di
Giuseppe Chelli
Arrampicarsi
sugli specchi per tenere ancora desta la ballata dell'eccidio tedesco
del Duomo di San Miniato, avvenuto il 22 luglio 1944 (perché di
questo ora si tratta!), è uno sport ancora ampiamente praticato
dalla sinistra locale, sebbene da una decina di anni abbondante la
storiografia, la ricerca archivistica e la magistratura militare
italiana abbiano provato e sentenziato che il misfatto fu opera
dell'artiglieria americana.
I
fatti sono così noti che non è il caso di ripercorrerli se non per
quel tanto che può servire a rinfrescare la memoria.
La
mattina del 22 luglio 1944, i Tedeschi, chiedendo al Vescovo di farsi
loro portavoce, ordinarono alla popolazione di San Miniato di
riunirsi in due piazze e successivamente nelle chiese adiacenti: San
Domenico e il Duomo. Durante il cannoneggiamento della città un
proiettile delle artiglierie americane penetrò nella Cattedrale
uccidendo 55 persone e ferendone oltre un centinaio.
La
percezione soprattutto da parte dei rifugiati e di chi senza aver
assistito al cannoneggiamento americano raccolse il racconto dei
superstiti, fu che la strage non poteva che essere di matrice
tedesca, come ritorsione ai vari episodi di sangue accaduti nelle
campagne per mano dei partigiani a danno dei soldati tedeschi [1].
Agli
americani, arrivati il giorno dopo in città, non parve vero di non
essere loro gli indiziati e frettolosamente aprirono e chiusero due
inchieste attribuendo la piena responsabilità ai nemici. E
altrettanto frettolosa (anche se con tempi più lunghi) fu
l'inchiesta amministrativa voluta dal Sindaco Baglioni, le cui
conclusioni sono dal 1954 rese immortali sulla facciata del Municipio
nella lapide dettata da Luigi Russo [2].
Nonostante
che in questi 70 anni abbia avuto varie occasioni per avviare una
riflessione sulle diverse tesi dell'eccidio, l'Amministrazione
Comunale ha scelto di sostenere sempre la tesi della responsabilità
tedesca. Già nel 1954 all'indomani della posa della lapide, il
confronto tra Don Enrico Giannoni, testimone oculare del
cannoneggiamento della città la mattina del 22 luglio, e il sindaco
Prof. Concilio Salvadori, ci dice quanto la versione della
responsabilità tedesca fosse recepita e condivisa a livello
istituzionale. Interessante è ancora oggi rileggere il confronto
apparso sul giornale
Il
Mattinodi
Firenze l'8 agosto 1954, in cui il prete non teme di definire
l'epigrafe del Prof. Russo “un fatuo trionfo di una grossa
menzogna” rispondendo al Sindaco che ne difende il contenuto e la
scelta. “No!”, ribatte Salvadori, “Devi dire che è una di
quelle questioni che non si decide, che non si può decidere… Noi
abbiamo un documento di inchiesta comunale; non si poteva prescindere
da quello” [3].
Fu
piuttosto singolare, negli anni della guerra fredda, quando il
confronto tra PCI e DC era vivacissimo attorno alle scelte di
politica estera del Governo italiano, che il Partito Comunista,
benché avesse sposato in toto l'antimperialismo americano, si sia
sempre mostrato refrattario a riaprire il discorso sull'eccidio del
duomo che pur avrebbe portato molta acqua al mulino della scelta
antiamericana così popolare a sinistra.
Un'altra
occasione, per riflettere sulla complessità delle vicende storiche
ed umane di quei giorni del luglio 1944, si presentò nel 1982
all'uscita del film dei fratelli Taviani
La
notte di San Lorenzo,
opera accolta con trionfale adesione da tutta la sinistra
sanminiatese. E non poteva essere diversamente perché al di là
della interpretazione epica dei fatti (come si disse), la pellicola
ripropone la tesi della complicità nel delitto del Vescovo Giubbi, e
non solamente! Chi ha sotto gli occhi la scena tragica della donna
che trasporta la figlia morente e che rifiuta l'aiuto del Vescovo, a
cui poco prima ha donato il pane per l'Eucarestia, ripetendogli con
rabbia e disperazione: “Da sola… fo da sola… da sola…”,
avverte che non si tratta di legittima interpretazione da parte
dell'artista di un episodio, del resto mai avvenuto, ma piuttosto di
una ricostruzione politica dei fatti, sostenuta d'impeto da tutta la
propaganda social-comunista, fin dal dopoguerra.
