'anno
1195.
Si tratta di un atto molto interessante per le molteplici
informazioni che possiamo dedurre sulla pieve di San Genesio e le sue
chiese suffraganee.
Rappresenta
una sorta di quadro della situazione istituzionale ecclesiastica su
buona parte del territorio dell'odierno Comune di San Miniato, e in
parte anche di quello di Empoli.
CONTENUTO
IN SINTESI La
Bolla, datata 24 aprile 1195, fu inviata dal Palazzo Apostolico del
Laterano da Papa Celestino III (1191 – 1198)
a Gregorio, Proposto della pieve di San Genesio. Con questo documento
il Pontefice, richiamando analoghi provvedimenti inviati da alcuni
suoi predecessori, confermò la protezione della Santa Sede sulla
Pieve di San Genesio, alla quale convalidò nuovamente l'ordinamento
canonicale, concesse numerosi privilegi e riconobbe la giurisdizione
territoriale attraverso l'elenco delle suffraganee.
I
DOCUMENTI PRECEDENTI Nel
testo vengono menzionati numerosi provvedimenti indirizzati alla
pieve di San Genesio da parte dei predecessori di Celestino III,
ovvero i Pontefici Alessandro II, già Vescovo di Lucca (1061-1073),
Pasquale II (1099-1118),
Eugenio III (1145-1153) documentato effettivamente a San Genesio il 7 febbraio 1147, Anastasio IV (1153-1154),
Alessandro III (1159-1181),
Lucio III (1181-1185),
Clemente III (1187-1191).
Dunque quella di Celestino III sembrerebbe essere l'ottava bolla
ricevuta dalla Pieve. Purtroppo gli altri documenti sono andati
irrimediabilmente perduti, anche se si può ragionevolmente
ipotizzare che non dovessero essere, almeno nel tono, troppo
dissimili da questo atto del 1195. Infatti era un uso molto diffuso,
una volta che veniva eletto un nuovo Papa o incoronato un nuovo
Imperatore, quello di rinnovare i privilegi accordati dai
predecessori. Si trattava nella maggior parte dei casi di conferme,
anche se talvolta i diritti o i benefici già goduti potevano essere
anche ampliati. E così accadrà anche nelle bolle successive, fino
al 1622, quando la Collegiata di San Miniato divenne Cattedrale. In
questo senso, merita di ricordare le Bolle di Innocenzo III (1205) e
di Pio II. Su questo punto, prendendo atto della consistente e
singolare serie di benefici elargiti dalla Santa Sede, Graziano
Concioni ha ipotizzato che la Pieve di San Genesio costituisse una
realtà
il cui governo era sfuggito al controllo del vescovo.
Concioni spiega questa affermazione proponendo di vedere questo
processo di avvicinamento della pieve alla diretta influenza dei
pontefici, come una significativa conseguenza del mutato ruolo del
vicino castello di San Miniato, che nel frattempo era divenuto la
sede di un avamposto dell'Amministrazione Imperiale per la Toscana
(1).
L'ISTITUZIONE
DELLA CANONICA A
partire dalla metà dell'XI secolo, per impulso di vari pontefici, la
Chiesa iniziò una profonda e complessa stagione di cambiamento.
Prende il nome di Riforma Gregoriana,
anche se sarebbe più corretto indicarla genericamente come “Riforma
dell'XI secolo”. L'avvio di questo periodo viene fatto coincidere
con l'inizio della cosiddetta
Lotta per le Investiture,
ma non dobbiamo dimenticare che subito a ruota si verificò anche lo
Scisma d'Oriente.
I temi sul tavolo erano molti e non staremo qui a discuterne. Durante
questo periodo un ruolo molto importante fu quello di Papa Alessandro II (1061-1073),
ovvero Anselmo da Baggio già Vescovo di Lucca dal 1057, carica che
mantenne anche da Pontefice. Egli si occupò, fra le varie cose, di
due importanti questioni: il celibato del clero e la simonia, ovvero
il mercato e la contrattazione delle cariche ecclesiastiche, pratica
che all'epoca era assai diffusa.
Come
rilevato da Martino Giusti, a Lucca erano ben diffuse le idee
rinnovatrici dell'XI secolo, e questo grazie all'efficace opera di
tre vescovi: Giovanni II (1023-1056), Anselmo I (1057-1073, dal 1061
Papa Alessandro II) e
Anselmo II (1073-1086, poi santificato).
In questo contesto, l'istituzione delle cosiddette “canoniche”
deve essere considerato come l'espediente per favorire l'elevazione
spirituale e morale del clero secolare, cioè di quegli ecclesiastici
che non si riconoscevano negli ordini monastici. La vita comunitaria
si configurava, così, come una vera e propria forma di controllo
reciproco (2).
E proprio questo tipo di regolamentazione, seppur molto diversa
rispetto alla “regola” degli ordini monastici, costituiva
appunto il “canone”, da cui trasse origine il termine di
“canonica”.
