SAN
MINIATO: DAL “GELIDO ECCIDIO NAZISTA” ALL'INUTILE CRIMINE DI
GUERRA AMERICANO
di
Paolo Paoletti e Francesco Guidotti
Il
22 luglio 1944 le truppe di terra americane si trovavano a circa 6
chilometri dalla dorsale collinare di S. Miniato al Tedesco, in
Provincia di Pisa. Le artiglierie erano nascoste dietro piccoli
rilievi boschivi a circa 10 km. in linea d’aria, in località
Bucciano e Montebicchieri.
Almeno
dal giorno 20, le bandiere pontificie sventolavano su alcuni edifici
religiosi posti poche decine di metri sotto alla torre di Federico
II, il punto più alto della città. Ne fa fede il diario di don
Francesco Galli, che alla data del 20 luglio scriveva: "Bandiere
papali su San Francesco, San Domenico e Vescovado".
Anche Don Livio Tognetti scriveva che "sul
tetto della chiesa del convento di San Jacopo sventolava una grande
bandiera pontificia" [01].
Si intende la bandiera dello Stato vaticano, bianca e gialla con le
chiavi di San Pietro. Accanto al Vescovado stava il Duomo, un
edificio che da Sud si apprezzava in tutta la sua lunghezza, con il
suo campanile. Anche il giorno della strage, il 22 luglio, le
bandiere papali sventolavano su quei tre edifici religiosi di San
Miniato. Se ne trova ulteriore conferma nella testimonianza di
Alessandra Donati che davanti alla Commissione d'inchiesta italiana
nel 1945 dichiarò: "Io
e il Prof. Fiore andammo al Comando tedesco.... Fu chiesto ad uno dei
militari se potevamo usare la bandiera bianca e il detto militare
rispose che non importava perché bastavano quelle papali che
sventolavano già su alcuni edifici della città...".
Gli
Statunitensi le osservarono il 21 luglio, fraintendendole nella
forma, in quanto nel sole estivo credettero di vederle tutte bianche,
ma non nella loro sostanza di segnale di non belligeranza. Recita il
diario di guerra americano della 88° Divisione alle ore 14,50 di
quel giorno:"Il
3° Battaglione ha riferito che alle 14,40 il posto d'osservazione
della Compagnia M ha osservato una bandiera bianca che veniva
innalzata su un edificio in San Miniato...."
[02].
Oltre
agli osservatori a terra, c’era almeno un aereo alleato che
volteggiava in cielo. Ne fanno cenno quattro testimoni: il domestico
del Vescovo, Mario Del Bubba, Mario Caponi e Maria Chimenti nello
loro deposizioni per la stessa commissione [03].
Lo conferma infine l’allora undicenne Beppe Chelli che poi scriverà
in un suo recente articolo: “Mentre
andavamo in Duomo in alto vegliava silenziosa e lenta la cicogna”
[04].
Molti cittadini di San Miniato cercarono rifugio infatti nel Duomo
stesso, come nei secoli più bui, probabilmente confidando anche
nella protezione di quella bandiera. Dal punto di vista del diritto
di guerra l’apposizione della bandiera non generava obblighi
vincolanti, in quanti gli edifici non erano territorio vaticano (né
extraterritoriali) né ospitavano cittadini vaticani. Era però ben
chiaro il significato, che gli Americani avevano in modo fortuito
recepito, equiparando il vessillo ad una bandiera bianca: esse
indicavano luoghi religiosi, non difesi. Ciò non li influenzò
minimamente nella vicenda del 22 Luglio.
Il
giornale di guerra del 337° battaglione d’artiglieria [05]
attesta che alle 10.15 di quel giorno la batteria A sparò 47 colpi
dirompenti da 105 mm. contro EN.M.G.,
cioè enemy machine gun, ovvero mitragliatrice nemica, individuata
dagli osservatori a terra [06].
