venerdì 23 maggio 2014

LO SCIOA - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

LO SCIOA - Il tessuto commerciale e artigiano, e non solo, del dopoguerra.
Partendo da Poggighisi che si immetteva al mondo per la Porta di Giano, o di San Benedetto, e da Piazza dell’Ospedale o di Santa Caterina, come chiamata da molti samminiatesi, si incontravano le prime “botteghe” lungo la Via Pietro Bagnoli.
Sulla destra, giusto ad angolo con la “ragnaia” del Migliorati, si incontrava l’Appalto del Giorgi che con i sui 2/3 tavolini all’interno durante il giorno, ma anche la sera, ospitava i consueti giocatori di carte. E il mi’ nonno Nuti, ogni sera mi portava a letto il risultato delle sue giocate: un cavalluccio o delle caramelle di orzo o di menta: lui preferiva quelle all’anice, che io odiavo. Proprio di fronte la bottega di “commestibili” di Pietro il Menichetti, che vendeva di tutto: dalla stagna di Benzina per i pochi che avevano un motore, alla “siringa” per iniezioni di vetro, alla confezione di cachet, al chilo di pasta. Insomma di tutto, proprio tutto dallo spillo al cannone e.. tutto a credito: si paga a fine mese. L’orario di apertura variava dall’inverno all’estate: si apriva che era sempre buio e si chiudeva sempre verso mezzanotte. Tutto dipendeva,fino ai primi anni 50, dai giocatori di carte, ma soprattutto, dopo il 54, dalle trasmissioni del Primo Canale TV quali “Lascia o Raddoppia” e “Il Musichiere”. Dal lato destro il Dainelli per tutte le massaie gestiva una merceria che è rimasta aperta e funzionante, a cura del subentrato figlio Gino, fino agli anni 70/80. Mi ricordo ancora poco più che adolescente, quando mia madre mi portò dal Dainelli per prendermi le misure per il mio primo vestito intero: Principe di Galles. Oltre la casa del Cecconi, ciabattino in un sottoscala successivo, si apriva la“mescita” di Olimpia. Con Olimpia oramai vecchia e con gli scaffali vuoti di tutto la mescita viveva giusto della rivendita di qualche quartino di vino o di un sacchetto di carbone. Da bambini, se mandati da Olimpia per prendere un quartino di vino, Olimpia ci mandava da Pietro a comprarne un fiasco, per poterci dare il quartino richiesto. Con la scomparsa di Olimpia, anche il Giorgi cedette l’attività a Mandolino e Italia che continuarono l’esercizio di mescita e di appaltino nel negozio già di Olimpia.
Prima di giungere all’altezza della casa Presenti, ogni bambino doveva superare un ostacolo, ovvero una prova di coraggio, che … per non correre rischi affrontavamo di corsa .. per superare l’ostacolo Tofani. Il Tofani, falegname da sempre, aveva il suo laboratorio tra “Centolire” e casa Frosini, con lo sporto sempre spalancato anche d’inverno, sempre attento al passaggio di qualche bambino che si divertiva a spaventare ringhiandogli contro: strette tra i denti, le nocche ripiegate dell’indice della mano destra “Grrrr...Grrr…Grrr…Grr”. Gesto che per il Tofani era un gioco ma per tanti bambini rappresentava l’incubo quotidiano da affrontare. Tutt’altra pasta il Parrini, falegname in piazzetta di Pancole, la cui presenza era addirittura ignorata da noi bambini.
Due figure non sfuggivano comunque alla nostra attenzione, anche se senza bottega nei pressi: lo “scalpellino” Pantani che lo si poteva incontrare in tutta San Miniato intento a scalpellare le vecchie pietre per riportarle a nuovo e che abitava all’ultimo piano della Casa Del Campana Guazzesi, che nel lato fronte strada era usato per civili abitazioni – e l’arrotino che abitava giusto tra l’appalto del Giorgi e la merceria del Dainelli.
Passato Pancole si incontrava subito Moderino, ciabattino, sordo come una campana, che aggiustava scarpe in un bugigattolo stretto e lungo di proprietà delle monache di San Paolo. Proprio di fronte, in uno dei fabbricati più antichi di San Miniato, già tempio del Dio Pan, il forno di Nello emanava i suoi profumi intensi soprattutto la mattina presto. Per noi bambini delle elementari era la prima sosta della mattina, quando ci si poteva permettere, per un pezzo di schiacciata o anche di pizza; ma così calda e profumata non arrivava mai all’ora di merenda. Per le nostre mamme era un’opportunità soprattutto nei giorni festivi quando si ammazzava il “conigliolo” e lo si portava a cuocere con le patate nel forno. Nei primi anni 50 in casa c’era un fornello a carbone, il primo fornello a gas, marca “Flamma” marcata in rosso vivo, arrivò quando cominciai ad andare a scuola. Pochi metri più avanti l’alimentari dello stesso Nello, con i sui scaffali e le sue cassette in legno estraibili piene di ogni sorta di pasta sciolta che si comprava a peso. Nell’angolo della piazzetta di Pancole, giusto nel magazzino al piano terra della Casa Torre uno dei mestieri più antichi del mondo che mi affascinava, per la capacità di trasformare tutto in denaro: il cenciaio. Il mio nonno Nuti gli metteva da parte, ciottoli vecchi, ferri arrugginiti, e curava meticolosamente tutte le pelli di coniglio che essiccava appendendole all’ombra e riempiendole di giornali, dopo averle rivoltate. Sempre sul lato destro, di fronte alla casa di Eletto, il trombaio, c’era la bottega del Perondi che non era solo alimentari, ma anche dolci e biscotti che la nonna RINA faceva per tutti: tradizione che è rimasta intatta fino ai giorni nostri.
