di
Francesco Fiumalbi
Da Piazza Buonaparte,
appena entrati in via Paolo Maioli, lo sguardo viene catturato da
alcuni edifici sul lato meridionale della strada. La via compie una
leggera piega verso sinistra e gli occhi non possono fare a meno di
porre l'attenzione, anche soltanto per un attimo, a quei tre palazzi.
Due sono di colore rosa-arancio, l'altro bianco. Un tempo
appartenevano a due rami di una delle famiglie più ricche ed
influenti di San Miniato: gli Ansaldi.
Il primo, il più
grande, fu oggetto di numerose ristrutturazioni fra '800 e '900, a
seguito anche dei gravissimi danneggiamenti dovuti alle mine che
l'esercito tedesco posizionò nel luglio del 1944 per rallentare con
ogni mezzo l'avanzata degli Alleati. Da circa un secolo è di
proprietà della famiglia Braschi e per questo è chiamato Palazzo
Ansaldi-Braschi. Il secondo, di cui parleremo in questo post, è più
piccolo ed ha mantenuto un aspetto vicino a quello originario; è
contraddistinto da una facciata intonacata, tinteggiata di colore
bianco. Disassato rispetto all'ideale asse di simmetria si apre
l'austero portone, sovrastato da uno dei pochi stemmi nobiliari
sopravvissuti lungo le strade sanminiatesi: quello della famiglia
Ansaldi. Infine il terzo edificio, il più piccolo, nato dall'unione
di due corpi.
Foto di Francesco
Fiumalbi
Secondo una tradizione
frequentemente citata, la famiglia Ansaldi trarrebbe la propria
origine addirittura da un membro del seguito di Carlo Magno (1). In
realtà sappiamo ben poco del principio di questa casata che, a
differenza di altre, si è estinta relativamente di recente alla metà
del '900 (2).
Gli
Ansaldi non compaiono nell'elenco degli appartenenti al ceto
magnatizio negli Statuti
del
Comune di San Miniato del 1337 e del 1359. Tuttavia, nel corso del
'400 dovevano aver raggiunto una certa agiatezza economica, tanto che
nel 1488 la famiglia risulta sostenere una delle cosiddette Prebende
Canonicali
(cioè del Capitolo dei Canonici della Collegiata dei SS. Maria
Assunta e Genesio, oggi Cattedrale), a metà con i Ruffelli (3), che
erano state istituite dal Papa Innocenzo VIII con apposita bolla
pontificia (4).
Dopo la peste del 1527
e l'assedio da parte delle truppe imperiali di Carlo V nel 1530, i
sanminiatesi, esanimi, chiesero ed ottennero dal Granduca Alessandro
de' Medici di poter far tornare a San Miniato alcune famiglie, che da
tempo risiedevano a Firenze, in modo da ricostituire il tessuto
economico ormai fortemente compromesso (5). Fu l'avvio di una nuova
stagione per San Miniato, che culminerà con il riconoscimento del
titolo di Città e l'elevazione di una nuova Diocesi, a scapito di
quella di Lucca, nel 1622 (6).
Disegno di Francesco
Fiumalbi
Una nuova stagione che
vide, quale manifestazione tangibile, anche un rinnovamento
dell'edilizia privata con la costruzione di nuovi palazzi, residenze
del ceto eminente sanminiatese. In questo processo di rinnovamento,
per certi aspetti di vera e propria rigenerazione urbana che
interessò San Miniato nella seconda metà del '500, possiamo
ascrivere importanti interventi come la costruzione di Palazzo
Grifoni, dei Palazzi Buonaparte (fra cui spicca quello oggi sede
della Cassa di Risparmio di San Miniato), Morali, Morali poi Mercati
e Pelli-Cini, Gucci, Ruffolo poi Samminiati-Pazzi e Piccolo, e gli
edifici della famiglia Ansaldi, tra cui quello in oggetto.
Gli Ansaldi, nella
seconda metà del '500, si erano distinti nell'attività forense, con
buona parte dei membri avviati agli studi di Diritto civile e
canonico presso l'Università di Pisa, di cui spesso divennero
docenti. Non mancarono nemmeno filosofi ed ecclesiastici (7), come
Ansaldo Ansaldi che fu Decano presso il Tribunale della Sacra Rota.
Molti di essi ricoprirono anche diverse cariche pubbliche, come
quella del Gonfalonierato (una sorta di “primo cittadino”) (8). A
partire dalla metà del '600, Giovacchino e Giovanni Ansaldi fondano
una commenda dell'Ordine di Santo Stefano, iscrivendosi di fatto a
l'élite della Toscana granducale (9).