I
due anniversari più celebrati, il quarantesimo e il cinquantesimo,
furono assolti dal Comune con un palese fastidio per via di una certa
pubblica opinione non più disposta ad accogliere supinamente la tesi
dell'eccidio tedesco [4].
La
pubblicazione del libro
Luglio
1944,
edito dal Comune nel 1984, si muove su questo filo conduttore, forse
per arginare quella ”voglia” di verità, frettolosamente
liquidata come “revisionismo”. “…Se essa (la granata)
provenisse dall'artiglieria alleata… o dall'artiglieria tedesca o
da ambedue… non riesco a vedere oggi l'importanza di questa
verità”
scrive
l'Assessore alla Cultura. “….I soldati nazisti costrinsero con la
forza la popolazione ad ammassarsi nella Cattedrale impedendo con le
minacce che ognuno scegliesse, in quei duri momenti, la via della
salvezza che riteneva più sicura” [5].
Vale a dire, insomma: la granata, sia pure americana, ma i tedeschi
hanno in ogni caso la responsabilità morale dell'eccidio!
L'ultima
occasione, prima degli avvenimenti del 2000, il Comune l'ebbe nella
ricorrenza del cinquantesimo, quando fu collocata nella cattedrale la
lapide commemorativa delle vittime per iniziativa dei familiari, cui
si associarono il Capitolo della Cattedrale, l'Arciconfraternita di
Misericordia e la Cittadinanza. Il Comune, pur invitato
esplicitamente, non accolse l'invito che per coerenza avrebbe dovuto
comportare la rimozione della lapide posta nel 1954 dalla facciata
del palazzo comunale. Il Comune scelse invece di ricordare il 50° in
solitario, con una stele sulla piazza del Duomo e con un Consiglio
comunale aperto. Anche in questa occasione non venne affrontato alcun
dibattito sui “fatti del Duomo”, pur in presenza da qualche anno
di una storiografia che rifiutava la tesi dell'eccidio premeditato e
avvalorava l'ipotesi di un “incidente” bellico compiuto dagli
americani [6].
Saranno
i primi anni del 2000 a spazzar via, faticosamente, l'omertà su una
vicenda che se fosse stata vissuta nella sua tragica verità avrebbe
risparmiato lacerazioni e faziosità ancora non risarcite. Il libro
di Paolo Paoletti:
1944
San Miniato - Tutta la verità sulla strage (Ed.
Mursia 2000), seguito l'anno dopo dall'opuscolo di Claudio Biscarini
e Luciano Lastraioli
La
Prova
(Ed.
FM 2001) dettero avvio a un dibattito serrato e appassionato che
coinvolse i media locali e nazionali, uomini della politica e della
cultura [7].
“Il gelido eccidio perpetrato dai tedeschi” che per cinquant'anni
campeggiava sulla facciata del Palazzo Comunale, divenne, di fatto,
un “falso storico".
A
chi è interessato a conoscere le vicende e i retroscena dei “fatti
del Duomo”, la lettura delle opere citate fornisce ampie e
dettagliate notizie per soddisfare qualsiasi curiosità e interesse.
Qui basta dire che uno dei 98 proiettile da 105 sparati dal 337°
Reggimento campale americano su San Miniato tra le 10 e le 10,30 del
22 luglio 1944 penetrò accidentalmente nella cattedrale attraverso
un semi-rosone del lato Sud e uccise 55 persone, ferendone un
centinaio.
A
completare il quadro degli avvenimenti dei primi anni del 2000
concorsero due fatti di altrettanta importanza: la sentenza di
archiviazione “sul
supposto crimine di guerra tedesco”,
emessa
dal Tribunale Militare di La Spezia nell'aprile del 2002 [8],
e la Commissione d'indagine istituita dalla Giunta Frosini che nel
2004 concluse i lavori affermando che la tesi acriticamente proposta
per anni della responsabilità tedesca è “una tesi che appare
insostenibile, tenuto conto del complesso della documentazione di cui
si dispone”[9].