Alle 10.30 i colpi sparati dalla stessa batteria furono 51 e sempre
contro mitragliatrice
nemica
(non è possibile stabilire se si tratti della stessa, o di altra, o
di più mitragliatrici; il testo comunque non porta la “s” del
plurale). Dunque l’obiettivo non era l’ipotizzato osservatorio
tedesco sul campanile del Duomo o sulla torre della Rocca, come
taluno ha sostenuto. Le due postazioni tedesche si trovavano nascoste
tra gli oliveti a mezza collina e sotto la Rocca. Sorattutto il tiro
non era richiesto da necessità tattiche, non doveva precedere
un’avanzata delle truppe di terra: si cannoneggiò il 22 luglio,
non il 23, giorno di tregua, non il 24, giorno dell’avanzata
americana e della liberazione. Si badi bene, dunque: quel
cannoneggiamento di medi calibri era la semplice reazione
all’individuazione di un obiettivo militare. Non importava la
quantità o la qualità del target.
Come per gli aerei in volo, qualunque essere vivente od artefatto
sospetto era un opportunity
target,
ovvero un obiettivo utile.
Anche
così, dal punto di vista dell’arte militare lo strumento era
inappropriato. Si trattava di mirare ad una superficie di 3 mq., cioè
una mitragliatrice poggiata su bipiede con due serventi, da circa 6
km di distanza. Faccia la prova chi vuole: è come cercare di
centrare una moneta da due euro lanciando petardi da trenta metri di
distanza. E dietro la “moneta” vi era un abitato segnalato da
bandiere bianche. In altri eserciti si sarebbe fatta avanzare una
pattuglia, e questa avrebbe guidato il tiro dei mortai, con il
duplice probabile vantaggio di evitare “danni collaterali” e di
colpire davvero le mitragliatrici. Ma ciò avrebbe esposto gli
osservatori avanzati a qualche rischio personale, il che nell’U.S.
Army era (e continua ad essere) anatema. Si scelse quindi, per
conseguire comunque lo scopo, di effettuare quel che equivale a tutti
gli effetti ad un tiro di saturazione. E grandinarono i colpi di
cannone. Bisogna aggiungere che gli artiglieri dovevano inoltre
essere coscienti che il tiro dei loro pezzi sarebbe stato
estremamente impreciso, in quanto era molto prossimo alla gittata
massima.
Racconta
un testimone oculare, don Enrico Giannoni, che si trovava in località
“Al Tufo”: “Erano
circa le 9,30 [07],
quando da sud ovest, sulla linea tra Montebicchieri e Montopoli si
scatena un bombardamento americano che, colpendo prima la collina
stessa ove io ero, e poi le pendici del colle della città, e,
alzando, sempre più il tiro, gli orti prospicienti ..giunge, con un
proietto al Seminario, lato ovest; al Municipio lato idem; con due
alla mia casa; con altri due al Vescovado; con uno al Miravalle
(albergo a fianco del Vescovado nda); con molti altri al lato destro
di via del Piazzale e al viale della Rimembranza; con varii
scoperchiando la lapide dell’acquedotto, sul prato del Duomo e sul
tetto della sagrestia; con uno sul Duomo, tra il muro e la grondaia,
senza sfondare all’interno; fra il tetto più alto ed il muro del
campanile; nel campanile presso la prima e la seconda campana; con
molti nel poggio della Rocca, compresa la villa Donati; con uno entro
la finestra, lato ovest della Cappella del Santissimo Sacramento,
quello che ha causato tanto sangue e tante lacrime” [08].
Come è noto, un proiettile da 105 mm penetrò nel Duomo da una
finestra, ed esplose uccidendo 55 persone e ferendone molte altre.
Dalla
precisa descrizione di questo testimone oculare che si trovava sul
colle di Scacciapuce prospiciente la città, risulta evidente come il
cannoneggiamento americano fu intenso [09],
e si concentrò rapidamente sul centro storico e sugli edifici sacri.