Un ramo degli Ansaldi,
al pari di altre casate forti anche della consistenza economica,
nella seconda metà del '500, avviarono la costruzione della propria
residenza: una dimora adeguata per una famiglia abbiente, influente e
nobile.
Foto di Francesco
Fiumalbi
L'edificio fu
realizzato dall'unione di due unità abitative più antiche, due
cosiddette “schiere” medievali. Oltre che dalla planimetria, tale
circostanza è verificabile anche attraverso la facciata: il portale
non si trova in posizione centrata, bensì disassato verso destra.
Realizzare il portale al centro avrebbe comportato una nuova
ridistribuzione interna e, quindi, anche forti modifiche di tipo
strutturale. Diversamente ne sarebbe risultata una vera e propria
operazione di sventramento. Invece, l'espediente di accorpare due
unità, molto frequente anche a San Miniato, consentiva di mantenere
l'ossatura strutturale, risparmiando sui costi. La facciata sarebbe
stata facilmente realizzabile, compositivamente, e la disposizione
degli ambienti interni non stravolta.
Oltre al portale, al
piano terreno si trovano due eleganti finestre con davanzale e
tettoia a mensola, rifinite in pietra o in scialbatura (probabilmente
dovute ad un rifacimento ottocentesco) ed una apertura più ampia.
Curiosa la finestrella circolare e le due mensole che la sovrastano,
quest'ultime residui di un'apertura analoga alle altre due tuttora
esistenti, poi rimossa. Quindi, inizialmente, le finestre al piano
terreno dovevano essere tre, più o meno in asse con le aperture del
primo piano, e intervallate dalla presenza della porta d'ingresso.
Da notare l'ampia
cornice, che separa idealmente il piano terreno dal primo piano,
ovvero il “piano nobile” della casa. Questo elemento è collocato
molto in alto rispetto alla quota della strada, denotando un'altezza
consistente del livello terreno.
Foto di Francesco
Fiumalbi
Al primo piano, si
aprono quattro grandi finestre arcuate, caratterizzate da una cornice
a bugne, con terminazione a punta. Assieme alle finestrelle
quadrangolari dell'ultimo livello, costituiscono uno degli elementi
caratteristici degli edifici nobiliari sanminiatesi, e ricorrenti
anche a Palazzo Buonaparte Morali Formichini (sede della CRSM),
Palazzo Stefani, Palazzo Buonaparte (ex Tribunale). Per questo motivo
l'edificio è stato accostato (per la prima volta da Dilvo Lotti (10)
e da Anna Matteoli (11)) alle maestranze di Giuliano di Baccio
d'Agnolo, che lavorò a Palazzo Grifoni fino all'anno della sua
morte, avvenuta nel 1555. Tuttavia, si tratta di una ipotesi
difficile da sostenere, anche perché non risulta sostenuta da alcuna
documentazione, ma solamente da alcuni tratti stilistici. Invece è
molto più probabile che taluni elementi compositivi di Palazzo
Grifoni, e dei vicini palazzi Buonaparte (CRSM) e Samminiati-Pazzi
(Piccolo) abbiano costituito il modello per molti altri edifici,
costruiti in un'epoca di poco successiva, da maestranze certamente
meno qualificate. In altri termini probabilmente siamo di fronte ad
un comune esempio di “contaminazione” o di “osmosi”. Sono
questi i termini utilizzati per descrivere quei processi in cui un
modello primigenio costituisce il campionario per gli elementi di
realizzazioni successive. E questo sotto vari punti di vista:
compositivo, formale, tecnico, tecnologico.
Foto di Francesco
Fiumalbi
Sopra il portale
campeggia l'arme della famiglia Ansaldi. Non sappiamo se sia
sopravvissuto alle distruzioni Giacobine di fine '700 o se, più
probabilmente, si tratti di un rifacimento del primo Ottocento.
Si tratta di una
viverna (un rettile alato simile al drago, da cui differisce per
l'assenza delle zampe anteriori) di colore verde su sfondo dorato, e
con doppio capo, d'Angiò (ovvero con i tre gigli alternati da
quattro dentelli di lambello) e di Santo Stefano (ovvero con la croce
biforcata a otto punte dell'Ordine di Santo Stefano, apposta quando
la famiglia prese parte al sodalizio stefaniano, costituendo una
commenda (12)). Quindi lo stemma è sicuramente posteriore alla metà
del '600, ma come detto, non è possibile stabilire con certezza se
si tratti dell'originale o di una copia successiva.