La
vicenda dei “fatti del duomo” si può dire che storicamente
finisca qui; ma quella indagine, corroborata da documenti coevi
ritrovati e pubblicati [10],
ha svelato al tempo stesso uno scenario inquietante di fronte al
quale la sinistra sanminiatese invece di fare un atto di coraggio
ammettendo che sessant'anni prima fu compiuto un errore, diciamo
pure, dalle conseguenze morali, civili, culturali, disastrose e non
prevedibili, si è trincerata nella difesa di quell'errore,
inventandosi doppie verità, doppie lapidi, elaborazioni spontanee
del lutto, memorie fondative della nostra Repubblica, o dando sponda
ultimamente agli incubi senili di un ignoto Nino, raccolti in un
volume e raccontati nella lingua del più “stucchevole buonismo
ex-veltroniano” [10].
I
documenti a cui mi riferisco sono quelli ritrovati da Claudio
Biscarini [11]
e in particolare l'annotazione sul “Journal” del 337°
battaglione americano di artiglieria campale, responsabile del
cannoneggiamento su San Miniato la mattina del 22 luglio 1944. La
riporto in lingua originale per non destare sospetti di traduzione
addomesticata:
Message
from Lookout 2: Partisan report that yesterday sommeone shooting in
the vicinity of S. Miniato hit a church and killed 30 Italians and
wounded about a 100.Wounded are in hospital at 4699/5998, not be
fired upon. Town of S. Miniato is heavily mined and booby-trapped [12].
Che
dire, se non che i partigiani e
gli americani conobbero subito la verità?
E
allora è nel giusto chi sostiene che anche la lapide [13] posta
nel 2008, affiancando quella del 1954, non racconta la verità [14]:
non ci sono voluti sessant'anni per accertare che la responsabilità
di quell'eccidio fu degli alleati; dopo sessanta anni è saltato
fuori che sessanta anni prima si conosceva per filo e per segno chi
aveva compiuto quell'eccidio e chi aveva costruito l'ignobile
menzogna, cancellando la verità che avrebbe dovuto essere fatta
conoscere da parte di chi aveva l'obbligo civile e il dovere morale
di farlo.
“La
elaborazione spontanea del lutto” e tutte le altre espressioni ad
effetto inventate per giustificare e proteggere “le due verità”
(quella storica e quella politica) dagli assalti del revisionismo,
come dicono gli irriducibili, continuano, e chi sa fin quando, a
dividere la comunità sanminiatese, al di là della bella frase fatta
“che è tempo di ritrovarsi in una memoria condivisa”.
Le due lapidi sulla facciata del Municipio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
L'epigrafe commemorativa all'interno della Cattedrale
Foto di Giuseppe Chelli
Il monumento commemorativo in Piazza del Duomo
Foto di Francesco Fiumalbi
Note
e Riferimenti:
[1] M.
Fancelli, La
verità balistica e la verità politica,
in «Bollettino
Accademia degli Euteleti di San Miniato»,
n. 75, 2008, p.
38 : “Di
chi ,infatti doveva essere la colpa per le famiglie dei morti? Come
doveva costruirsi la memoria di quegli eventi? Quale altra percezione
era allora possibile? Spinti a raccogliersi in duomo….a chi
dovevano dare la colpa i sopravvissuti?...”.
L.
Paggi, Storia
di una memoria antifascista,
in L'Eccidio
del Duomo di San Miniato La Memoria e la Ricerca Storica,
Ed Bongi, a Cura del Comune di San Miniato 2004, p. 20:
“..L'idea
che le 55 vittime del 22 luglio possano essere la diretta
prosecuzione di quello stillicidio di morti causate dal
cannoneggiamento degli alleati, fattosi sempre più intenso in
ragione della loro avanzata, diventa così inaccettabile…”.
[2] P.
Paoletti, San
Miniato 1944- Tutta la verità sulla strage,
parte II,
Le Inchieste,
pp.
43-63.
[3] E.
Giannoni, La
Commemorazione a S. Miniato non ha tenuto conto della verità,
in Il
Mattino
di
Firenze,
8 agosto 1954:
“…A
conoscenza perfetta dell'Epigrafe volle il caso che io mi
incontrassi, il 1° agosto stesso, con l'amico (dai banchi della
scuola ) professore C. Salvadori, mentre chiedeva al Proposto di
benedire, alla cerimonia serale, la lapide in parola… Il colloquio,
presente monsignor Rossi, fu schietto: - Avremo, dunque, stasera, un
fatuo trionfo di una grossa menzogna! -. - No! Devi dire che è una
di quelle questioni che non si decide, che non si può decidere. - Ma
tu, invece, l'hai decisa. E l'hai decisa in modo perentorio e la
decisione l'hai scolpita nel marmo, anzi l'hai compilata nel bronzo.
