di Giancarlo Pertici
LA
VITA DEL SEMINARISTA - QUARTA PARTE
Non
di solo pane vive l'uomo
San
Miniato vissuta tra le mura del Seminario
Parte
Quarta..… “non di solo pane vive l’uomo…” …. pura
strategia fu…
A
fine anni '50 c'era una fame genuina alla quale cercavamo di porre
rimedio, non solo con strategie degne di guerra fredda, con azioni
diversive e con giochi di prestigio, ma anche con la pazienza…
ultima risorsa di chi non ha altro da mettere sotto i denti… e la
fame restava. Poi c'era un'altra fame alla quale le strategie, i
giochi di prestigio e la pazienza nulla potevano. Fame che rimase
insoddisfatta per molti, per i più, per coloro che seppero resistere
fino alla fine, per coloro che non si arresero strada facendo, per
coloro che seppero farne tesoro ..La LIBERTA’. Libertà personale
legata alle decisioni anche più intime, alle scelte elementari del
quotidiano per.. fare…negare… affermare. Mi stupì l’innaturale
periodo di appena 5 giorni a cavallo tra l'ultimo dell'anno e
l'Epifania quale periodo natalizio da vivere in famiglia, alla quale
rimaneva il solo mese di Luglio … e legato a specifici permessi per
qualsiasi tipo di “evasione”.
Se
col passare degli anni si affievolisce il ricordo dello scorrere
della giornata, …dei nomi, …delle fisionomie… con frammenti
sparsi….. vivo è rimasto il Ricordo del PASTO … di qualche
chicca imperdibile, impensabile, talmente fantasiosa da sembrare
frutto dell’immaginazione…assieme al ricordo di alcune pacifiche
“evasioni”.….
Ricordo
che qualsiasi pasto era .. scarso e.. insipido come (vado a memoria)
la rivistina sulla vita del Seminarista recitava, giusto all'ora del
pranzo “Ma questo mangiamento …ngiamento, è senza punto
condimento …ndimento, e anche se 'un si dice è tutto un
arrangiamento e a chi va male è sempre il reggimento. E' verooo, E'
verooo”. Rivistina datata 1961/1962 che fu provata anche
ufficialmente alla presenza del Rettore, del Vicerettore,
dell'Economo e di Mons. Simoncini preside. Il risultato si leggeva
nei loro volti… cianotici per il gran ridere. Ma non se ne fece
nulla, la rivistina non fu mai messa in scena …. Era scomparso un
pacchetto di sigarette dalla camera di Don Cheti, l'economo.
Occasione persa.
Ho
ancora presente il refettorio arredato con due grandi tavoli centrali
.. oltre 100 i seminaristi, oltre ai tavoloni fissi allineati alle
pareti. Una volta a tavola con l'aiuto dei prefetti di ogni camerata
due inservienti distribuivano i pasti. Figure caratteristiche del
Seminario. Cesare, che ben conoscevo perché cugino di mia madre….
spesso alticcio… andava a vino e Lanciotto, originario di Spicchio,
era impossibile scordarselo visto che te lo ripeteva ogni giorno, il
quale mentre mesceva la minestra nel piatto, sospirando esclamava
“Come faremo a morì che'un siamo avvezzi??!”. La distribuzione
iniziava dai più piccoli, poi passava ai grandi, poi ai mezzani e
per finire ai mezz'anelli, seconda e terza media, che regolarmente
dovevano accontentarsi degli avanzi, se c'erano. Era il periodo della
POA (Pontificia Opera Assistenza) che elargiva i resti del Piano
Marshall che aveva alimentato l'Italia affamata dell’immediato dopo
guerra. Resti che tardivamente arrivavano per vie traverse anche al
Seminario ma restavano spesso lasciati da parte “in caso di
bisogno”.
Mi
ricordo perfettamente quel giorno a pranzo. C'è lo spezzatino,
ovvero lesso rifatto cotto e ricotto dal sapore indefinibile, come al
solito e per contorno patate fritte. Arrivano i vassoi colmi di
patate fritte, calde e profumate, le guardiamo passare di tavolo in
tavolo, prima i piccoli poi i grandi… quando arriva l'ultimo
vassoio basta appena per completare la camerata dei mezzani. Per noi
mezz'anelli non ce n'è… ci siamo quasi abituati. Ma questa volta
il nostro Vice Prefetto Giampiero si leva di brutto, stanco delle
continue mortificazioni si avvicina all'ascensore delle vivande e
lancia un disperato grido di protesta rivolto alle suore, per la
verità incolpevoli: “Mi avete…r...” Anche questa volta
riescono a rimediare comunque per la camerata dei mezzanelli un
contorno di scorta, la solita insalata al naturale, senza olio e
senza aceto. Ma per Giampiero reo di aver proferito parole gravemente
offensive contro le suore, questa volta c'è la minaccia di… come
definirla? .. “squalifica?” che rientra.