La
formazione dell'istituto canonicale nella Diocesi di Lucca viene
fatto risalire all'episcopato di Giovanni II, il quale certamente
costituì le importanti canoniche all'interno della Città di Lucca,
presso la Cattedrale e nelle chiese di Santa Maria Forisportam
e di San Michele in Foro.
Inoltre, al medesimo Vescovo si deve la formazione della canonica
presso Santa Maria a Monte nell'anno 1025. Anche se nell'atto non
compare specificatamente il termine “canonica”, si può ben
parlale di una sorta di documento fondativo. Infatti attorno alla
Pieve di Santa Maria a Monte vivevano quattordici persone (sacerdoti,
diaconi, chierici), a cui Giovanni II invia diverse disposizioni
circa la residenza comune, e inerenti il vitto, il vestiario, e la
gestione del patrimonio (3).
Santa
Maria a Monte e San Genesio hanno rappresentato, almeno fino al XIII
secolo, due poli molto importanti per la Diocesi di Lucca. La prima
era la “porta” verso il Valdarno Inferiore, mentre la seconda,
oltre ad essere un'importante sub-mansiones
lungo
percorsi strategici come la via Pisana e la via Francigena, si
trovava prossima ai confini con i territori di Firenze e di Volterra.
Proprio per la grande importanza strategica delle due pievi, e vista
la precocità della formazione di una canonica presso Santa Maria a
Monte, è stato ragionevolmente ipotizzato che negli stessi anni
dell'episcopato di Giovanni II, anche a San Genesio venne istituito
un centro per la vita comune del clero. Tale circostanza, sembrerebbe
confermata dall'invio di una prima bolla da parte di Papa Alessandro
II (1061-1073), che, va ricordato, era contemporaneamente Pontefice e
Vescovo di Lucca, da cui San Genesio dipendeva direttamente. Quindi,
molto probabilmente, almeno al 1061 accanto alla pieve era sorta la
canonica.
Inoltre
una frase della bolla inviata da Celestino III nel 1195, come ha
sottolineato anche Martino Giusti, sembra proprio attribuire
direttamente al Vescovo Giovanni la fondazione della Canonica presso
San Genesio: Locum
ipsum in quo plebs ipsa sita est cum omnibus pertinentiis suis,
quartam partem decimarum totius vestrae plebis, et
omnia quae felicis memoriae Ioannes episcopus
canonicus
vestrae concessit ecclesiae, domum, et leprosorum...
LA
PROTEZIONE APOSTOLICA Con
la bolla del 1195, Celestino III legittima al clero di San Genesio la
vitae canonicae disciplina
et communiter secundum sanctorum Patrum institutionem,
per la quale si congratula con queste parole: nos
votis vestris paterno
congratulamur affectu.
Il
Pontefice pone quindi la pieve di San Genesio sub
beati Petri, et nostra protectione.
Riconosce, cioè, la cosiddetta “Protezione Apostolica”. Questa
concessione, molto diffusa specialmente per le abbazie e i priorati,
da un punto di vista giuridico aveva dei risvolti molto importanti.
Come ha sottolineato Mauro Ronzani, provvedimenti del genere erano
del tutto straordinari e non certo alla portata di tutte le chiese.
L'ottenimento di importanti concessioni dalla cancelleria pontificia
era subordinato a specifiche e reali necessità come il veder
riconosciuti i possedimenti, oppure i diritti liturgici e pastorali
(4).
Per
San Genesio tale provvedimento significava da una parte la
legittimazione dell'ordinamento, e dall'altra il riconoscimento
dell'indipendenza della pieve e dell'annessa istituzione canonicale.
Nella pratica esprimeva anche la rottura ufficiale da qualsiasi
legame di tipo feudale, riconoscendo alla pieve e ai suoi canonici
pieni diritti e facoltà, anche di natura patrimoniale. Infatti, il
Papa poco dopo specifica: statuentes
ut quascunque possessiones, quaecunque bona eadem Ecclesia
impraesentiarum iuste et canonice possidet largitione regum vel
principum, oblatione fidelium, seu aliis iustis modis, praestante
Domino, poterit adipisci, firma vobis vestrisque successoribus et
illibata permaneant. Di
fatto, il Pontefice si fece portatore del ruolo di garante, affinché
nessuno potesse rivendicare diritti sulla pieve, sulla canonica e su
qualsiasi possedimento o elargizione pervenuta in ogni forma
possibile. E tiene a sottolineare Celestino III, questo
riconoscimento dovrà mantenere lo stesso valore giuridico,
immutabile ed integro, anche per i futuri successori dei canonici
della Pieve di San Genesio.
