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DOCUMENTARIO DIGITALE DI SAN MINIATO [ADDSM]
ADDSM - 1223, 15 gennaio, Accordo con il Comune di San Gimignano
[1° aggiornamento - 15 gennaio 2017]
ADDSM - 1223, 15 gennaio, Accordo con il Comune di San Gimignano
[1° aggiornamento - 15 gennaio 2017]
San Gimignano
Foto di Francesco Fiumalbi
In
questa pagina è proposto il commento al documento conservato presso
l'Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico,Comune di San Gimignano, 1223, 15 gennaio. Si tratta di un atto volto
a stabilire alcuni rapporti, prevalentemente di natura commerciale,
tra la comunità di San Gimignano e quella di San Miniato. Presenta
diversi aspetti di interesse, sia per l'argomento stesso del
documento, sia per quanto riguarda tutta una serie di informazioni
collaterali.
IL
CONTESTO
Siamo nei primi anni di regno di Federico II, incoronato a Roma nel
1220. San Miniato, almeno dagli inizi del XII secolo fu scelta quale
sede di un vicario, che curava gli interessi della corona nella
Toscana. La stessa comunità sanminiatese, già a partire dalla
seconda metà del XII secolo si era dotata di una organizzazione di
tipo comunale.
GLI
ATTORI
La figura centrale del documento è Alexander
che viene indicato come castellanus
per
conto di Gontholino
Vicario
imperiale per la Toscana. I Vicari imperiali, pur dimorando
ufficialmente nel castello di San Miniato, in realtà erano spesso in viaggio a causa dell'importante incarico diplomatico.
Infatti, proprio a partire dall'epoca di Federico II, erano soliti
avvalersi di un proprio uomo di fiducia, a cui affidare il controllo
sul castello sanminiatese durante i periodi d'assenza, con il titolo
di castellanus.
In altri documenti, temporalmente precedenti, la figura del
“castellano” spesso coincideva con quella del “vicario”.
Inoltre
accanto alla figura di Alexander
è
segnalata la presenza di Loderii,
indicato come militis,
e come suo socii.
Probabilmente gli incarichi di tipo amministrativo e giudiziario
erano affidati ad Alexander,
mentre a Loderii
era affidato un ruolo di tipo militare e organizzativo.
Curioso
poi il termine con cui viene definito Gontholino,
ovvero imperialis
aule
dapifero,
colui che porta le vivande per la corte imperiale. Con quel termine
viene sottolineato da una parte l'aspetto del “servizio” svolto
all'Impero e dall'altra gli viene riconosciuta una grande fiducia.
D'altra parte colui che porta il cibo potrebbe somministrarlo anche
avvelenato, e quindi per tale ideale mansione era necessaria una
persona in cui era riposta la massima fiducia. E la parola dapifero
è utilizzata proprio per rendere questa idea, ovvero che Gontholino
era un fedelissimo servitore dell'Impero.
Tornando
ad Alexander,
egli viene indicato anche come habito
consilio bonorum ac sapientum virorum sancti Miniatis,
cioè investito dell'approvazione da parte degli “uomini” del Comune di
San Miniato. Quindi, in questo accordo, Alexander
oltre a rappresentare gli interessi dell'Impero per conto del
Vicario, rappresenta anche quelli della comunità sanminiatese.
Quest'ultima, si era dotata, probabilmente, di un organo
rappresentativo costituito da un “consiglio degli uomini”,
antesignano del Consiglio del Popolo la cui descrizione possiamo
trovarla, un secolo più tardi, negli Statuti del 1337. Interessante
anche come vengono indicati questi “uomini”, ovvero bonum
e
sapiendum:
“buoni” che agivano con spirito di servizio e con fedeltà,
curando gli interessi della comunità sanminiatese, e “sapienti”
nel senso che erano persone istruite, fornite cioè di conoscenza, ma
anche di esperienza, ovvero della capacità di decidere sul da farsi.
Probabilmente per poter far parte di questo ristretto gruppo
decisionale, i membri, rigorosamente maschi, dovevano essere in
possesso di alcune caratteristiche morali, di istruzione e, forse,
anche di censo.
Quindi
Alexander
con
il potere conferitogli dal Vicario Gontholino,
con il consenso del suo socio Loderii,
e investito dal Consiglio degli Uomini "buoni e sapienti" del Comune di San Miniato,
stipula un accordo con il Comune di San Gimignano, che risulta
rappresentato da
lacobo Assedicti et Lamberto Turris et Sanguineo.