Giampiero
che ha appena festeggiato i 50 anni di sacerdozio nella sua Cigoli.
Ma ricordo ancora con affetto la figura di Don Benvenuti nell'anno
che subentrò a Don Soldani nell'incarico di Vice Rettore. Era una
sera di inizio estate. Dopo una minestra di verdure lunga, lunga,
lunga che funzionava solo per poterci affogare del pane arriva il
secondo. Questa volta è arista a fette. Fette sottilissime ma dallo
strano aroma inconfondibile di carne putrescente, immangiabile.
L'intervento immediato di Don Benvenuti che riesce a penetrare nella
dispensa, le cui chiavi sembra siano in possesso solo dell'economo,
…per vassoi colmi di formaggini.. Li ricordo sempre nella stagnola
color alluminio… possiamo prenderne a volontà. Non ricordo quanti
riuscii ad averne, Giampiero non ce li dava a caso. Come dimenticare
la sgradita sorpresa di quei formaggini completamente ricoperti
all’interno di muffa. Era un tempo in cui non c'era la scadenza
sulle confezioni… ma quei formaggini erano scaduti da tanti mesi.
Non ricordo neppure quale fu il rimedio.
Forse
era il 1961 quando per eredità il podere sottostante fu lasciato al
Seminario, anni quelli famosi per i Carciofi Samminiatesi ma anche
per l'insalata “indivia o scarola” che invadeva tutta l'Italia. E
proprio di scarola erano piene le terrazze in cui era suddiviso quel
piccolo podere. Continuammo a mangiare solo insalata quando questa
era già spighita e a seme da molte settimane. Ma nel podere c'erano
lungo i filari delle viti molti meli selvatici capaci di mele piccole
ed aspre, buone solo per i maiali….. la nostra dose quotidiana di
frutta per settimane fino a quella mattina, fino al miracolo
inatteso. Siamo appena arrivati a scuola e uno dei Grandi si affaccia
alla finestra che da sul dietro verso Gargozzi, e inizia a gridare
“Miracolo!!! Miracolo!!! Miracolo!!” per attirare l'attenzione,
mentre indica un albero proprio a ridosso del muro di cinta. E'
avvenuto un fatto inspiegabile, un Miracolo – Una Cascia carica di
mele, ma tante mele, in ogni dove, sui rami, sul tronco, addirittura
anche appese per un filo, altre addirittura sulle barbe… un vero
miracolo. La faccia costernata ed arrabbiata del Rettore, del Vice
rettore ed anche dell'Economo alla ricerca dei colpevoli resta un
ricordo tutt'oggi incancellabile. I responsabili solo ipotizzati ma
mai individuati, mentre vengono precettati tutti i 'grandi' per
ripulire la cascia, e agli stessi per punizione …niente partita:
ovvero un tempo registrato di una partita di serie A che veniva
trasmesso la domenica alle ore 19 dalla Rai.
Il
Primo Maggio era una festa che offriva sempre la possibilità di
levarsi più voglie, quasi sempre una gara a chi arrivava per primo.
Il ricordo è nitido, anche il percorso con la tabella di marcia. La
mia è la camerata dei mezzani, Santucci e Neri rispettivamente
prefetto e viceprefetto. Nessun impegno liturgico ed un pomeriggio
interamente libero. Si tratta solo di partire in orario alle 16 per
un rientro previsto verso le ore 19. Quasi tutti hanno in mente lo
stesso obiettivo anche se nessuno osa pronunciare quel nome: Marzana.
A distanza di anni non ricordo la fisionomia e neppure il nome di
quel prete, ma ricordo con stupore vero la prima volta a Marzana
appena il primo maggio del '59 con tanta fame arretrata. Il prete lì
ad aspettarci sorridente e felice di vederci. Lo stupore legato a
quella tavola imbandita da vassoi ricolmi di prosciutto e salame
appena tagliato, e il prosciutto in bella mostra pronto per essere
affettato ancora. E pane a volontà. Vino per i più grandi e
bottiglie di gassosa per i più piccoli... quasi un sogno.