Queste
precise disposizioni sembrano essere confezionate quasi appositamente
per eliminare qualsiasi diritto che ancora poteva essere vantato dai
cosiddetti “Signori di San Miniato”. Infatti, nell'anno 991, il
Vescovo di Lucca Gherardo assegnò a livello tutti i beni della Pieve
di San Genesio, ai fratelli Fraolmi
e Hugho,
figli del fu Hugho. Senza
entrare troppo nel dettaglio, si trattò di una sorta di atto di
“infeudamento”, in quanto la cessione a livello, una forma di
diritto reale per molti aspetti vicina all'enfiteusi, riguardava
anche le generazioni successive. Fra i punti del contratto veniva
evidenziato anche il diritto di riscuotere i pagamenti tributari
nelle “ville” (5).
Lo stesso avvenne nel 1076, quando il Vescovo di Lucca Anselmo
rinnovò ai discendenti di Ugo e Fraolmo
diverse concessioni
livellarie, fra cui quelle del 991 (6).
Per
questa ragione, nel testo della bolla, Celestino III conferma alla
pieve di San Genesio ogni legittima donazione, fra cui: universa
etiam quae a Langobardis de S. Miniato vobis legitime data sunt ac
chirographis confirmata.
Come ha rilevato Rosanna Pescaglini Monti, con la qualifica di
“Longobardi di San Miniato” deve essere inteso non tanto uno
specifico clan familiare, quanto piuttosto il generico ceto dirigente
sanminiatese, di cui i discendenti dei “Signori di San Miniato”
facevano certamente parte (7).
Recentemente Paolo Tomei è stato in grado di riconoscere i
discendenti dei “Signori di San Miniato” come membri della
famiglia Mangiadori, protagonista assoluta della vita sanminiatese
almeno fino al XIV secolo. Secondo Tomei, nel 1195 la metà delle
decime della Pieve di San Genesio dovevano essere ancora appannaggio
dei “Signori di San Miniato” (8).
RICONOSCIMENTI
DI NATURA PATRIMONIALE
Oltre alla “Protezione Apostolica”, e a tutte le sue conseguenze
di natura giuridica e patrimoniale, Celestino III riconobbe
importanti diritti, confermando, innanzitutto, quanto concesso alla
pieve dal Vescovo Giovanni, ma non solo:
– locum
ipsum in quo plebs ipsa sita est cum omnibus pertinentiis suis,
ovvero il luogo fisico dove sorgeva la Pieve di San Genesio, comprese
tutte le sue pertinenze.
– quartam
partem decimarum totius vestrae plebis,
la quarta parte della
decima, con l'evidente volontà di garantire le risorse economiche e
finanziarie per il mantenimento dell'istituzione canonicale.
– domum,
la casa, l'abitazione, l'edificio in cui risiedevano fisicamente i
canonici.
– leprosorum
cum ecclesia S. Lazari iuxta eamdem plebem cum pertinentiis suis,
l'ospedale di San Lazzaro, con annessi chiesa e pertinenze. Dobbiamo
soffermarci su questo punto perché nel febbraio nell'ottobre del
1127 due uomini, Beltramus
olim Ruberti e Scherium
olim Gutheroçi, avevano
donato pro remedio anime
all'Abbazia di San Salvatore di Camaldoli unum
hospitium, posito ad S. Genesium in capite burgi de subtus cum
omnibus suis rebus mobilibus et immobilibus habitis et habendis (9) [ADDSM - 1127, ottobre - TRASCRIZIONE - COMMENTO].
Venti anni dopo, nel febbraio del
1147 il Papa Eugenio III (1145-1153),
mentre si trovava proprio a San Genesio, aveva ricordato l'hospitale
iuxta burgum Sancti Genesii
all'interno dell'elenco dei beni posseduti dai Camaldolesi (10).
Lo stesso fece anche Papa Anastasio IV (1153-1154)
nel 1154 (11).
Tuttavia nel periodo compreso tra il 1154 e il 1195, il “lebbrosario”
di San Lazzaro passò definitivamente alla Pieve di San Genesio i cui
canonici, vista la vicinanza, potevano evidentemente garantire una
migliore funzionalità alla struttura ospedaliera, ma anche godere
degli introiti generati dalle proprietà dell'ospedale. Quindi, se da
una parte la gestione dell'ospedale comportava un'attenzione e un
impegno, dall'altra poteva costituire anche una sorta di sussidio
economico a sostegno della canonica e dell'attività del clero ivi
dimorante.
– universa
etiam quae a Langobardis de S. Miniato vobis legitime data sunt ac
chirographis confirmata.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente la Pieve di San Genesio e
la canonica avevano beneficiato di alcune donazioni da parte di
alcuni importanti possidenti sanminiatesi, fra cui certamente i
discendenti dei “Signori di San Miniato”. Allo stato degli studi
non sembra possibile stabilire con certezza la consistenza di questi
beni.
– eleemosynarum
etiam quae pro defunctis alicubi infra plebis spatia sepultis
offeruntur tertiam partem
ovvero la terza parte delle elemosine raccolte a suffragio dei
defunti sepolti nello spazio nei pressi della pieve. Ancora una volta
si tratta di una elargizione di un diritto di natura economica.
