venerdì 23 maggio 2014

BEPPE IL FERROVIERE - Racconto di Alberto Vincenti


di Alberto Vincenti

All'ultimo piano della casa in Via P.Maioli accanto all'odierna Casa Romagnoli, dove un tempo abitavano le sorelle Picchi, ci stava BEPPE IL FERROVIERE
Beppe il Ferroviere, sua moglie e la figlia, che non riusciva a trovare marito, vivevano al secondo piano a tetto vicino alla piazzetta di Pancole. Lui era ferroviere e la sua mansione era di strappare i biglietti ai viaggiatori. Andava sempre vestito con la divisa da ferroviere sia nei giorni di lavoro che la Domenica e con i suoi baffetti, la così detta “mosca” sotto il naso, sembrava più che un impiegato delle Ferrovie un reduce della guerra 15-18. 
Dalla mattina presto fino a una cert’ora i biglietti li bucava tutti, ma da dopo pranzo in poi erano più i biglietti che non forava di quelli che controllava. Il pranzo accompagnato da un paio di quartini di vino e il dondolio del treno cominciavano a fare il loro effetto, sicché quando il treno accelerato faceva la sua prima fermata alla stazione de La Rotta e il Capo Stazione gridava “a La Rotta si cambia”, Beppe scendeva, andava al barrettino della Stazione, si faceva un bicchierotto di vino rosso e aspettava il treno da Pisa che lo riportava alla Stazione di San Miniato.
Verso l’ora di pranzo sua moglie si affacciava alla finestra aspettando di vedere comparire Beppe in fondo alla strada per decidere quando buttare la pasta. Puntuale, all’una e un quarto, spuntava Beppe dall’angolo del Bellorino con il cappello da ferroviere sulla ventitré, la giacca che pendolava dalla spalla sinistra e a mano a mano che avanzava verso casa la strusciava lungo i muri della strada. Allora la moglie sussurrava “è digià brillo” e andava a buttare la pasta.
Lui saliva le scale, due scalini avanti e uno indietro e per un po’ tutto silenzio, ma prima che il pranzo finisse si sentiva all’improvviso un fracasso di piatti che volavano, cazzoti sul tavolo e bicchieri che si frantumavano per terra. Allora Beppe, dopo un altro bicchierotto di rosso, usciva di casa, con l’aria di quello che si è liberato da un peso, e con il cappello in capo sull’altro lato della ventitré e la giacca penzoloni sulla spalla destra, si voltava verso la finestra di casa, dove dietro la persiana c’era la moglie e la figlia, e ammiccando verso di loro con il braccio teso a mo’ di saluto fascista, esclamava: “stasera quando torno si fa i conti” e con incedere indeciso e traballante tornava al suo treno accelerato che lo portava a La Rotta.



San Miniato, via P. Maioli - Sciòa
Foto di Francesco Fiumalbi


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