di
Alberto Vincenti
CANNELLONE
un personaggio da non dimenticare
Spesso
i soprannomi si tramandano anche per diverse generazioni e Cannellone
aveva ereditato da suo padre, oltre al patrimonio genetico, anche il
soprannome.
Cannellone,
chi era costui? Di professione faceva il sarto in un piccolo
laboratorio in Via IV Novembre situato tra l’ingresso secondario
della Cassa di Risparmio e il Bar Rossi, dove lo coadiuvavano nel
lavoro la moglie, la cognata e talvolta la figlia. Cannellone era un
tipo magro, un po’ stempiato con un paio di occhiali tondi da dove
dietro lampeggiavano due occhi vispi pronti sempre a non perdere ciò
che stava accadendo nel raggio della sua visuale. Infatti, la
prerogativa di questo personaggio era l’infrenabile curiosità che
lo spingeva a ficcare il naso e mettere bocca su tutto ciò che gli
capitava a tiro.
Quando
io e la mia famiglia ci trasferimmo dallo Scioa al palazzo degli
inquilini della Cassa di Risparmio, ogni volta che uscivo di casa
subito gli occhi di Cannellone mi si piantavano addosso e non mi
abbandonavano fino all’angolo del Bar Centrale. Forse non capiva
perché camminavo un po’ claudicante e immagino quante e quali
ipotesi saranno state oggetto di discussioni tra lui e le sue
collaboratrici. Certo è che sentirsi osservati era dir poca cosa.
Capitava che se due o più persone discutevano di qualcosa fuori del
Bar Rossi o sull’ingresso della Cassa di Risparmio, lui prima li
osservava non togliendo loro gli occhi di dosso, poi pian piano si
avvicinava con l’ago infilato nel bavero della giacca e il metro di
stoffa al collo e si intrometteva nella discussione; alla fine voleva
aver ragione sempre lui su qualunque argomento si stesse discutendo.
Una cosa però era certa, detestava se qualcuno lo chiamava
“Cannellone” e si arrabbiava come una bestia, gli occhi gli
uscivano dalle orbite, diventava livido in volto e due grosse vene
gli si gonfiavano sulle tempie.
Un
anno ci furono le elezioni per “provveditore” al Circolo Cheli e
Cannellone, oltre che essere candidato, si era proposto per
scrutinare le schede dei Soci votanti. Iniziarono a spogliare le
schede e Cannellone che leggeva i nomi scritti sulle schede a un
certo punto si fermò, divento paonazzo, della scheda ne fece una
palla e con un gesto di stizza la gettò nel cestino; a quel punto
alcuni, fra cui Tonino di Meli, cominciarono a dire “che c’è
scritto ?... le schede non si possono gettare, semmai se non sono
valide si annullano… la scheda va letta…” alla fine Cannellone
dovette raccoglierla e con voce balbettante a leggerla: “speriamo
che il prossim’anno alle elezioni ci levino il Cannello dai cogl….”
Non finì di leggerla che ci fu una sonora risata di tutti i
presenti.
Più
Cannellone se la prendeva e più diventò oggetto di scherzi e
battute da parte di alcuni giovani samminiatesi e fu così che ebbe
inizio “l’operazione Cannellone”.
Ogni
martedì, quando a Samminiato c’era il mercato, immancabilmente
veniva un personaggio da Calenzano che tutti conoscevano come Beppe
di Calenzano. Era un tipo strano e non tanto sveglio con due occhi
persi nel vuoto; viaggiava sempre con una vecchia bicicletta a
bacchette e un cesto di vimini attaccato al manubrio. Uno di questi
martedì mattina incontrò alcuni giovani che gli chiesero “oh
Beppe… che fai stamani al mercato…?” e lui “mah… cercavo un
paio di mutande lunghe per l’inverno… a Calenzano d’inverno fa
freddo…ma un l’ho trovate…” i tre amici non persero
l’occasione per ideare uno scherzo: “ma perché non ti compri due
metri di stoffa di fustagno e te la fai cucire ?... così spendi
anche poco” “giusto” rispose Beppe “ma da chi me le fo cucire
le mutande ?” “guarda Beppe, un ci sono problemi… prendi la
stoffa e vai accanto alla Cassa di Risparmio… lì c’è un sarto,
bravo e ti fa spendere una bischerata… lui ti tratta bene” e Beppe
“o come si chiama?” e i tre “ Cannelloni… signor Cannelloni,
tu entri e gli dici: signor Cannelloni mi cucirebbe un paio di mutande
lunghe?” Beppe trovò i due metri di fustagno, li mise nel cesto di
vimini e si incamminò mentre i tre che lo seguivano a distanza, non
volendo perdersi la scena, si appostarono nei pressi della sartoria.
Con fare deciso Beppe entrò “signor Cannelloni mi potrebbe cucire
un paio di…” non finì la frase che si udì un grido “Fuori !
mascalzone… te e quelli che ti c’hanno mandato! Ma se so chi è
stato…” Beppe inforcò la bicicletta e se la dette mentre
Cannellone sulla porta con le forbici in mano scrutava tutti quelli
che si aggiravano nei dintorni cercando di carpire qualche indizio
sugli artefici del fattaccio.
Nel
Bar Rossi spesso si riunivano dei giovani in vena di scherzi e un
giorno organizzarono un tiro mancino al povero Cannellone che spesso
si recava nella toilette del Bar per necessità fisiologiche. I tre,
riuniti attorno a un tavolino, giocavano a carte ad un gioco
inesistente che avevano ideato loro: con un sette si prendeva un
cinque, con un fante si prendeva un Re e un asso, insomma non c’era
alcuna logica nel gioco. Puntuale arrivò Cannellone che si mise ad
osservare il gioco, guardava le carte di uno, poi di un altro
cercando di capire le regole del gioco, alla fine chiese “come si
chiama questo gioco?” e i tre, non distogliendo gli occhi dalle
carte, risposero “Tricche-Tracche”. Cannellone continuò a
seguire il gioco, poi vedendo la titubanza del giocatore che doveva
giocare gli disse “io fossi in te calerei l’Asso” Solo lui
aveva capito come funzionava il gioco, quindi come al solito si recò
nel bagno. Ma il bello doveva venire. Dal bagno usci un urlo
“Maledetti !” quindi ricomponendosi , ma rosso-violaceo in volto
e con gli occhi che balenavano sbatté con violenza sul bancone del
Bar sotto il naso di Lido Rossi il gestore, un cartello che era stato
appeso in precedenza nel bagno. Nel cartello c’era scritto “Chi
col dito il cul si netta tosto in bocca se lo metta, così resta ben
pulito Cannellone, culo e dito.”
Capitava
in estate che Cannellone avesse del lavoro arretrato che cercava di
terminare dopo cena nel suo laboratorio con la saracinesca calata a
metà per far passare un po’ d’aria. Una di quelle sere un’auto
si soffermò proprio davanti la sartoria e da l’auto fu lanciato un
pacco di pasta cannelloni all’interno del laboratorio: l’auto
ripartì a tutto gas, la saracinesca si sollevò in un attimo e
Cannellone che correndo cercava di inseguire gli autori del misfatto
con le forbici in mano.
Molti
sarebbero gli episodi da narrare sugli scherzi e i dispetti
perpetrati nei confronti del povero Cannellone che niente di male
aveva fatto, ma che col suo atteggiamento stuzzicava la bellicosa
intraprendenza della gioventù samminiatese.
San Miniato, Via IV Novembre nei pressi
di Palazzo Formichini, sede della Cassa di Risparmio
Foto di Francesco Fiumalbi
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