– quemadmodum
a bona memoria Paschalis praedecessoris nostri vobis concessum est et
scripto suo firmatum. Il
riferimento è alle specifiche concessioni sancite dal Papa
Pasquale II (1099-1118) di
cui, evidentemente, rimaneva un documento scritto. Purtroppo, essendo
perduto tale atto, non è possibile apprezzarne i dettagli.
LA
GIURISIZIONE PASTORALE La
Bolla di Celestino III è assai importante perché, oltre ad essere
il primo documento pontificio di cui conosciamo il contenuto,
descrive in maniera puntale la giurisdizione pastorale della Pieve di
San Genesio, cioè fornisce l'elenco di quelle chiese che i canonici
dovevano provvedere ad officiare. Si trattava di un territorio molto
vasto per una singola pieve, che comprendeva tutta la parte orientale
dell'attuale Comune di San Miniato, e buona parte di quello di
Empoli, lungo la sponda destra dell'Elsa.
Un
riconoscimento con valore anche per gli anni a venire dato che il
Papa Celestino III concesse ai canonici la giurisdizione su quelle
chiese che sarebbero potute essere costruite all'interno del
territorio plebano: infatti oltre alla suffraganee elencate specifica
che la giurisdizione sarebbe stata estesa anche a quelle chiese si
quis imposterum infra unius plebis spatium aedificare contigerit.
Dunque,
oltre alla pieve, vengono indicate:
– in
burgo le due chiese
dedicate rispettivamente a Sant'Egidio
e ai SS. Giusto e
Cristoforo; mentre per il
primo edificio si tratta della prima attestazione, il secondo,
indicato con il titolo dei SS. Maria e Cristoforo è ricordato quale
luogo dove si tenne un placito nel 1059 (12).
– la
chiesa di S. Michele
Arcangelo, comunemente
detta di Sant'Angelo, supra
burgum, attiva ancora
oggi e qui per la prima volta documentata;
– in
eodem burgo la chiesa di
San Pietro,
qui per la prima volta citata e scomparsa precocemente;
– in
castro Sancti Miniatis la
chiesa di Santa Maria
con le sue pertinenze, ovvero l'antesignana dell'attuale Cattedrale,
qui attestata con certezza per la prima volta; infatti è incerto se
sia questa, o la chiesa di Santa Maria a Calenzano, quella da
identificarsi con la chiesa in
honore S. Dei genitriceis virginis Marie
donata dal diacono Jacobus
come
dotazione del monastero dei SS. Jacopo e Filippo, comunemente detto
di San Ponziano, nell'anno 904 (13);
secondo Graziano Concioni si tratterebbe della chiesa di Calenzano
(14);
in ogni caso, a questa chiesa di Santa Maria e alla precedente chiesa
di San Pietro nel borgo, ai canonici viene fatto obbligo di
officiatura: in
quibus duabus per eos qui ibi fuerint per nostram providentiam
ordinati divina semper officia celebrentur;
– la
chiesa di Santa Cristina,
di cui non è specificata la località, qui per la prima volta
documentata ed essendo precocemente scomparsa non è possibile, ad
oggi, localizzarla con precisione;
– la
chiesa di San Bartolomeo,
qui per la prima volta documentata senza che sia specificata la
località; nel piviere di San Genesio sono attestate nell'Estimo
del 1260 due chiese che avevano questo titolo: una a Campriano e una
a Brusciana, ovvero due località rammentate
nell'elenco delle ville
dipendenti da San Genesio nel 991 (15);
dal momento che più avanti nella bolla vengono citate due chiese,
senza che sia loro specificata l'intitolazione, una a Campriano e una
a Brusciana, dobbiamo concludere che si tratta o di una terza chiesa,
magari scomparsa precocemente, oppure di una delle due e che, per
errore, sia stata computata due volte;
– la
chiesa di San Biagio,
qui per la prima volta attestata, di cui non è specificata la
località, ma che siamo in grado di localizzare all'interno del
castello sanminiatese, sul versante nord-occidentale del rilievo
della Rocca (16);
– la
chiesa di Santo Stefano,
ancora oggi esistente e documentata a partire dal 1059, situata
all'interno del centro abitato sanminiatese (17);
– la
chiesa di San Lorenzo
di Nocida,
che può essere identificata con San Lorenzo a Nocicchio, qui per la
prima volta documentata;
– la
chiesa di San Pietro supra
Fontem, ovvero l'attuale
San Pietro alle Fonti, qui per la prima volta attestata;
– la
chiesa di Sant'Andrea
iuxta castrum ciculum,
qui per la prima volta documentata, fu unita con la parrocchiale di
Nocicchio e scomparsa nella seconda metà del '600; si trovava appena
fuori dal centro urbano sanminiatese, sotto al convento di San
Francesco, nei pressi della zona denominata “Il Riposo” (18);
– la
chiesa di San Michele
Arcangelo infra muros,
qui per la prima volta documentata, situata all'interno delle mura
del cassero di San Miniato, unita almeno dal XV secolo con la chiesa
di Santo Stefano;
– la
chiesa dei SS. Jacopo e
Lucia, qui per la prima
volta documentata, ancora esistente a San Miniato e comunemente detta
di San Domenico per la presenza dei Frati Predicatori dal XIV al XX
secolo; nei documenti successivi verrà localizzata nel terziere di
Fuoriporta (19);
– la
chiesa di San Donato de
Faugnana, che si trovava
nella zona di Faognana, fuori dalla porta omonima, e scomparsa alla
fine del XVIII secolo; nei documenti successivi viene indicata sotto
il titolo di San Martino, e per il momento non è possibile
comprendere l'intitolazione a San Donato: può trattarsi di un
semplice errore, oppure di una originaria doppia intitolazione ai SS.