Quest'ultimi sono indicati sia come ambasciadoribus
comunis et hominum sancti Geminiani,
ma anche come consuli
mercatorum sancti Geminiani,
quindi oltre a rappresentare la comunità sangimignanese, sono i
portatori anche degli interessi commerciali.
Inoltre
a testimoniare la stipula dell'accordo, troviamo indicati i giudici
sanminiatesi Forteguerra
et Schiatta et Rodulfo,
una persona che non ha un ruolo ben specificato, Henrico
Paganelli,
mentre è interessante notare la presenza del tesoriere, ovvero
Hermanne
canevario eiusdem cassari.
Infatti, come è noto, il castello imperiale di San Miniato
funzionava anche come centro di raccolta per i tributi della Toscana
e di alcune zone dell'Umbria, e questo già dagli anni '60 del XII
secolo, al tempo di Federico I “Barbarossa” e quindi la figura
del tesoriere era certamente molto importante.
Infine
conosciamo anche colui che redasse fisicamente l'atto,
Deotisalvi de sancto Miniate,
giudice e notaio, investito della sua carica dall'Imperatore Ottone
IV.
L'ACCORDO
Con questo atto le comunità di San Miniato e di San Gimignano
stipularono un trattato di natura commerciale, volto a consentire ai
mercanti valdelsani di poter transitare attraverso il territorio
della comunità sanminiatese e del distretto imperiale secondo
determinate condizioni e garanzie. Lo stesso accordo venne
sottoscritto anche dai sangimignanesi nei confronti dei commercianti
di San Miniato. Quindi si trattò di un atto reciproco, anche se le
condizioni fissate dai sangimignanesi per il proprio territorio non
sono specificate in dettaglio.
L'atto
riconosceva ai sangimignanesi di poter entrare, spostarsi e sostare
per
castrum
et curiam sancti Miniatis (alludendo
al fatto che queste condizioni erano valide sia all'interno del
centro abitato, il castrum,
quanto nel territorio distrettuale, la curiam),
in plenam
securitatem,
e valeva per personis
et rebus omnibus.
Avere garanzie di questo tipo, significava poter attraversare un
territorio in sicurezza, tanto per gli uomini quanto per le merci da
trasportare. Era molto importante perché un mercante non sceglieva
necessariamente il percorso più breve, bensì quello più sicuro,
per sé e per il suo carico. Era una garanzia volta ad aumentare la possibilità che il trasporto andasse a buon fine. Inoltre venivano stabilite anche le
condizioni in caso di controversia.
Per
i Sangimignanesi era un accordo importante, che garantiva loro un
sicuro transito attraverso il territorio sanminiatese in direzione
nord, verso Lucca e i valici appenninici, e verso il porto fluviale
dell'Arno, da cui potevano raggiungere Pisa e Firenze.
I
Sanminiatesi dal canto loro si facevano pagare, d'altra parte per
niente non si fa niente. Infatti, il trattato prevedeva anche il
pagamento di un pedaggium,
fissato nella misura di 26 denari, e che dava il diritto di
transitare nel territorio sanminiatese dal rivo de Arsiccione
fino all'Arno e poi dall'Arno fino a Porcari. Il pedaggio, tuttavia,
non poteva escludere il pagamento di altre imposizioni locali,
evidentemente presenti nel tratto tra l'Arno e Porcari. Si potrebbe
osservare un tacito riferimento alla presenza di ponti, o in
alternativa di traghetti, presenti per l'attraversamento dello stesso
Arno, del fiume Usciana e di altri corsi d'acqua. Per poter usufruire
di questi servizi ovviamente era previsto un pagamento specifico che
non era compreso nei 26 denari di pedaggio.
Grazie alle preziose indicazioni di Franco Ciappi, siamo in grado di riferire il rivo de Arsiccione ad un
piccolo affluente di sinistra dell'Elsa, a confine fra gli attuali comuni di Montaione e Gambassi, denominato anche "Rio Petroso". Infatti, su un rilievo a sud di tale corso d'acqua, è presente il toponimo di Arsiccio dove era presente la chiesa di Sancti Micchaelis de Arsicciole, indicata nell'elenco delle suffraganee della Pieve di Santa Maria a Chianni (prossima a Gambassi Terme) stilato in occasione della Decima degli anni 1276-77 [P. Guidi, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, Vol. 1, La decima degli anni 1274-1280, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1932, p. 165].