Quando
alle 16 suona la campana ad annunciare la libera uscita ci ritroviamo
lungo il crinale diretti alla valle di Gargozzi pronti a tagliare in
San Maiano per dirigersi verso la collina di Marzana alla prima
deviazione a destra. Diretti a quella piccola pista appena segnata
che lungo la linea del bosco conduce fino al pianoro dove c'è la
chiesa.. Il sole è particolarmente caldo, ma la passione e la voglia
di arrivare non ci fanno sentire né la sete né la fatica del passo
svelto. Ci ritroviamo tutti assieme a cantare quei canti imparati in
montagna a Prataccio durante i campi estivi, ci aiutano a cadenzare
il passo e ci tengono compagnia. Arriviamo facile in fondo alla
vallata, poi Via Gargozzi, quindi quel pezzo di Via San Maiano giusto
all'altezza della collinetta di Marzana. Inconfondibile con i suoi
cipressi secolari a fare da cornice alla piazza e alla chiesa. Salita
facile e veloce… mentre in lontananza, quando siamo sulla vetta,
scorgiamo un gruppetto, tutti vestiti di nero, è la camerata dei
Grandi destinati al secondo posto. Arrivano appena pochi minuti dopo
di noi, ma non vengono rispediti indietro. Il prete si rimette a
tagliare prosciutto. Tutti assieme tra canti, vino e gassose facciamo
il pieno …. destinato a durare, anche nei ricordi.
Durante
l'anno c'erano poi dei momenti sospirati anche se rari come quello
della partita di calcio al campo sportivo di Santa Maria a Fortino.
Non ricordo esattamente il giorno concordato con il Gallo custode del
campo, quello libero dagli impegni della squadra locale. Verso i
14/15 anni anch'io ho spesso preso parte a quelle memorabili partite,
noi che giocavamo in un fazzoletto di sassi e macerie. Tutto filò
liscio fino al giorno in cui trovammo il campo occupato dalla squadra
locale in allenamento. Invece della partita tra “preti” fu
improvvisata una partitella tra la squadra del San Miniato e quella
del Seminario, solo un tempo e neppure intero. Ma la sorpresa fu la
vittoria dei preti, non ricordo il punteggio, ma il disappunto e le
proteste dei calciatori samminiatesi per le tonache dei preti … con
esse stoppavano la palla e se la portavano avanti… Vittoria
memorabile.
A
volte erano gli eventi imprevisti a riscaldare un ambiente freddo e
monotono. Non ricordo l'anno, ma probabilmente è il 1960 nel mese di
novembre quando una improvvisa e abbondante nevicata ricopre tutta
San Miniato. Impossibile uscire, alcuni insegnati non possono neppure
salire a San Miniato, la scuola rimane chiusa. Ci viene dato
inaspettatamente il permesso di giocare sulla neve. Ad inizio è un
gioco innocente a costruire pupazzi di neve, chi lo fa più bello.
Poi qualcuno suggerisce un gioco più competitivo e cominciano a
volare le prime pallate di neve. Mi ritrovo a far parte di una
squadra in lotta contro un'altra, ognuna composta da due camerate:
Grandi e Piccoli insieme, Mezzanelli e Mezzani insieme (almeno così
mi pare di ricordare). E’ appena iniziato il pomeriggio dopo aver
pranzato, nel momento in cui è assente sia il Rettore che il
ViceRettore. La battaglia, perché di questo si tratta, a colpi di
pallate di neve inizia nei cortili fino ad esaurimento delle
munizioni disponibili. Qualcuno si rifugia all'interno mentre un
gruppetto prende d'assalto la terrazza dove si è accumulata una
notevole quantità di neve ancora intatta. Le finestre aperte per
evitare rotture di vetri incuranti della brezza sferzante che penetra
dappertutto e il corridoio centrale che si trasforma in poco tempo in
una pozza maleodorante di neve frammista a mota. Impossibile reggersi
in piedi. Il clima è quello di una grande festa che si spegne
all'improvviso con l'arrivo del Rettore. Il suo solito piglio serioso
decreta la fine dei giochi, senza bisogno di parole. E noi obbligati
con ramazza, segatura e stracci a ripulire non solo quel corridoio ma
anche tutte le scale impiastricciate da neve e mota … nel più
assoluto silenzio… in fretta... col sorriso sulle labbra. E'
l’euforia di un evento inatteso che ci ha reso, anche se per poco,
il senso della libertà anche se il costo ci sarà comunicato solo
domani sotto forma di punizione.