Agli inizi degli anni 60 anche una lavanderia giusto sulla sinistra dopo la casa Giunti e poco più avanti, al primo piano, anche una confezione di abbigliamento. Eravamo già a metà degli anni 60 e rammento con piacere il momento in cui queste ragazze entravano ed uscivano da lavorare sotto lo sguardo vigile e attento di noi adolescenti. Più avanti, appena 10 metri dopo la casa dell’avvocato Taviani, i cui figli se ne andarono via perché volevano fare del cinema portandosi dietro anche il più piccino dei figli di Nello: scelta che anche noi bambini, forse ripetendo le opinioni degli adulti, giudicammo dettata dalla mancanza di voglia di lavorare. … Forse ci sbagliavamo, perché non sono più tornati … Ma dicevo.. 10 metri dopo la Casa Taviani si apriva la bottega di frutta e verdura della Poppa, il cui vero nome non credo fosse questo. Ma la cosa che ci turbò di più fu il fatto che un bel giorno sparì perché si era sposata, perché a noi sembrava vecchia, non certo da marito. Mentre al suo posto subentrò la famiglia Micheletti, il cui nonno altissimo si faceva ben notare.
Prima di arrivare in Piazza Buonaparte si trovava la macelleria di Falasco e subito dopo quella di Topposo (Romanello Tapinassi) che negli anni successivi si trasferì in piazza dei Polli. Di fronte c’era anche il pollaiolo, di cui non ricordo il nome anche se ho impressa negli occhi la fisionomia: era Boghe? Mi ricordo le prime “carcasse” a buon mercato da allevamenti in batteria che tra la fine degli anni 50 e gli inizi degli anni 60 riuscivano a riempire le nostre tavole e anche i nostri stomaci. E quasi di fronte al pollaiolo la bottega di barbiere di Rino Gazzarrini che faceva i capelli a tutti noi ragazzini, mentre i più vecchi preferivano Baggiacco, ben più scadente come barbiere ma più economico, che aveva la bottega aperta solo alcuni giorni giusto accanto al Rosi, e prima della chiesa della Misericordia. Con poche centinaia di lire i capelli erano fatti e, mentre ti congedava e continuava a rimirare il lavoro eseguito, quasi fosse una sentenza, senza staccarti gli occhi di dosso, Rino diceva in un sospiro "Tra 3 o 4 giorni ti stanno bene!!". Rino che assieme a Topposo e tanti altri di cui non ricordo il nome organizzò agli inizi degli anni 60 il primo Palio di San Rocco, di cui conservo ancora una foto scattata da Buggiano mentre tento inutilmente di staccare con i denti una moneta attaccata al fondo di una padella tutta annerita dal fumo. Infine prima della Chiesa di San Rocco, giusto di fronte al palazzo Buonaparte (o Bonaparte?) c’era la bottega di alimentari ed anche appalto gestita da una famiglia Benvenuti (??) prima del subentro della famiglia Rossi, immigrata dal sud italia. Infine in piazza dei Polli lo storico Caffè Micheletti che esiste anche oggi e dove i miei nonni, almeno per le occasioni si recavano a prendere un caffè espresso. Caffè che ha accompagnato molte generazioni e tenuto sveglio anche il sottoscritto quando dormivo da mia nonna Livia, grazie alle dispute verbali che in estate fino a tarda notte i vari Boghe, Gano, Cucchi, Cione etc.. “non si” e “non ci” facevano mancare neanche nel giorno di riposo del Bar Caffè. Proprio nel mezzo della piazza sotto il poggio della Rocca la Latteria del Branzi, che ne teneva anche una in centro, per la vendita quotidiana di latte fresco, giusto alla sera: la mattina chiuso. All’inizio della salita di Sant’Andrea la bottega di alimentari delle “Puppone” il cui nome tramandato ci rammenta della caratteristica principale delle tre figlie coinvolte dalla famiglia il cui nome ora mi sfugge. E chiudeva la strada il magazzino di Cionce, giusto prima della salita dei Frati, dove faceva da solo il croccante, i duri di menta ed anche il gelato.
Questo era il tessuto commerciale che si approvvigionava localmente, dai contadini di Gargozzi, di Calenzano o da quelli più lontani della Valdegola, almeno per gli alimenti freschi mentre per quelli confezionati o quelli industriali passavano i rappresentanti. Certi prodotti ebbero vita facile come quelli che arrivarono a soppiantare lisciva, soda e cenere con detersivi in polvere. Arrivò con successo il TIDE, che “regalava” a sorpresa in ogni confezione una posata, non in rame, ma in alluminio o addirittura in una lega che assomigliava all’acciaio. Le massaie furono prese alla gola da questa mossa pubblicitaria e iniziò l’era, credo in tutta Italia, del commercio dei beni di largo consumo.





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