La strada interessata dal pedaggio, con ogni probabilità, era l'antica via Francigena (la direttrice nord-sud, comprensiva di varianti e diramazioni), il percorso che l'Arcivescovo Sigeric fece da Roma per tornare a Canterbury alla fine del X secolo. A questo punto prende significato anche la data dell'atto, il 1223. Infatti, nel 1217 l'Imperatore Federico II, non ancora incoronato, aveva concesso ai sanminiatesi i diritti sulla strada, assieme a quelli sul borgo di San Genesio. Quindi chi voleva transitare da quell'arteria viaria, doveva farlo secondo le modalità che sarebbero state fissate dai sanminiatesi. Tuttavia, stando al documento, almeno fino al 1223, sembra che il Vicario imperiale, o comunque il suo rappresentante, potesse ancora vantare diritti sulla strada. Se non altro un diritto di veto. Tra l'altro il luogo dove doveva essere corrisposto il pedaggio sembra non essere ancora stato fissato alla data del 1223. Infatti nell'atto viene specificato che sarà fatto pagare in uno loco ad voluntatem castellani, che quindi non era ancora stato deciso.
La strada interessata dal pedaggio, con ogni probabilità, era l'antica via Francigena (la direttrice nord-sud, comprensiva di varianti e diramazioni), il percorso che l'Arcivescovo Sigeric fece da Roma per tornare a Canterbury alla fine del X secolo. A questo punto prende significato anche la data dell'atto, il 1223. Infatti, nel 1217 l'Imperatore Federico II, non ancora incoronato, aveva concesso ai sanminiatesi i diritti sulla strada, assieme a quelli sul borgo di San Genesio. Quindi chi voleva transitare da quell'arteria viaria, doveva farlo secondo le modalità che sarebbero state fissate dai sanminiatesi. Tuttavia, stando al documento, almeno fino al 1223, sembra che il Vicario imperiale, o comunque il suo rappresentante, potesse ancora vantare diritti sulla strada. Se non altro un diritto di veto. Tra l'altro il luogo dove doveva essere corrisposto il pedaggio sembra non essere ancora stato fissato alla data del 1223. Infatti nell'atto viene specificato che sarà fatto pagare in uno loco ad voluntatem castellani, che quindi non era ancora stato deciso.
IL
CASTELLO DI SAN MINIATO Nel
documento ci sono una serie di informazioni collaterali che possono
tornare utili per cercare di capire come era organizzato il centro
sanminiatese.
Innanzitutto
merita fare attenzione sui termini. Con cassaro
sancti Miniatis
viene indicata l'incastellatura vera e propria, il presidio militare
dove era presente l'amministrazione imperiale, ovvero quella che noi
oggi chiamiamo la “rocca” e che spesso troviamo indicata anche
con il termine “cassero”. Con castrum
è indicato invece il borgo fortificato, il centro cittadino, che si
estendeva al di sotto del castello imperiale. Infine con curiam
deve intendersi il territorio, o distretto, giurisdizionalmente
dipendente dal centro sanminiatese.
L'amministrazione
imperiale, abbiamo visto, si componeva almeno di quattro figure
significative: il legato (o vicario), il castellanus,
il militis (responsabile militare) e il canevario
(tesoriere), oltre a tutto il seguito di iudibus (i
giudici) e di notai. Più controversa la situazione
dell'organizzazione comunale sanminiatese, in cui sembra comunque
essere presente una sorta di Consiglio degli Uomini.
Infine, come riportato
al termine dell'atto, il trattato viene registrato in cassaro
sancti Miniatis ante ecclesiam beati Michaelis, cioè all'interno
del cassero e davanti la chiesa di San Michele Arcangelo, che
sappiamo essere stata costruita proprio all'interno della fortezza
imperiale. Il titolo della chiesa, dopo un lungo periodo di
abbandono, fu trasferito all'interno della chiesa di Santo Stefano,
anch'essa suffraganea della Pieve di San Genesio prima e della Pieve
SS. Maria e Genesio (oggi Cattedrale) poi.
[1° aggiornamento - 15 gennaio 2017]
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