domenica 1 febbraio 2015

TUTTI AL MARE – Racconto di Giancarlo Pertici

di Giancarlo Pertici


TUTTI AL MARE... in Colonia a Calambrone!

Allora domani parti per il mare! Partite presto? A che ora?... già! Ma tu non conosci l'orologio! - ...partite domattina? - Sì nonno! Domattina presto, ha detto mamma.

Si parte per il mare. Si va in Colonia al Calambrone, anche se non so dove sia. Mamma dice che ci siamo stati tante volte con Zia Berta, partendo da Livorno, da Shangai, quando ero “piccolo”. Ora invece sono grande, appena fatto la seconda elementare e passato in terza!
A letto Nonno Nuti mi fa le ultime raccomandazioni; le stesse ogni volta che vado da qualche parte.. - “fai il bravo, sii ubbidiente! Ricordati delle devozioni...” - e altre ancora. Poi la preghiera della sera a San Giuseppe e le “avventure di Tonino”, ma solo l'inizio, mi addormento subito... dopo un bagno caldo nella tinozza appena dopo cena, dopo quel pomeriggio in giro con nonno fin verso Calenzano da "quella donna che dice sempre tornate". Non ho mai saputo come si chiama, neppure oggi qui a ricordare, quando transito davanti a quella stradina laterale, mentre vado con la mente a quei giorni: tutto immutato, strada, cipressi, ciglioni e casa.

È alla stessa ora, di quando si va al mercato il martedì, che ci si avvia verso il “Riposo” per prendere la corriera. Una valigetta di cartone in mano, quasi nuova, verde con le bordature marrone, in qualcosa di simile al cuoio, la stessa usata l'anno prima per andare in montagna a Mammiano; come dimenticarsi di quella inaspettata avventura! Come già per la montagna, mamma non viene con me. Ci sono delle signorine sulla corriera a farci sedere al posto giusto. Io nel primo sedile, accanto al bambino più piccolo, mia stessa età; gli altri tutti più grandi. Non conosco nessuno, neppure questo mio compagno di posto che tutti chiamano con uno strano soprannome, “Maschera”. Soprannome che ha quasi soppiantato il nome vero, che ignoro ancora oggi. E tra le signorine una gradita sorpresa, inaspettata, Mara, quasi una zia che, dopo aver confabulato con mamma, ripone la valigia sul portabagagli.

Partenza! Appena il tempo di guardare scorrere quelle immagini in movimento di là dal finestrino, tra ulivi, viti e case, lungo una ripida discesa scandita dallo stridere dei freni, per una curva stretta quasi a radere una sequela di case tutte attaccate le une alle altre, che ci si ferma di nuovo, corriera tutta inclinata a destra. Tre valigie, seduto su quel muricciolo a mattoni che delimita la strada, c'è un prete lungo e secco, in mano due tonache in una gruccia, un sorriso a bocca aperta a scorrere con lo sguardo un finestrino dietro l'altro, gesticolando con la testa a mo' di saluto. Giù anche Mara e l'autista per aiutarlo a issare a bordo valigie e fagotti. Fermo sul primo scalino, sorriso quasi imbalsamato, a dispensare saluti e carezze, fà - Ecco il Perticino! - mentre mi passa i polpastrelli delle dita, aperti a pettine, sulla testa tra i capelli, quasi una carezza. Meraviglia e sorpresa! - Come fa a conoscermi? - Mi domando fra me e me! Il giorno dopo la risposta - Sono un'amico del tuo babbo. Eravamo bambini insieme e contadini sulla stessa aia - Inizia così con sorprese quell'estate al mare. La prima per me in Colonia, io che al mare ci sono già stato a Livorno da zia Berta e a Torre Del Lago con la “Signora”.

