di Giancarlo Pertici
LO SCIOA - Il tessuto commerciale e artigiano, e non solo, del
dopoguerra.
Partendo da Poggighisi che si immetteva al mondo per la Porta di
Giano, o di San Benedetto, e da Piazza dell’Ospedale o di Santa Caterina, come
chiamata da molti samminiatesi, si incontravano le prime “botteghe” lungo la
Via Pietro Bagnoli.
Sulla destra, giusto ad angolo con la “ragnaia” del Migliorati, si
incontrava l’Appalto del Giorgi che con i sui 2/3 tavolini all’interno durante
il giorno, ma anche la sera, ospitava i consueti giocatori di carte. E il mi’
nonno Nuti, ogni sera mi portava a letto il risultato delle sue giocate: un
cavalluccio o delle caramelle di orzo o di menta: lui preferiva quelle
all’anice, che io odiavo. Proprio di fronte la bottega di “commestibili” di Pietro
il Menichetti, che vendeva di tutto: dalla stagna di Benzina per i pochi che
avevano un motore, alla “siringa” per iniezioni di vetro, alla confezione di
cachet, al chilo di pasta. Insomma di tutto, proprio tutto dallo spillo al
cannone e.. tutto a credito: si paga a fine mese. L’orario di apertura variava
dall’inverno all’estate: si apriva che era sempre buio e si chiudeva sempre
verso mezzanotte. Tutto dipendeva,fino ai primi anni 50, dai giocatori di
carte, ma soprattutto, dopo il 54, dalle trasmissioni del Primo Canale TV quali
“Lascia o Raddoppia” e “Il Musichiere”. Dal lato destro il Dainelli per tutte
le massaie gestiva una merceria che è rimasta aperta e funzionante, a cura del
subentrato figlio Gino, fino agli anni 70/80. Mi ricordo ancora poco più che
adolescente, quando mia madre mi portò dal Dainelli per prendermi le misure per
il mio primo vestito intero: Principe di Galles. Oltre la casa del Cecconi,
ciabattino in un sottoscala successivo, si apriva la“mescita” di Olimpia. Con
Olimpia oramai vecchia e con gli scaffali vuoti di tutto la mescita viveva
giusto della rivendita di qualche quartino di vino o di un sacchetto di
carbone. Da bambini, se mandati da Olimpia per prendere un quartino di vino,
Olimpia ci mandava da Pietro a comprarne un fiasco, per poterci dare il
quartino richiesto. Con la scomparsa di Olimpia, anche il Giorgi cedette
l’attività a Mandolino e Italia che continuarono l’esercizio di mescita e di
appaltino nel negozio già di Olimpia.
Prima di giungere all’altezza della casa Presenti, ogni bambino
doveva superare un ostacolo, ovvero una prova di coraggio, che … per non
correre rischi affrontavamo di corsa .. per superare l’ostacolo Tofani. Il
Tofani, falegname da sempre, aveva il suo laboratorio tra “Centolire” e casa
Frosini, con lo sporto sempre spalancato anche d’inverno, sempre attento al
passaggio di qualche bambino che si divertiva a spaventare ringhiandogli
contro: strette tra i denti, le nocche ripiegate dell’indice della mano destra
“Grrrr...Grrr…Grrr…Grr”. Gesto che per il Tofani era un gioco ma per tanti
bambini rappresentava l’incubo quotidiano da affrontare. Tutt’altra pasta il
Parrini, falegname in piazzetta di Pancole, la cui presenza era addirittura
ignorata da noi bambini.
Due figure non sfuggivano comunque alla nostra attenzione, anche
se senza bottega nei pressi: lo “scalpellino” Pantani che lo si poteva
incontrare in tutta San Miniato intento a scalpellare le vecchie pietre per
riportarle a nuovo e che abitava all’ultimo piano della Casa Del Campana
Guazzesi, che nel lato fronte strada era usato per civili abitazioni – e
l’arrotino che abitava giusto tra l’appalto del Giorgi e la merceria del
Dainelli.
Passato Pancole si incontrava subito Moderino, ciabattino, sordo
come una campana, che aggiustava scarpe in un bugigattolo stretto e lungo di
proprietà delle monache di San Paolo. Proprio di fronte, in uno dei fabbricati
più antichi di San Miniato, già tempio del Dio Pan, il forno di Nello emanava i
suoi profumi intensi soprattutto la mattina presto. Per noi bambini delle
elementari era la prima sosta della mattina, quando ci si poteva permettere,
per un pezzo di schiacciata o anche di pizza; ma così calda e profumata non
arrivava mai all’ora di merenda. Per le nostre mamme era un’opportunità
soprattutto nei giorni festivi quando si ammazzava il “conigliolo” e lo si
portava a cuocere con le patate nel forno. Nei primi anni 50 in casa c’era un
fornello a carbone, il primo fornello a gas, marca “Flamma” marcata in rosso
vivo, arrivò quando cominciai ad andare a scuola. Pochi metri più avanti
l’alimentari dello stesso Nello, con i sui scaffali e le sue cassette in legno
estraibili piene di ogni sorta di pasta sciolta che si comprava a peso.