Ma
i ricordi più vivi restano quelli legati allo stomaco… a quando
non avevamo nulla per farlo tacere. Così era ogni venerdì iniziando
già dal mattino in attesa di andare a tavola per una giornata di
“vigilia” che si preannunciava sempre e noiosamente identica da
…. forse da oltre un secolo. A pranzo immancabilmente c'era
Minestra di verdura anche abbondante se volevamo. Mi ricordo con
terrore il secondo, … pochi grammi di baccalà o mezzo filetto di
qualche pesce d'Arno con contorno di fagioli o di ceci. Spesso io
riuscivo a completare il menù con l'aggiunta di un'aringa, riserva
personale, che tenevo in tasca fino all'ultimo momento per evitare
confische da parte del Rettore. Indimenticabile per chiunque abbia
trascorso anche pochi mesi in quel seminario il menù della cena, al
di là di ogni possibile fantasia, ad illustrare adeguatamente la
“linea perfetta” di ogni seminarista di quel periodo … nessuno
che potesse definirsi “obeso”. Il Menù, una vera chicca di
fantasia e di crudeltà, non oso immaginare le calorie erogate. Per
primo Minestra in brodo vegetale, a base soprattutto di zucchini che
galleggiavano in pochi esemplari elargiti con cautela in ogni piatto.
Quegli Zucchini che sembravano volerci provocare ed invitare ad una
improbabile partita a Dama fra compagni di ventura. “Movi te o movo
io?” – era la battuta più ovvia e ripetuta, ad intercalare altre
battute spontanee, prima di calare il cucchiaio nel piatto. Con il
pane riuscivamo a farne una zuppetta quasi commestibile. Ma il bello
doveva arrivare immutabile... il Secondo ….che sarebbe meglio
definire ultimo per fantasia e per qualità. In un piatto dalle
normali dimensioni venivano sistemati giusto in un angolo per far
posto anche al contorno la bellezza di UNA acciuga e MEZZO ….. quel
mezzo poteva a scelta essere coda o testa. Ma certo era giorno di
vigilia! (Cosa volevamo di più per una retta di appena 7 mila lire
al mese, quando un operaio non sempre arrivava a 30 mila lire?). Per
contorno patate lesse e per condire … sui tavoli in abbondanza
delle bottiglie di litro, beccuccio da correzioni, piene di… aceto
scrupolosamente annacquato al 50%.
Credevo
che il venerdì fosse l'ultima spiaggia e che dopo tale prova niente
ci potesse far paura. Ma mi sbagliavo perché dovevo arrivare a quel
fatidico mese di Settembre quando ancora il Seminario era chiuso,
mentre alcuni dovevano sostenere gli esami di riparazione. Io ero tra
quei fortunati e neppure pochi, in un clima di semi libertà dove
tutto sembrava consentito, salvo fare i conti con il rancio. La prima
sera a cena ricordo perfettamente, oltre alla minestrina in brodo,
per ciascuno una fetta e mezzo di Mortadella, il cui colore
innaturale faceva presumere sapori ed ingredienti strani. Solo per i
morsi della fame riuscii a mangiare mortadella e insalata
accompagnandola con diverse fette di pane. E così la seconda, e poi
la terza sera mentre la fame arretrata aumentava ed esigeva qualche
stratagemma, o comunque risorse extra che non c'erano in quel
momento. Quando dopo cena nel giocare a Monopoli facemmo caso a quei
piccioni che scalpicciavano giusto nella soffitta sovrastante…
potevamo udire anche il caratteristico loro tubare nel silenzio della
sera. Fu quasi un lampo, un colpo di fulmine, un'ispirazione
improvvisa che coinvolse tutti, tutti noi presenti… “o se dessimo
la caccia a questi piccioni?” fu la proposta che venne in
simultanea da più voci. E così fu! Iniziò la caccia al piccione,
senza strumenti e senza conoscenza.
