venerdì 23 maggio 2014

PIETRONE - Racconto di Alberto Vincenti


di Alberto Vincenti

Proprio prima di arrivare in piazza S. Caterina nell'immediato dopoguerra c'era un piccolo Bar dove si vendeva di tutto gestito da PIETRONE Pietrone era un omaccione non grosso, ma enorme, dal viso largo bianco e rosso col doppio mento, due occhietti furbi e col sorriso beffardo sempre stampato sul volto. Aveva una botteghina dove c’era di tutto; salumi, verdure, frutta, una macchina Cimbali per il caffè, bibite e persino le palline di terracotta e i “bori” con le quali noi ragazzi andavamo a giocare a “cappe” sotto il ponte. Quel che un tempo era stata la roccaforte del Barone dei Mangiadori, che comandò la cavalleria fiorentina nella battaglia di Campaldino, ora era diventata la casa doganale di Pietrone; chi infatti passava di li per fare la spesa o comprare dei biscotti o delle arance da portare ai parenti o amici ricoverati all’ospedale, doveva pagare il dazio. Infatti, da lui tutto si pagava più caro; se andavi a bere un’aranciata da Pietro di Bulleri in pazza Buonaparte magari la pagavi 100 lire, da Pietrone 120 e se gli domandavi come mai lui la faceva più cara ti rispondeva con un sorrisino: “sa assai in do’ le piglia lui l’aranciate…un son mia bone come le mie…”. Guai poi a far la spesa da lui e lasciare il chiodo, alla fine del mese ti ritrovavi un conto “rivisto e corretto” come se tu avessi avuto sempre a pranzo e a cena un affamato reduce dai campi di sterminio. Pietrone era stato uno dei primi a San Miniato a mettere la televisione e quando nel 1958 ci furono i mondiali di calcio, il suo barrettino si riempiva fino all’inverosimile; gente accatastata sulle sedie, in piedi, fuori della porta con la testa infilata in bottega, il fumo delle sigarette che usciva dalla porta in una nuvola gigantesca, mentre tutti urlavano facendo il tifo per il Brasile di Pelé, tranne uno: il Cucchi che in piedi sulle sue stampelle da buon comunista fischiava il Brasile perché venivano dall’America e faceva il tifo per la Svezia per la sola ragione che confinava con la Russia. In estate Pietrone annaffiava davanti la bottega e con una scopa di saggina spazzava la strada e poi si spazzolava la scopa sulle scarpe, quindi si metteva seduto su una sedia fuori della bottega con una gamba distesa su uno sgabello di legno salutando i passanti e in attesa del primo cliente da spennare. Un giorno vedendo arrivare la cinquecento di Cassata, che era il direttore dell’ufficio del Registro, Pietrone si alzò in piedi facendo segno di via libera con la mano a quel cinquino che avanzava a singhiozzo, e diceva: “venga venga dottore…venga venga…”. Il dottore non lo degnò nemmeno di uno sguardo anche quando gli passò davanti, ma Pietrone continuava: “dottore…dottore” sventolando la mano e continuava a salutarlo anche quando era passato, “dottore….dottore…” ma appena la cinquecento scomparve dietro l’angolo del Migliorati, Pietrone ritornò a sedersi mormorando: “nato d’un cane te e chi ti c’ha portato…”.

San Miniato, via P. Bagnoli e Piazza XX Settembre
Foto di Francesco Fiumalbi


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