Già
mamma mi ci aveva abituato a camminare fin da piccino. Avrò avuto
forse tre anni, forse anche meno, quella prima volta che mi portò
con sé al camposanto. E così era ogni domenica pomeriggio! Liturgia
irrinunciabile a far visita ai morti di casa, quelli dell'ultima
guerra, partendo da piazza dell'ospedale fino al camposanto, sulla
via verso La Catena. Percorso previsto a tappe, a fermarsi quasi ad
ogni uscio a salutare, sia all'andata sia al ritorno, che aveva
irrobustito le mie gambe, avvezzandole alle lunghe camminate.
Con
nonno, il mi' nonno Nuti, a scuole chiuse, con l'inizio dell'estate -
la prima forse quella del '53 - a giorni alterni, nel pomeriggio si
andava sempre da qualche parte. Una girata, con la scusa di una
visita a qualcuno, quasi sempre nei paraggi, in campagna, all'aria
aperta. Escluso il giorno di mercato, gli altri giorni, a sorte,
andavamo secondo le maggiori richieste che misuravamo col calore dei
saluti di congedo che terminavano tutti o quasi con la frase - quasi
un motto - "Tornate presto!" - ben scandito e ripetuto, a
scanso di equivoci. Qualche volta, ma raramente, anche perché troppo
vicino e perché le donne sempre impegnate nei campi, e se il tempo
non prometteva nulla di buono, si andava da zio Cesare, appena sotto
il sanatorio.
Poi
era la volta di Vestro in quel poderetto a confine con quello di
Vergella, tutto poggio, che si affacciava sulla valle del Sasso.
Immancabile la girata fin quasi a Calenzano, casa Mancini, su quel
poggetto, ultima rampa prima del falsopiano che conduceva alla chiesa
e al paese. Le donne di casa sempre nei dintorni, tra l'orto e l'aia
tra polli e coniglioli, a darci il benvenuto. Un bicchiere d'acqua
fresca appena attinta al pozzo e per merenda, due fette di pane di
quello fatto in casa, raramente fresco. Ma così saporito! imbottito
di spalla o di salame. Per nonno invece un bel gotto di vino, di
quello rosso, ultima vendemmia, che il Nuti non disdegnava mai...
sembrava quasi lo aspirasse. Giù tutto d'un fiato! Una sorta di
sospiro che finiva con un "... Aaahhhhh !!" soddisfatto e
prolungato. Non ho mai saputo il nome della padrona di casa, forse
nemmeno nonno lo sapeva se, nell'incamminarci mi annunciava ogni
volta - " Si va da quella donna che ci dice sempre tornate! "
Infine
arrivava il giorno che prendevamo per la via del Sasso. Appena ad
inizio pomeriggio, passando da dentro l'ospedale, per quella sorta di
scorciatoia che dalle cucine portava alla stanza mortuaria, ma anche
alla discesa verso Pian delle Fornaci. Il bivio della via del Sasso a
poche decine di metri. A quell'ora, sopratutto il primo tratto che
portava fino dal Casalini, scavato a ridosso al ciglione, lo facevamo
lentamente, mai a passo svelto, per godere appieno dell'ombra di
roghi e ulivi. Mano per la mano con nonno, se eravamo per la via
maestra. Ma non per la via del Sasso; pochi i barrocci, raro qualche
camioncino che si annunciava sempre a clacson spiegato.
Ogni
tanto una sosta, a sedere su un muricciolo, per il giusto riposino di
cui nonno aveva bisogno in virtù dell'età e dell'ernia, mentre mi
raccontava di sé, della sua infanzia, della sua locanda, oppure di
quel fantomatico Tonino che, nella sua Firenzuola, combinava un guaio
ogni giorno. Era un camminare piacevole. Neppure me ne accorgevo di
salite, di scalini, di fosse da saltare, preso come ero da quelle
storie, tutte vere, che mi affascinavano e delle quali mi è rimasto
solo l'atmosfera e qualche immagine. Facile arrivare fino in fondo al
Sasso, su quell'aia, a poche centinaia di metri dalla via maestra, da
dove si sentivano transitare camion, pulman e macchine, o dirette a
Empoli o dirette a La Scala. E su quell'aia, in un angolo, tra il
fienile e la casa, una sorta di tettoia proprio davanti all'uscio
della stalla, quale laboratorio di impagliatura dei fiaschi. Le due
sorelle Cei sempre al lavoro, a qualunque ora arrivassimo, anche se
quasi sempre si trattava dell'ora adatta alla merenda.