Donato e Martino, da cui prevalse soltanto il nome del Vescovo di
Tours; presso Faugnanus,
nell'anno 904, è attestata una curia,
indicata in plebem
S. Genesi
prope castrum S.
Miniatis
che venne ceduta dal diacono Jacobus
come
dotazione del monastero dei SS. Jacopo e Filippo, comunemente detto
di San Ponziano (20);
– la
chiesa di San Martino de
Castillione, scomparsa
almeno dal XIII secolo, e localizzabile in loc. “Castiglioni”,
lungo la strada di crinale che va da San Miniato a Calenzano, grosso
modo nei pressi del bivio di Scacciapuce; questa chiesa venne
indicata come “canonica” nel 1156 (21)
e
nel 1164 (22);
la località Castelune
faceva parte dell'elenco delle ville
del 991 (23)
e
qui si trovava un'abitazione,
in
loco Castilione finibus plebem Sancti Ienesii,
che nell’anno 861 fu donata da Heriprando
del
fu Hildiprandi,
legato agli Aldobrandeschi, alla chiesa di Santa Maria a Monte, e che
entrò a far parte dei beni vescovili, in quanto proprio Santa Maria
a Monte era uno dei centro in cui il Vescovado di Lucca esercitò il
potere temporale fino al XIV secolo
(24);
– la
chiesa di Sant'Ippolito de
Marzana, qui per la prima
volta documentata, attiva fino alla seconda metà del XX secolo;
l'edificio, probabilmente ampliato e modificato nei secoli,
attualmente è inglobato all'interno di una abitazione privata; la
loc. Martiana è
attestata per la prima volta nell'elenco delle ville
del 991 (25);
– la
chiesa di Santa Maria de
Calenzano, qui certamente
per la prima volta attestata, ed ancora oggi esistente, seppur sotto
il titolo di Santa Lucia; è incerto se sia questa, o la chiesa di
Santa Maria nel castello di San Miniato, quella da identificarsi con
la chiesa in honore S. Dei
genitriceis virginis Marie
donata dal diacono Jacobus
come
dotazione del monastero dei SS. Jacopo e Filippo, comunemente detto
di San Ponziano, nell'anno 904 (26);
secondo Graziano Concioni si tratta proprio della chiesa di Calenzano
(27);
-
la chiesa di San
Quintino,
qui per la prima volta attestata con certezza, anche se nell'elenco
delle ville
dipendenti da San Genesio nel 991 si parla di una località nominata
S.
Winitino,
che farebbe pensare alla precoce presenza di una chiesa (28);
-
la chiesa de
Colle,
di cui non è indicato il titolo e di collocazione incerta; una
chiesa dedicata ai SS. Jacopo e Filippo nei pressi di Collebrunacchi
(loc. Collicino) (29),
è effettivamente indicata in località Colle
nel cosiddetto Estimo
della Diocesi di Lucca, datato 1260, ma nella giurisdizione della
Pieve di Corazzano (30),
per cui al momento la questione rimane irrisolta;
-
la chiesa di Capriano,
di cui non è indicato il titolo, ma che deve essere riconosciuta
come quella chiesa di San
Bartolomeo
de Capriana,
inserita nell'elenco dell'Estimo
del
1260 (31);
mentre per la chiesa si tratta della prima attestazione, la località
Caprile
compare
per la prima volta nell'elenco delle ville
del 991
(32);
-
la chiesa de Canneto,
qui per la prima volta attestata, e indicata nell'Estimo
del 1260 sotto il titolo di San
Giorgio
(33);
la località Canneto
è documentata per la prima volta nell'anno 780, all'interno dei beni
in dotazione all'abbazia pisana di San Savino (34);
-
la chiesa di S.