Colonia quella lì, dietro le dune, vicino alla spiaggia. La notte il mare si sente, il fruscio della risacca che invade la notte, a rompere silenzio. Nel lettino accanto, c'è Maschera, lui che sta a “Le Colline”, come zia Norma. La mattina è il sole, che con prepotenza illumina i lunghi corridoi, a invadere generosamente, per una serie ininterrotta di grandi finestre che ne occupano i due lati, ogni angolo fino a riverberarsi anche nelle camerate. Si gioca all'aria aperta. Oltre quelle dune il mare per un bagno innaturalmente breve. Non so giudicare il tempo, ma troppo breve, neppure il tempo di un gioco e siamo fuori tutti per stendersi sull'asciugamano al sole. Poi di nuovo in colonia per il pranzo. E lì ritrovo don Giuseppe, tutto vestito di nero e del suo sorriso, a capotavola per la benedizione e la preghiera. Penso a Nonno Nuti. Ora c'è Don Giuseppe e non c'è rischio di scordarsi delle devozioni.

Non ho un'idea esatta, oggi, del tempo allora trascorso, neppure l'esatto periodo di quella estate del '55. Periodo e date le desumo da memorie che i giornali del periodo riportano.
Siamo nel settembre, siamo a metà pomeriggio, cielo semi coperto con il sole che non riesce a penetrare se non a momenti, ma brevi. Niente mare. Forse, come al solito, si va in passeggiata a vedere passare il Trenino in pineta. Invece dopo la ricreazione del pomeriggio, ci ritroviamo di nuovo in camerata, ci fanno indossare la divisa quella che usiamo per la messa e per le occasioni speciali. Pantaloncini corti per noi maschietti, gonna a quadri per le femmine, camicetta in tinta e cappellino bianco con tesa; tutti vestiti uguali. In doppia fila, una camerata per volta, ci incamminiamo verso Tirrenia, lungo i marciapiedi accosto ai muri di recinzione, le colonie una accanto all'altra, finché attraversiamo ben prima di Tirrenia, ed entriamo nella pineta che costeggia la strada. Alcuni pini tagliati, attrezzi ammucchiati da una parte, fosse tutte intorno colmate a cemento come fossero fondamenta, e lo sono. Cantiere aperto, appena avviato. Tanta gente, tutta vestita bene. Autorità, militari, tanti preti e nel mezzo un piccolo palco e sopra il nostro vescovo, quello di San Miniato, Felice Beccaro. Lo riconosco, l'ho visto tante volte in cattedrale con Nonno Nuti al Pontificale delle undici della domenica. Silenzio assoluto che col nostro sciamare e col nostro brusio quasi rischiamo di interrompere.

È la cerimonia della posa della “Prima Pietra”. La Diocesi ha deciso di fare una colonia tutta sua; Stella Maris il nome trovatole. "Stella del Mare" spiega il vescovo Beccaro nella sua omelia. È il 13 settembre del 1955. Non ascolto altro, penso a domani che si ritorna a casa, sono finite le vacanze e mi sono fatto due amici nuovi: Maschera e don Giuseppe, amico di babbo. Ho solo voglia di tornare da quando per il 'Passo' è venuto babbo a trovarmi, ma non mamma, è ammalata.- È all'ospedale, ma niente di grave! - pare giustificarsi babbo, che ha con se borsa e tegamini per il pranzo, preparati da nonna Livia: pollo e patate fritte.

Forse è il '57, la prima volta per me, della Stella Maris. Attrazione fatale. Già il primo anno faccio due turni. Memorie sopite ma conservate a lungo nel tempo, che, dimentiche di nomi e di compagni di viaggio, mi riportano intatti invece giochi, sensazioni, canti, aneddoti, ritagli di giornata che al mattino inizia con l'alza bandiera e coll'inno Fratelli d'Italia. Solo due strofe. Alla sera, con l'ammaina bandiera, un canto ad accompagnare anche il tramonto del sole, sembra quasi una preghiera, una di quelle che nonno Nuti mi ha insegnato. Non l'ho più dimenticata. A distanza di quasi 60 anni la ricordo tutta a memoria: Scende il vessillo che già il giorno finì, la dalle vallate mesta l'ombra salì. Fratelli la fronte ora chiniamo, una prece al cielo innalziamo. Oh santi nostri che in cielo esultate, anime rette gloriose beate, su noi invochiam, vostra bontà, con grande amor ci vegliate. Contro il nemico che l'anima tiene, contro la morte che rapida viene, in ogni cuor sia pace e bene, sia quiete ad ogni dolor. Pace... pace...