La
caccia comincia all’ora in cui ci si dovrebbe ritirare nelle
propria camera. E' quello il momento adatto anche se denso di
pericoli e di imprevisti. La via d'accesso alla soffitta tramite una
botola nel soffitto di uno dei cessi e, grazie ad una scala di legno
sempre pronta per sbloccare i vecchi sciacquoni di ghisa, mi isso su,
ma non sono il primo e sfrutto, al buio, i suggerimenti di chi mi ha
preceduto. “Attenti a camminare solo sui cordoli, la soffitta non è
praticabile” – “I piccioni sono sul covo davanti alle feritoie
aperte sul dietro, verso Gargozzi”. Con la “bugia” in bocca e
una balla in mano procedo carponi per non sbattere nel basso
soffitto, lungo l’intera lunghezza della nostra camerata. Per
passare nella zona sopra lo studio mi devo spostare al centro della
soffitta, attento a calpestare sempre il cordolo… le tabelle sono
ricoperte appena da un velo di malta senza armatura. Oltrepassato lo
studio, senza trovare traccia di piccioni (scoprirò solo dopo che
coloro che mi hanno preceduto hanno fatto piazza pulita), mi ritrovo
davanti alla particolare soffitta della zona Biblioteca. Nessuno ci
si è avventurato sopra quella volta sostenuta da quattro cordoli in
laterizio armato che suddividono la volta stessa in quattro spicchi,
mentre dall’interno della Biblioteca la volta è ornata da un unico
affresco. Pila serrata in bocca e sacco a portata di mano mi addentro
a quattro zampe attorno alla base della volta fino alle feritoie
aperte sulla valle. E proprio lì davanti a me quattro piccioni in
cova abbagliati dal fascio di luce della mia “bugia” con la
complicità di una notte senza luna, … sembrano attendere. E’
solo un momento di smarrimento, dopo i timori del percorso..
superati… l'incognita della caccia vera e propria mi si presenta
sotto forma di paura allo stato puro, la paura della rivolta, del
fallimento. E' tremando tutto che allungo titubante la mano verso il
primo covo, … palmo aperto all'altezza del dorso, pronto a
catturare la “preda” prima che possa aprire le ali verso la fuga.
E' solo un momento che si consuma nel silenzio più assoluto, nel
lieve brivido che sembra scuotere il piccione accompagnato da un suo
sommesso richiamo… avviso agli altri piccioni? E' questo il mio
dubbio. Ma tutto si svolge con identiche modalità e stesse reazioni
da parte dei piccioni in cova. In due covi addirittura dei
piccioncini che ancora non hanno spiccato il volo. E' stata una buona
caccia mi ripeto mentre faccio il percorso inverso guidato dal
bagliore della luce che penetra dalla botola. Il giorno dopo proprio
allo scoccare di mezzogiorno mi metto di vedetta in una cameretta
vuota, la finestra socchiusa, in attesa di Maurizia, mia sorella. E'
l'ora che ritorna a casa, lei che va dalla Turini ad imparare ad
aggiuntare. Quando la vedo sbucare dall'arco della porta Toppariorum,
il sacco in spalla, scendo veloce le scale diretto alla porta
d'ingresso giusto nel momento che Maurizia transita proprio di
fronte. Un cenno d'intesa mentre le consegno il sacco “Digli a
mamma che ce li faccia fritti, fame ce n'è tanta” – questo il
messaggio verbale che accompagna questi piccioni al loro destino.
Probabilmente avrebbero fatto una migliore riuscita se lessati, ma la
mia mamma volle fino in fondo assecondare il mio desiderio. Aveva
ragione erano proprio duri, ma la fame… erano squisiti!!
E
la stessa impressione me l'ha testimoniata pochi giorni fa la Ciarini
(non ricordo il nome) che faceva la parrucchiera, sorella di Armando
che aveva sposato un Capecchi, quando l'ho incontrata dal Cantini per
un Caffè. E' stata lei a entrare in argomento, “Mi ricordo sempre
di quella volta che ero a casa dalla tua mamma per fargli i capelli,
quando arrivò la tua sorella con un balla di piccioni da fare fritti
… era fame vera quella”. Si ricordava bene… era fame vera
quella.
Andrea
del Castagno, Ultima cena
Firenze,
ex-convento di Santa Apollonia
Utilizzo
ai sensi dell'art. 70 comma 1-bis
della
Legge n. 633 del 22 aprile 1941
e
successive modificazioni
Immagine
tratta da Wikipedia – Cenacolo di Sant'Apollonia
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