Oggi si sa perché: Vittorio Campani ricorda che nel 1945, nel corso
delle riparazioni sul tetto della chiesa del Santissimo Crocifisso,
che si trova a fianco del Duomo, venne ritrovato un proiettile
fumogeno. Questa la sua testimonianza: “Avevo
15 anni, e come tutti i ragazzi dell’epoca, aiutavo mio padre, che
faceva il muratore. Un giorno, insieme ad un terzo operaio, salimmo
sul tetto della chiesa del Santissimo Crocifisso perché pioveva
all’interno. Scoprimmo subito da dove veniva il guasto: con nostra
sorpresa trovammo lassù un proiettile di cannone, che era rotto solo
in basso. Sembrava che non fosse esploso, ma l’eccitazione fu tale
che con delicatezza lo portammo a terra. Mio padre non lo fece vedere
a nessuno e lo portò a casa. Poi un giorno fissò un gancio a L nel
muro di casa nostra, riempì il fondo spaccato della bomba con il
calcestruzzo e murò il proiettile per ritto, come fosse un trofeo.
E’ stato lì sull’aia per 55 anni, a ricordarci la guerra
passata. Poi nel 2000 lessi sul giornale, che un fiorentino aveva
scritto un libro sulla strage del Duomo e attraverso un amico lo
contattai”.
Il
Col. Massimo Cionci ha potuto esaminare il proiettile il 15.12.2000
concludendo trattarsi senza dubbio di un proiettile fumogeno, e se si
lancia un fumogeno prima o durante un cannoneggiamento è per
indirizzare il tiro. Siccome il 21 e il 23 luglio l’artiglieria
americana non sparò su S. Miniato, occorre dedurre che quel proietto
arrivò sulla chiesa del SS. Crocifisso quella mattina e finì per
dirigere il fuoco proprio sul paese, ed in particolare sugli edifici
sacri con le bandiere vaticane.
La
testimonianza già ricordata del Canonico Giannoni sembra ipotizzare
altre armi pesanti nel verde del centro cittadino, e in particolare
"la
permanenza, nella corte della Misericordia,... di un lungo cannone
mimetizzato e, nell'orto della stessa Misericordia, infilate nel muro
di cinta, e nell'orto del Seminario, fra i tronchi di vecchi ulivi,
fitte mitragliatrici".
Verosimilmente quel cannone e quelle mitragliatrici si trovavano lì
da tempo in attesa del trasferimento al momento del ritiro
definitivo. Dubitiamo molto che “nel
muro di cinta, e nell'orto del Seminario, fra i tronchi di vecchi
ulivi, fossero infilate fitte mitragliatrici":
non è certo così che si dispongono. Inoltre non sarebbe stato
tatticamente corretto concentrare in quell'unico punto della collina
e per giunta accanto al cannone tutta la forza difensiva tedesca. Ma
al di là di quello che vide o che credette di vedere Don Giannoni,
l’unico dato da considerare è la percezione che ebbero gli
Americani delle difese tedesche della città. E ciò è scritto nel
giornale di guerra del 337° battaglione d’artiglieria [10]:
due mitragliatrici leggere.
E
a questo punto la colpa degli artiglieri appare davvero gravissima.
L’ipotesi è che (almeno) il fumogeno sia stato centrato.
L’artiglieria americana avrebbe quindi preso di mira il paese, al
quale corrispondono le coordinate di tiro Q-46.48/59.50, mentre
quelle dei supposti nidi di mitragliatrice erano 46.37 / 59.22 per
quella a mezza costa e 46.48 / 59.50 per quella sotto la Rocca Questa
è uguale!. Ma se anche così non fosse, rimane comunque grave e
criminale la negligenza di aver aperto il fuoco su di un obiettivo
sbagliato (sul quale sventolava una bandiera quantomeno bianca) senza
osservare e senza correggere. Ed emerge con forza il sospetto, già
tante volte affacciato, che per gli Statunitensi l’unica vita umana
che aveva valore fosse quella dei loro militari.
Per
tutto quanto sopra, il cannoneggiamento americano si deve configurare
come una evidente violazione dell’allegato alla Prima Convenzione
dell'Aja del 1899, possibile riguardo all’articolo 25 e conclamata
rispetto all’articolo 27. Mentre l’art. 25 vieta l’attacco ed
il bombardamento di città o paesi indifesi (sotto il quale rispetto
S. Miniato è un caso limite, in quanto le posizioni tedesche gli
erano in effetti molto vicine), flagrante è la violazione dell'art.