A tavola arriva sempre Mara... zia Mara, come la chiamo io. Mi porta sempre pastasciutta e secondo prima degli altri, così finisco in tempo. Quando si esce in passeggiata è lei che mi tiene i soldi. Ogni volta sono 20 o 30 lire, per prendere dal carretto che passa di pineta gli "addormenta-suocere", sacchetto piccolo o sacchetto grande; qualche volta è il croccante anche se è più buono quello di Cionce. Ma è la sera dopo cena, quando ci fanno sedere per terra sul piazzale, tutte le luci accese, che va in onda uno spettacolo quasi più bello della televisione vista da Pietro. Microfono e altoparlante, qualcuno racconta delle barzellette, chi narra una storia, qualcuno canta... sono le canzoni dell'ultimo festival di San Remo. Giorgio Consolini il mio preferito, così come lo canta un bambino di Ponsacco di cui non ricordo il nome. Poi sta anche a me a cantare "La bella Gigogin" imparata a Mammiano in colonia, e a ricevere congratulazioni e applausi. Mi garberebbe fosse sempre sera. Ma a volte c'è il cinema. All'aperto come a San Miniato sotto i loggiati di San Domenico. Solo di un film il ricordo. Bello e a colori: Bernadette. Ma la sorpresa vera è il “macchinista”, un prete, Don Malucchi. Non questa la sorpresa, ma che anche lui conosca bene babbo e mamma. Pare sia nato e vissuto in Santa Caterina.

La sensazione di essere e sentirsi “unico” la provo tutte le volte che vado in guardaroba, in cima di scale al primo piano, a ritirare i vestiti puliti: pantaloncini, mutande e canottiere perlopiù. La guardarobiera Valeria di Santa Maria a Monte mi riconosce subito. - Ecco P.G. - esclama, consegnandomi il cambio pulito. Tutti con un numero in contrassegno, io invece con le iniziali ricamate ad una ad una da mamma, P.G. come già in colonia a Mammiano.

Poi si va sulla spiaggia tutte le mattine dopo colazione e dopo aver fatto ginnastica a gruppetti, ogni camerata per conto suo. Un grande telo sostenuto da tanti pali infilati nella sabbia a fare ombra. Ma sopratutto giochi in libertà e non solo, sulla spiaggia fino al momento del bagno. Giochi spesso in gruppo, anche a gara, come le costruzioni di sabbia, con tanto di giuria e premio finale. Alle undici è il momento atteso da tutti, il bagno, con le signorine in acqua a tendere una corda che delimita fin dove si può andare. Bagno sempre breve, troppo breve per la voglia che mi tengo dentro, forse è anche per questo che aspetto sempre con trepidazione il giorno del passo: poter fare un bagno lungo, lunghissimo fino a farmi avvizzire diti di mani e piedi.

C'è poi un momento, a chiusura della giornata, che mantengo vivo come ricordo e come sensazioni, come se tutto fosse appena avvenuto. È il momento di andare a dormire. Non ho mai capito quella paura del buio, che tra l'altro non c'è mai, per cui qualcuno piange sopratutto la prima sera, o per la voglia di mamma. A me pare quasi di essere a casa nella mia camera all'ultimo piano, con Nonno Nuti, e con qualcosa in più, la Radio. Quando si spegne la luce, la radio o il giradischi rimanda, da ogni altoparlante, uno in ogni camera, canzoncine da bambini. Due non le ho mai dimenticate, cantate da Rascel: "Ninna Nanna del Cavallino" e "Dove andranno a finire i palloncini". È facile trovarle in rete su Youtube dalla voce originale di Rascel, sanno trasmettere ancor oggi lo stesso pathos.

Per i più esigenti, e io lo sono, abituato ai racconti di Tonino, c'è sempre il momento del racconto di una storiella o di una fiaba, diffuso dagli altoparlanti al buio o quasi. Non riesco quasi mai a sentire il finale, mi ci addormento prima, come con Nonno Nuti.

In riva al mare a Calambrone: Giancarlo Pertici, Mara e “Maschera”.
Collezione Giancarlo Pertici

In riva al mare a Calambrone: foto di gruppo.
Collezione Giancarlo Pertici

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