Maria de
Montarso,
che in tutti gli altri documenti, a partire dall'anno 904 viene
indicata sotto il titolo di Santa
Margherita
(35);
-
la chiesa di Monterotundo,
qui per la prima volta attestata e scomparsa precocemente, dal
momento che non compare nell'Estimo
del
1260; si tratta della prima e unica attestazione (assieme a quella
della bolla del 1205) anche per la località di “Monte Rotondo”;
-
la chiesa di Planatole,
da identificarsi con la chiesa di San
Michele Arcangelo in
località Pianezzoli,
oggi nel Comune di Empoli; la prima attestazione della chiesa risale
all'anno 1030 (36);
-
la chiesa de Brusciano,
ovvero la chiesa di San
Bartolomeo di
Brusciana, qui per la prima volta attestata, e tuttora funzionante;
la località Briscana
compare per la prima volta nell'elenco delle ville
del 991 (37);
situata sulla sponda destra dell'Elsa, a partire dagli inizi del XIX
secolo fa parte del territorio del Comune di Empoli;
-
la chiesa di S.
Stefano de
Turre,
ovvero la chiesa di Santo Stefano a Torrebenni,
qui per la prima volta attestata; la località oggi conosciuta come
La
Bastia,
si trova nel Comune di Empoli, sulla sponda destra dell'Elsa, e
documentata per la prima volta nel 1165 fra le proprietà che
l'Imperatore Federico I Barbarossa confermò a Guido Guerra III dei
Conti Guidi (38);
-
la chiesa di San Pietro
de Marcignana,
documentata per la prima volta nel 1068 (39);
la località Marcignana
è
inserita nell'elenco delle ville
del 991 (40);
-
la chiesa di S. Donato de
Insula,
qui per la prima volta attestata; il toponimo di Isula
sebra comparire, seppur di dubbia identificazione, nell'anno 865
(41);
-
la chiesa di S. Michele
Arcangelo de
Rophia,
qui per la prima volta documentata; la località Roffie
viene rammentata nell'elenco delle ville
del
991 (42);
-
la chiesa di S. Filippo de
Pinu,
ovvero la chiesa che in seguito verrà indicata sotto il titolo dei
SS. Jacopo e Filippo, in Loc. Pino, oggi Ponte a Elsa, e qui per la
prima volta attestata;
-
la chiesa di S.
Prospero de
Montalprandi,
qui per la prima volta documentata e precocemente scomparsa fra il
XVI e il XVII secolo; di incerta localizzazione, la località
Montalprandi,
indicata come castello, è attestata dal 1026 (43);
secondo la letteratura si sarebbe trovata nei rilievi fra San Genesio
e Calenzano, ma non è da escludere che debba essere identificata con
l'attuale località Montepaldi
nel Comune di Empoli.
Come
ultima disposizione della bolla, venne specificato che la
giurisdizione della pieve, oltre che sulle singole suffraganee, si
estendeva in curte
Sanctiminiatis de Empulo de Monterappoli, et in curte de Marrignana,
quindi nei territori di San Miniato, di Empoli, di Monterappoli e di
Marcignana. Quest'ultimo riconoscimento non deve essere interpretato
in termini di “proprietà” o di giurisdizione “civile” in
quanto nel 1195 a San Miniato era presente già da diversi anni
l'amministrazione imperiale, parallelamente ad una istituzione di
tipo comunale, anche se il territorio di San Genesio probabilmente
rimase a sé stante fino alla concessione di Federico II di Svevia
nel 1217. Anche ad Empoli, già feudo dei Guidi, si sviluppò
un'istituzione di tipo comunale che fece parte del contado fiorentino
dall'anno 1182 (44).
Lo stesso Monterappoli, faceva parte delle antiche proprietà dei
Guidi (ultimi riconoscimenti di Federico II nel 1220 (45)
e
nel 1247
(46))
e
solo nel corso del XIII secolo entrò nell'orbita fiorentina, dal
1255 (47),
e definitivamente dal 1273 (48).
Più enigmatico il riferimento a Marcignana, centro documentato dal X
secolo, anche se mai formalmente indicato come comune autonomo, e
situato in un'area “complessa”, con forti interessi da parte di
casate comitali come i Cadolingi e i Guidi, ma anche, evidentemente,
nelle mire espansionistiche fiorentine. In ogni caso, quest'ultima
disposizione, può essere letta come il riconoscimento del fatto che
la giurisdizione pastorale della pieve comprendesse il territorio
pertinente al Borgo di San Genesio, e si estendesse, anche solo
parzialmente, anche a quelli delle comunità vicine come San Miniato,
Empoli, Monterappoli e Marcignana.
NOTE
E RIFERIMENTI
(1)
G. Concioni, Le
vicende di una Pieve nella cronologia dei suoi pievani. S. Genesio di
Vico Vallari 715-1466,
Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti, Lucca, pp. 19-20.
(2)
M.
Giusti, Le
canoniche della Città e Diocesi di Lucca al tempo della Riforma
Gregoriana,
in «Studi Gregoriani», n. III, Abbazia di San Paolo, Roma, 1948,
pp. 321-367.
(3)
D. Bertini, Memorie
e Documenti per Servire all'Istoria di Lucca,
Tomo IV, parte II, Lucca, 1836, n. 88, pp. 125-127.