Io non esigevo che tu la decidessi nel senso della mia tesi (pure
definitiva e patrimonio dei più). Potevi deciderla in modo che la
lapide commemorasse i morti e maledicesse la guerra, ma non in modo
unilaterale. - Ma noi abbiamo un documento di inchiesta comunale; non
si poteva prescindere da quello…”.
[4] H.
Kohler, San
Miniato - Morte nella Cattedrale,
Appendice Documentaria, giugno 1987, p. 154:
“…Con
le mie ricerche….quello che ho cercato di raggiungere è stato,
sine ira et studio, per un legame di simpatia per questa cittadina
tanto duramente colpita, un mio contributo per il chiarimento della
questione da parte tedesca. In verità mi sono messo a investigare
tra le documentazioni tedesche, in particolare dell'Archivio Militare
di Friburgo, con la speranza di trovare qualche indicazione concreta
sul corso dei fatti… Preferisco dire subito il risultato: la
speranza è stata delusa. Con il coraggio che ammette la possibilità
di un errore, penso di poter affermare: gli archivi tedeschi non
hanno nulla di utile per il chiarimento diretto dell'accaduto.”.
[5] M.
Marianelli, San
Miniato Luglio 1944,
a cura dell'Amministrazione Comunale di S. Miniato 1984,
Introduzione, pp. 8-9:
“….e
non riesco a vedere oggi l'importanza di questa
verità.
Penso,
invece, che sia possibile esprimere un giudizio sul comportamento dei
soldati nazisti, i quali trattarono la popolazione come gente nemica,
che si doveva avvilire, annullare, costringendola con la forza ad
ammassarsi nella cattedrale, rinchiudendovela ed impedendo con le
minacce che ognuno scegliesse, in quei duri momenti, la via della
salvezza…”.
[6] C.
Biscarini e G. Lastraioli, Arno-Stellung,
Bollettino
Storico Empolese,
§3.
A
sinistra dell'Elsa:
“….La
verità accertata è che, nella mattina del 22, San Miniato fu sotto
il fuoco degli obici americani. Nel diario del 349° fanteria (88°
divisione) non pochi messaggi confermano la circostanza: alle 10,57
l'osservatorio n.2 lamentava pessima visibilità e riferiva scarso
movimento di civili. Non mancava di segnalare che la propria
artiglieria aveva battuto il settore orientale della citta (Our Arty
east side of S. Miniato)… Nessun accenno, nel meticoloso giornale
reggimentale americano, a tiri di artiglieria tedesca su San
Miniato…. Lo sperone della Rocca di Federico II avrebbe comunque
impedito che eventuali tiri da nord o da nord-est andassero a cadere
sull'edificio della Cattedrale. Il 22 luglio l'artiglieria germanica
era piazzata sulla destra dell'Elsa, dall'ansa di Capocavallo a Ponte
a Elsa. Da lì non poteva certo infilare un colpo nel rosone del
braccio settentrionale del transetto, come allega la tesi
sterminazionalista…”.
[7] La
Nazione
di
Firenze,
Il Tirreno
di
Livorno, Libero,
Il
Corriere della Sera
e
Giornalisti: Dario Fertilio - Paolo Mieli - Andrea Colombo - Franco
Cardini. Politici Lamberto Dini - Senatore Turini - Riccardo Migliori
– Sen. Luvisotti - sottosegretario Alessandro Paiano. Christiane
Kohl “Der Himmel war strahlend blau” “……In
chiesa venne ritrovato un proiettile, dove era scritto in inglese
spoletta, di cui gli americani non facevano cenno nel rapporto
investigativo… la commissione… terminò velocemente i suoi
accertamenti…”;
Procura
Militare Della Repubblica presso il Tribunale Militare di La Spezia,
Decreto
di Archiviazione
n.262/96/R.Ignoti
del 20 aprile 2002 su Fatto commesso in San Miniato (PI) il 22 luglio
1944 Dispositivo “…
deve ragionevolmente ritenersi che l'ipotesi maggiormente preferibile
sia quella dell'incidente bellico, ovverosia del colpo di artiglieria
erroneamente caduto su un bersaglio civile e non militare…”.
[8] Eccidio
del Duomo di San Miniato - La Memoria e la Ricerca Storica (
1944-2004),
edito
a cura del Comune di San Miniato, Autori: P. Luigi Ballini – G.