27, che recita: "Negli assedi e cannoneggiamenti si devono
prendere tutte le misure necessarie per risparmiare per quanto
possibile gli edifici dedicati al culto, all'arte, alla scienza e
alla beneficenza, i monumenti storici, gli ospedali e i punti di
raccolta per malati e feriti, premesso che essi non vengano
contemporaneamente usati per scopi militari". In questo
caso, gli artiglieri non presero alcuna precauzione, ed agirono
invece in modo tale da fare il massimo del danno gratuito: nonostante
il fatto che il centro del paese inerme, e gli edifici religiosi
certamente non difesi, fossero addirittura segnalati con bandiere
(che avevano avvistato), essi aprirono il fuoco da grande distanza
per evitarsi il disturbo ed il pericolo di individuare esattamente le
posizioni nemiche, e colpirono obiettivi civili ben segnalati
sbagliando le coordinate o quantomeno non curandosi di osservare il
tiro.
Il
risultato di quelle 98 cannonate sparate contro quegli edifici, sacri
e indifesi, fu, come era ampiamente prevedibile, di morti e feriti
tra i civili e nessuna conseguenza per i soldati tedeschi [11].
Per
concludere, una domanda: per quante S. Miniato d’Italia i fatti
sono stati ricostruiti correttamente? Basti pensare che per più di
cinquant’anni la strage del Duomo è stata attribuita ad un ordigno
tedesco. E poi c’è la politica. Anche quando, recentemente, il
Comune ha preso atto che i morti erano stati vittime di un
cannoneggiamento americano, ha messo accanto alla lapide “sbagliata”
un’altra targa in cui si sostiene che, al di là del fatto
contingente, la responsabilità dell’eccidio restava nazista in
quanto era stato Hitler a scatenare la guerra…
La Cattedrale di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
NOTE
E RIFERIMENTI
[01]
In "Chiese Toscane. Cronache di guerra. 1940-1945"
L.E.F., 1995 p. 595.
[02]
"3rd Bn reported that at 1440 Co M's O.P.
observed white flag being raised above building in S. Miniato....”
[03]
Paolo Paoletti “1944, S.Miniato: tutta la verità sulla strage”,
Mursia 2000.
[04]
L’articolo dal titolo “Quel 22 luglio 1944” è apparso
sulla rivista mensile “AERONAUTICA” N° 9 dell'ottobre 1994,
pagg.31-32. “Cicogna” era il nome, tradotto, del ben noto aereo
germanico da osservazione e collegamento Fieseler 156 “Storch”.
Per la sua grande diffusione, ed il suo impiego anche da parte della
Regia Aeronautica, passò nel lessico comune ad indicare
genericamente tutti gli aerei provvisti della medesima funzione.
[05]
Si veda, fra le varie opere dedicate all’argomento da Giuliano
Lastraioli e Claudio Biscarini (Autori entrambi di scoperte e studi
fondamentali in materia), il breve saggio “La prova”.
[06]
Indicati nel diario con le abbreviazioni OP OBS.
[07]
Don Giannoni usa l’ora solare mentre era in vigore l’ora legale,
come si evince da tutte le altre dichiarazioni testimoniali e dalla
documentazione americana, in particolare il Journal of the 337th
Field Artillery Bataillon.
[08]
in “Il Giornale del Mattino” di Firenze del 21.7.1954.
[09]
Così continuava il già citato Enrico Giannoni: “Non si possono
citare le cento e cento altre granate insabbiatesi nel terreno, ma
sono già troppe le citate a dirci l’entità di quel bombardamento.
Ne sono visibili anche oggi le profonde scheggiature o i segni delle
riparazioni ”
[10]
Si veda ancora il saggio di Giuliano Lastraioli e Claudio Biscarini
“La prova”.
[11]
Le mitragliatrici germaniche rimasero, come era prevedibile, del
tutto indisturbate e la 3° Div. Panzergrenadiere non lamentò
né morti né feriti a S. Miniato.
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