-
"Benvenuto Nuti, ciao nini!" - Quasi sempre questo il
saluto di benvenuto delle sorelle, caloroso, sincero, senza mai
staccare gli occhi dal fiasco tenuto stretto in grembo. Tutte intente
nel lavoro, mani ed occhi esperti ad intrecciare e a tessere le
solite trame, ma orecchi e lingua in funzione, mai sole. Sotto quella
tettoia, sia in estate che in inverno, tante seggioline disposte a
semicerchio. Seggiole vecchie, le zampe segate a metà, per renderle
adatte al lavoro. Ce ne sono sempre per tutti, ad ospitare amici,
passanti, i vecchi di casa. Tutti lì a ingannare il tempo, due
chiacchiere, e a strappare l'ultima notizia. E le sorelle, un fiasco
per volta, a svuotare il carretto dei fiaschi nudi e a riempirli di
quelli con la veste nuova. - " Siediti accanto a me nini!"
- Sempre tra le due sorelle. Posto d'onore. Mi pare di essere accanto
a nonno mentre lavora al deschetto, stessa seggiolina, una scarpa in
grembo a cucire di lesina; le sorelle Cei, il fiasco in grembo e
l'ago lungo da 'sala' in mano.
Liturgie
simili. Ogni volta lo stesso rituale, imparato quasi a memoria, da un
fiasco nudo, come dal sarto, tutto su misura. Ogni fiasco diverso
dall'altro. Intanto la radio in sottofondo trasmette le ultime
canzoni. Finché il frinire del 'Grillo', che annuncia l'ultima
edizione del Gazzettino Toscano, zittisce tutti, per le ultime
notizie, quelle vere. Gli occhi, i miei, ipnotizzati da quei gesti,
quasi non avverto il chiacchiericcio in sottofondo ... stasera gli
uomini a dare di nuovo il rame alle viti... Occhi presi da quel
lavoro che inizia dalla base, una specie di cipolla, un intreccio di
sala, di quella scadente. Base di appoggio del fiasco, a protezione
del vetro e a garantirne l'equilibrio. -"...ma l'ha trovato il
lavoro la tu' figliola? l'hanno presa alla Saiat? "- ...Poi una
fasciatura interna di 'sala' partendo dal 'nocciolo', si chiama così
la cipolla, a proteggere tutta la pancia del fiasco. Quindi il lavoro
più affascinante a creare, trillando 'salicchio' e 'sala', trecce
sottili e resistenti. -"...l'hai saputa l'ultima, quella della
figliola di..." - solo un cenno senza pronunciare quel nome, per
non compromettersi - "oh che non gli andavano bene i nostri
giovanotti? È andata a cercarsene uno forestiero. Sembra sia di
Lontraino..."
-
Una treccia a formare una specie di colletto all'altezza delle
'spalle' del fiasco. Un'altra fissata al colletto per formare un
manico, come si trattasse di una borsa della spesa. Nel mezzo il
rivestimento esterno, dal 'nocciolo' al 'colletto', un filo di sala
per volta. Movimenti precisi, studiati, a scegliere il filo giusto, a
rasare testa e coda per una lunghezza uniforme. Un doppio passaggio
con l'ago nel nocciolo. La tensione uniforme fino al colletto... -"
ti va bene pane e spalla per merenda?..."- Addento quel panino
ad occhi socchiusi, ma attenti alla ripiegatura, al fissaggio sul
nocciolo. Un filo alla volta. Senza lasciare luce tra un filo e
l'altro. Usando fili di sala, uniformi per colore. Un fiasco per
volta, dal carretto nudi, che ritornano nel carretto vestiti. -"...in
questo fiasco c'è l'acqua fresca appena attinta al pozzo." - A
volte li conto, tutti a castello... -"..quando parte il tu'
Cecco per il militare?..." - è un brusio, quasi indistinto, per
me che sono preso da ogni mossa e da ogni commento, nel quale le
sorelle accompagnano ogni gesto e rispondono a ogni mia domanda.
Quando
riprendiamo il cammino, diretti verso casa, il gruppetto sotto la
tettoia è sempre al completo anche se, via via sono cambiati gli
attori. Chi va e chi viene sopratutto fra i vecchi di casa, mai
dispensati da compiti vari nell'orto o nella stalla. Il percorso di
ritorno verso casa, tutto in salita, ha due varianti che
improvvisiamo di volta in volta. Uno passando da San Lorenzo e dal
Poggio, l'altro prendendo sotto San Pietro alle Fonti per quel vicolo
che porta fino a Pancole. Percorso in salita con soste quasi ad ogni
curva, mentre nonno racconta, e commenta le ultime novità appena
sentite dalle sorelle Cei. E io a porre i miei perché su tutto o
quasi, quando si riprende il cammino fino al muricciolo successivo, o
alla pietra miliare a bordo strada. Buono quel vinello! Ci torniamo
presto. E su fino a casa, che mamma è in attesa per lavarmi e
mettermi a tavola. È quasi l'ora di cena.
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