Contini – C. Gentile - S. Moroni – L. Paggi, pp.139-140:“…
Nessun approfondimento e nessun confronto parve allora possibile. Ma
anche nel periodo successivo, dopo la morte di Stalin e la revisione
dei giudizi sullo stalinismo, in un diverso clima internazionale, con
i pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo VI, negli anni del
centro–sinistra, le diverse tesi sono state ripetute senza
significative varianti. Giornali, libri film hanno acriticamente
continuato a riproporre per anni, la tesi della responsabilità
tedesca; una tesi che appare insostenibile, tenuto conto del
complesso della documentazione di cui si dispone. Le schegge non
fanno curve.”.
[9] Si
tratta del libro dal titolo
Il
Valdarno Inferiore nel 1944
in
cui Nino Bini ripropone in tre capitoli (San
Miniato
I-
II-III) la tesi della responsabilità tedesca nell'eccidio del duomo
del 22 luglio 1944, asserendo di possedere perizie balistiche e
documenti tali da sconfessare le indagini dei periti di Paoletti e
quanto sostenuto ne
La
Prova
di
Biscarini-Lastraioli. A Bini hanno risposto per le rime Claudio
Biscarini e Giuliano Lastraioli in
Della
Storia di Empoli
in
data 26 settembre 2013 con i due articoli
Ci
risiamo
e
Zibaldone
o Ircocervo.
[10] I
documenti sono stati trovati da Claudio Biscarini al National
Archives & Record Service di Washington D.C ( U:S:A
referenza.388-FA 8337)-07; serie Italian Campaign-337th
FABn-88Inf.Div.-Journal 1944. Nel dossier c'è un modulo ciclostilato
e riempito il 22 luglio 1944. Si tratta dell'Ammunition Record
compilato a fine giornata dal comando del 337° battaglione di
artiglieria da campo dell'esercito statunitense. In due righe c'è
tutto sul misfatto del Duomo di San Miniato: “…22
luglio 1944, ore 10,30 - Bersaglio Mitragliatrice nemica - Fonte:
Osservatorio White - Batteria “A” - tiri 51 M48 Coordinate
4648/5950 Effetto: Buono.”
[11] C.
Biscarini
e G. Lastraioli, La
prova... cit.,
p. 8 “…
Al battaglione del 337° seppero della sciagura soltanto alle ore
22.10 del 23 luglio, quando al sottufficiale Johnson pervenne un
messaggio dall'osservatorio avanzato Lookout 2 dove alcuni partigiani
avevano riferito le prime notizie sulla strage. Il testo della
relativa annotazione sul Journal tradotto dice. “ Partigiani
riferiscono che ieri qualche tiro nei pressi di San Miniato ha
colpito una chiesa e ucciso 30 italiani, ferendone circa un
centinaio. I feriti sono all'ospedale nel punto carta 4699/5998 non
ci si deve sparare sopra. La città di San Miniato è stata
pesantemente minata e disseminata di trappole esplosive.”
[12] Giuseppe
Gori e Compagni
di
Delio Fiordispina, Inquadramento della Formazione Partigiana
comandata da Mori Fioravante, p. 138; “Baglioni
Prof .Emilio assunto nella Formazione il 1° Giugno 1944 come Addetto
al servizio di collegamento con le truppe alleate”.
Fu il primo Sindaco dopo la liberazione e istituì la Commissione
d'Inchiesta sull'eccidio conclusasi con la Relazione Giannattasio in
cui viene attribuita ai Tedeschi la responsabilità materiale
dell'eccidio.
[13] La
lapide posta nel 2008 a correzione della precedente del 1954 è stata
dettata da Oscar Luigi Scalfaro e voluta dal Ministero degli Interni.
Giornale
La
Nazione
(senza
data)
“…..È
il ministero dell'Interno, nella persona del sottosegretario
Alessandro Pajano, a pronunciarsi rispondendo ad una interrogazione
dell'on. Riccardo Migliori. Pajano afferma che alla lapide che
attribuiva l'eccidio ai tedeschi ne va affiancata un'altra che invece
ne addossa la responsabilità agli americani…”:
“Sono
passati più di 60 anni dallo spaventoso eccidio del 22 Luglio 1944
attribuito ai Tedeschi. La ricerca storica ha accertato invece che la
responsabilità di quell'eccidio è delle forze alleate. La verità
deve essere rispettata e dichiarata sempre…”.
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