Foto di Francesco
Fiumalbi
Tornando alla facciata,
la necessità di non far emergere la doppia struttura originaria,
unitamente all'esposizione verso nord (quindi il lato più freddo),
ha in qualche modo imposto l'utilizzo del rivestimento ad intonaco,
oggi trattato con una tinteggiatura di colore bianco.
Sul
fronte tergale, che guarda verso la valle di Gargozzi, si apre il
giardino pensile. E' un altro degli elementi caratteristici
sanminiatesi, con funzione non solo estetica, ma anche e soprattutto
statico-geologica. Infatti il collasso di tale struttura creò non
poca apprensione nel 1772, allorché fu interessata da un consistente
smottamento, come possiamo desumere dal resoconto pubblicato sulla
Gazzetta Toscana, Tomo VII, nn. 17 e 24 e che abbiamo visto nel post
LE
FRANE A SAN MINIATO NEL 1772.
In conclusione, questo
edificio presenta molti degli elementi architettonici e compositivi
peculiari del rinnovamento edilizio del tardo '500 sanminiatese. Più
in generale, possiamo vederlo come uno dei molti esempi tipici della
residenza nobiliare nei centri di provincia. Una residenza nata
dall'accorpamento di edifici più antichi, di cui conserva almeno in
parte la struttura, e quindi la distribuzione degli ambienti al suo
interno. Tuttavia, nel suo piccolo, il Palazzo Ansaldi ben
rappresenta una delle espressioni concrete dell'influenza, tutta
fiorentina, del primo Rinascimento a San Miniato. Anche se questo
avviene con diversi decenni di ritardo.
NOTE
BIBLIOGRAFICHE
(1)
Boldrini Roberto (a cura di), Dizionario
Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX),
Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, p. 17.
(2)
L'ultimo membro della famiglia Ansaldi fu Antonietta (1865-1948).
Boldrini, Dizionario...
cit.,
p. 18.
(3)
La prebenda fu fondata da Giovanni Ansaldi e Luca Ruffelli. Boldrini,
Dizionario...
cit.,
p. 20; cfr. Boldrini Roberto, Il
capitolo del Duomo dalla rifondazione all'erezione della Diocesi
(1488-1622),
in AA.VV., La
Cattedrale di San Miniato,
Cassa di Risparmio di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2004, pp.
21-26: 23, nota 9.
(4)
Il testo della bolla è stato pubblicato in Lami Giovanni, Charitonis
et Hippophili
Hodoeporici,
pars prima,
Deliciae Eruditorum, 1741, pp. 194-199.
(5)
Rondoni Giuseppe, Memorie
storiche di San Miniato
al
Tedesco: con documenti inediti e le notizie degl'illustri
sanminiatesi,
Tip. Ristori, San Miniato, 1876, p. 189.
(6)
Per tutte le informazioni in proposito si rimanda al volume:
Simoncini Vasco (a cura di), San
Miniato e la sua Diocesi. I Vescovi, le istituzioni, la gente,
Cassa di Risparmio di San Miniato, San Miniato, 1989.
(7)
Labardi Andrea, Gli
Ansaldi di San Miniato e l'Ordine di Santo Stefano,
in Marrara Danilo (a cura di), San
Miniato e l'Ordine di Santo Stefano,
Atti del Convegno, San Miniato, 14 maggio 2004, Edizioni ETS, Pisa,
2004, pp. 101-104.
(8)
Morelli Paolo, Classe
dirigente e nobiltà a S. Miniato fra Cinque e Seicento,
in Bollettino Storico Pisano, n. LII, 1983, pp. 211-225: 215.
(9)
Labardi, Gli
Ansaldi... cit.,
p. 104.
(10)
Dilvo Lotti, Edilizia
e Architettura Sanminiatese tra il '5 e il '600,
in Dilvo Lotti (a cura di), San
Miniato nel Tempo,
Catalogo della Mostra San Miniato 20 giugno-30 settembre 1981, Pacini
Editore, Pisa, 1981, p. 226.
(11)
Matteoli Anna, Palazzo
Roffia ora dell'Arciconfraternita di Misericordia,
in Lotti, San
Miniato nel Tempo... cit.,
p. 235.
(12)
Vedi supra,
nota 7.
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