(4)
M. Ronzani, Definizione
e trasformazione di un sistema d'inquadramento ecclesiastico: la
Pieve di Fucecchio e le altre pievi del Valdarno fra XI e XV secolo,
in A. Malvolti e G. Pinto (a cura di), Il
Valdarno Inferiore terra di confine nel Medioevo (Secoli XI-XV),
Atti del Convegno di Studi, 30 settembre – 2 ottobre 2005), Leo S.
Olschki Editore, Firenze, 2008, p. 98.
(5)
Archivio Arcivescovile di Lucca, *E.90;
D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCCLXXII, pp. 552-553.
(6)
Archivio Arcivescovile di Lucca, †C.74, ††Q.29.
(7)
R. Pescaglini Monti, La
famiglia dei 'Signori di San Miniato' (secoli X-XI),
in Id.,
Toscana Medievale. Pievi, signori, castelli, monasteri (secoli
X-XIV),
Pacini Editore, Pisa, 2012, pp. 617-627.
(8)
P. Tomei,
«LOCUS EST FAMOSUS» Borgo San Genesio ed il suo territorio (secc.
VIII-XII).
Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e
Filosofia,
Corso di Laurea Specialistica in Storia e civiltà, Anno Accademico
2010/2011, Rel. Prof. S. Collavini.
(9)
Archivio
di Stato di Firenze, Diplomatico,
Camaldoli, 1127, ottobre; cfr. L. Schiapparelli e F. Baldasseroni,
Regesto
di Camaldoli,
Regesta Chartarum Italiae, Volume II, Roma, 1909, doc. 891, p. 115.
(10)
Archivio
di Stato di Firenze, Diplomatico,
Camaldoli, 1147, 7 febbraio; cfr. L. Schiapparelli e F. Baldasseroni,
Regesto
di Camaldoli,
Regesta Chartarum Italiae, Volume II, Roma, 1909, doc. 1037, pp.
179-180.
(11)
Archivio
di Stato di Firenze, Diplomatico,
Camaldoli, 1154, 28 gennaio; cfr. L. Schiapparelli e F. Baldasseroni,
Regesto
di Camaldoli,
Regesta Chartarum Italiae, Volume II, Roma, 1909, doc. 1106, pp.
207-208.
(12)
N. Rauty, Documenti
per la storia dei conti Guidi in Toscana. Le origini e i primi secoli
(887-1164),
Deputazione di Storia Patria per la Toscana, Leo S. Olschki Editore,
Firenze, 2003, n. 39, p. 82.
(13)
Archivio
di Stato di Lucca, Diplomatico,
S.
Ponziano,
1 gennaio 904; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MLXXXV, pp. 30-31.
(14)
G.
Concioni, Le
vicende di una Pieve nella cronologia dei suoi pievani. S. Genesio di
Vico Vallari 715-1466,
Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti, Lucca, p. 11.
(15)
Archivio Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(16)
A.
Braschi, M. Parentini e A. Vanni Desideri, Un
elemento della topografia medievale di San Miniato. Note storiche e
archeologiche sulla chiesa di San Biagio,
in «Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San
Miniato», n. 79, 2012, pp. 353-375.
(17)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, †
H.100; cfr. G.
Concioni, Le
vicende di una Pieve nella cronologia dei suoi pievani. S. Genesio di
Vico Vallari 715-1466,
Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti, Lucca, p. 25.
(18)
F. Fiumalbi, Sant'Andrea
di Castro Cigoli. Una chiesa scomparsa nel suburbio di San Miniato,
in Bollettino dell'Accademia degli Euteleti di San Miniato, n. 80,
2013, pp. 409-430
(19)
Sulla chiesa dei SS.
Jacopo e Lucia si veda T. S. Centi, P. Morelli e L. Tognetti, SS.
Jacopo e Lucia: una chiesa, un convento. Contributi per la storia
della presenza dei Domenicani a San miniato,
Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, Tip. Palagini,
San Miniato, 1995.
(20)
Archivio
di Stato di Lucca, Diplomatico,
S.
Ponziano,
1 gennaio 904; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MLXXXV, pp. 30-31.
(21)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, ††
Q.15; cfr. G.
Concioni, Le
vicende di una Pieve nella cronologia dei suoi pievani. S. Genesio di
Vico Vallari 715-1466,
Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti, Lucca, p. 26.
(22)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, ††
Q.21; D. Bertini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo IV, parte II, Lucca, 1836, doc. CXXX, pp. 181-182.
(23)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(24)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, † O.27; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte II, Lucca, 1837, n. DCCLIV, pp. 431-432.
(25)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(26)
Archivio
di Stato di Lucca, Diplomatico,
S.
Ponziano,
1 gennaio 904; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MLXXXV, pp. 30-31.
(27)
G.
Concioni, Le
vicende di una Pieve nella cronologia dei suoi pievani. S. Genesio di
Vico Vallari 715-1466,
Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti, Lucca, p. 11.
(28)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(29)
In
proposito L. Tognetti, Non
voglio salir sulle vette. Frammenti, cronache e poesie,
a cura di Hafiza Malik e Delio Fiordispina, FM Edizioni, San Miniato,
1996, pp. 39-40;
(30)
P.