Nell’angolo della piazzetta di Pancole, giusto nel magazzino al piano terra
della Casa Torre uno dei mestieri più antichi del mondo che mi affascinava, per
la capacità di trasformare tutto in denaro: il cenciaio. Il mio nonno Nuti gli
metteva da parte, ciottoli vecchi, ferri arrugginiti, e curava meticolosamente
tutte le pelli di coniglio che essiccava appendendole all’ombra e riempiendole
di giornali, dopo averle rivoltate. Sempre sul lato destro, di fronte alla casa
di Eletto, il trombaio, c’era la bottega del Perondi che non era solo
alimentari, ma anche dolci e biscotti che la nonna RINA faceva per tutti:
tradizione che è rimasta intatta fino ai giorni nostri.
Agli inizi degli anni 60 anche una lavanderia giusto sulla
sinistra dopo la casa Giunti e poco più avanti, al primo piano, anche una
confezione di abbigliamento. Eravamo già a metà degli anni 60 e rammento con
piacere il momento in cui queste ragazze entravano ed uscivano da lavorare
sotto lo sguardo vigile e attento di noi adolescenti. Più avanti, appena 10
metri dopo la casa dell’avvocato Taviani, i cui figli se ne andarono via perché
volevano fare del cinema portandosi dietro anche il più piccino dei figli di
Nello: scelta che anche noi bambini, forse ripetendo le opinioni degli adulti,
giudicammo dettata dalla mancanza di voglia di lavorare. … Forse ci
sbagliavamo, perché non sono più tornati … Ma dicevo.. 10 metri dopo la Casa
Taviani si apriva la bottega di frutta e verdura della Poppa, il cui vero nome
non credo fosse questo. Ma la cosa che ci turbò di più fu il fatto che un bel
giorno sparì perché si era sposata, perché a noi sembrava vecchia, non certo da
marito. Mentre al suo posto subentrò la famiglia Micheletti, il cui nonno
altissimo si faceva ben notare.
Prima di arrivare in Piazza Buonaparte si trovava la macelleria di
Falasco e subito dopo quella di Topposo (Romanello Tapinassi) che negli anni
successivi si trasferì in piazza dei Polli. Di fronte c’era anche il pollaiolo,
di cui non ricordo il nome anche se ho impressa negli occhi la fisionomia: era
Boghe? Mi ricordo le prime “carcasse” a buon mercato da allevamenti in batteria
che tra la fine degli anni 50 e gli inizi degli anni 60 riuscivano a riempire
le nostre tavole e anche i nostri stomaci. E quasi di fronte al pollaiolo la
bottega di barbiere di Rino Gazzarrini che faceva i capelli a tutti noi
ragazzini, mentre i più vecchi preferivano Baggiacco, ben più scadente come
barbiere ma più economico, che aveva la bottega aperta solo alcuni giorni
giusto accanto al Rosi, e prima della chiesa della Misericordia. Con poche
centinaia di lire i capelli erano fatti e, mentre ti congedava e continuava a
rimirare il lavoro eseguito, quasi fosse una sentenza, senza staccarti gli
occhi di dosso, Rino diceva in un sospiro "Tra 3 o 4 giorni ti stanno
bene!!". Rino che assieme a Topposo e tanti altri di cui non ricordo il
nome organizzò agli inizi degli anni 60 il primo Palio di San Rocco, di cui
conservo ancora una foto scattata da Buggiano mentre tento inutilmente di
staccare con i denti una moneta attaccata al fondo di una padella tutta
annerita dal fumo. Infine prima della Chiesa di San Rocco, giusto di fronte al
palazzo Buonaparte (o Bonaparte?) c’era la bottega di alimentari ed anche
appalto gestita da una famiglia Benvenuti (??) prima del subentro della
famiglia Rossi, immigrata dal sud italia. Infine in piazza dei Polli lo storico
Caffè Micheletti che esiste anche oggi e dove i miei nonni, almeno per le
occasioni si recavano a prendere un caffè espresso. Caffè che ha accompagnato
molte generazioni e tenuto sveglio anche il sottoscritto quando dormivo da mia
nonna Livia, grazie alle dispute verbali che in estate fino a tarda notte i
vari Boghe, Gano, Cucchi, Cione etc.. “non si” e “non ci” facevano mancare
neanche nel giorno di riposo del Bar Caffè. Proprio nel mezzo della piazza
sotto il poggio della Rocca la Latteria del Branzi, che ne teneva anche una in
centro, per la vendita quotidiana di latte fresco, giusto alla sera: la mattina
chiuso. All’inizio della salita di Sant’Andrea la bottega di alimentari delle
“Puppone” il cui nome tramandato ci rammenta della caratteristica principale
delle tre figlie coinvolte dalla famiglia il cui nome ora mi sfugge. E chiudeva
la strada il magazzino di Cionce, giusto prima della salita dei Frati, dove
faceva da solo il croccante, i duri di menta ed anche il gelato.
Questo era
il tessuto commerciale che si approvvigionava localmente, dai contadini di
Gargozzi, di Calenzano o da quelli più lontani della Valdegola, almeno per gli
alimenti freschi mentre per quelli confezionati o quelli industriali passavano
i rappresentanti. Certi prodotti ebbero vita facile come quelli che arrivarono
a soppiantare lisciva, soda e cenere con detersivi in polvere. Arrivò con
successo il TIDE, che “regalava” a sorpresa in ogni confezione una posata, non
in rame, ma in alluminio o addirittura in una lega che assomigliava
all’acciaio. Le massaie furono prese alla gola da questa mossa pubblicitaria e
iniziò l’era, credo in tutta Italia, del commercio dei beni di largo consumo.
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