Guidi, Rationes
decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia,
Vol. 1, La
decima degli anni 1274-1280,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1932, Appendice,
p. 271.
(31)
Ibidem,
p. 272.
(32)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(33)
P.
Guidi, Rationes
decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia,
Vol. 1, La
decima degli anni 1274-1280,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1932, Appendice,
p. 271.
(34)
Archivio
di Stato di Firenze, Diplimatico,
Camaldoli, 780, 30 aprile; Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico
Generale,
n. 4 e n. 5; Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico
di Santo Stefano,
[B] e [C]; cfr. L.
Schiapparelli e F. Baldasseroni, Regesto
di Camaldoli,
Regesta Chartarum Italiae, Volume I, Roma, 1907, doc. I, pp. 3-4; G.
B. Mittarelli, Annales
Camaldulensis Ordinis S. Benedicti,
Volume I, Venezia, 1755, Appendice,
n. II, pp. VI-X; F. Brunetti, Codice
Diplomatico Toscano,
Tomo I, parte II, n. XIII, Firenze, 1833, pp. 238-241; M.
D'Alessandro Nannipieri, Carte
dell'Archivio di Stato di Pisa,
Vol. I, Thesaurus Ecclesiarum Italiae, VII, 9, Roma, n. 1, pp. 3-7.
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– 780, 30 APRILE – ABBAZIA DI S. SAVINO.
(35)
Archivio
di Stato di Lucca, Diplomatico,
S.
Ponziano,
1 gennaio 904; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MLXXXV, pp. 30-31.
(36)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, †
M.8 [A] e ††
R.98 [A]; cfr. G. Ghilarducci, Carte
del secolo XI dal 1018 al 1031,
Archivio Arcivescovile di Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca,
1990, nn. 103-104, pp. 285-292.
(37)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(38)
Archivio
di Stato di Firenze, Strozziane
– Uguccioni,
1164, 28 settembre; cfr. Julius Ficker, Forschungen
zur reichs und rechtsgeschichte Italiens,
Innsbruck, 1874, n. 140, pp. 179-182; N. Rauty, Documenti
per la storia dei Conti Guidi in Toscana. Le origini e i primi secoli
887-1164,
Deputazione di Storia Patria per la Toscana, Documenti di Storia
Italiana, Serie II, Volume X, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2003,
n. 226, pp. 298-301; T. v. Sickel, Friderici
I Diplomata inde ab a. MCLVIII ad a. MCLXVII,
Diplomata Regum et Imperatorum Germaniae, «Munumenta
Germaniae Historica»,
Tomo X, parte II, (MGH, DD, F I, 2), n. 462, pp. 369-371.
(39)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, ††
H.15; D. Bertini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo IV, parte II, Lucca, 1836, doc. CII, p. 146.
(40)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(41)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, †
Q.99; cfr. D. Bertini,
Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo IV, parte II, Lucca, 1836,
doc.
XXXVII, p. 50.
(42)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *
E.90; cfr. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, doc. MDCLXXII, pp. 552-553.
(43)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, AB.9 [B];
cfr. G. Ghilarducci, Carte
del secolo XI dal 1018 al 1031,
Archivio Arcivescovile di Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca,
1990, n. 72, pp. 198-200.
(44)
P.
Santini,
Documenti
dell’antica costituzione del Comune di Firenze,
Cellini & C, Firenze, 1895, Vol. I, n. XII p. 17-18.
(45)
G.
Lami, Sanctae
Ecclesiae Florentinae Monumenta,
Tomo I, Firenze, 1758, pp. 70-72; Ildefonso di San Luigi, Delizie
degli eruditi toscani,
Tomo VIII, Firenze, 1777, pp. 96-102;
J.
L. A. Huillard-Breholles, Historia
Diplomatica Friderici Secundi sive costitutiones, privilegia,
mandata, instrumenta, quae supersunt istius imperatoris et filiorum
ejus,
Tomo II, Parte I, Parisiis,
1852, pp. 58-64.
(46)
G. Lami, Sanctae
Ecclesiae Florentinae Monumenta,
Tomo I, Firenze, 1758, pp. 490-492; Ildefonso di San Luigi, Delizie
degli eruditi toscani,
Tomo VIII, Firenze, 1777, pp. 104-109;
J.
L. A. Huillard-Breholles, Historia
Diplomatica Friderici Secundi sive costitutiones, privilegia,
mandata, instrumenta, quae supersunt istius imperatoris et filiorum
ejus,
Tomo VI, Parte I, Parisiis,
1860, pp. 518-526.
(47)
Ildefonso
di San Luigi, Delizie
degli eruditi toscani,
Tomo VIII, Firenze, 1777, pp. 141-145.
(48)
Ildefonso
di San Luigi, Delizie
degli eruditi toscani,
Tomo VIII, Firenze, 1777, pp. 129-134.
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