di
Giancarlo Pertici
NOI...
QUELLI DELLE LUCCIOLE
Noi
che non avevamo la Tv in casa, noi che non avevamo il cellulare, noi
che andavamo a scuola a piedi, noi che la domenica mettevamo il
vestito buono... avevamo invece raggiunto una certa autonomia che in
estate, a dispetto di tutto e tutti, ci consentiva di recuperare
giorno per giorno il necessario per il gelato da CIONCE. Avevamo la
nostra 'carta di credito', o meglio il nostro 'bancomat' che
funzionava solo in estate.
Noi...
'quelli delle lucciole', da maggio in poi ogni sera liberi di
catturare tutte le lucciole che volevamo, senza limiti come ci sono
oggi per le chiocciole, e che la mattina ci rendevano sempre almeno
10 lire. Oggi nessuno va più a far lucciole... forse sono fuori
corso legale? rendono solo lire? Potrebbe essere un motivo valido per
abbandonare l'€uro.
...noi
siamo come le lucciole, brilliamo nelle tenebre...
Con
l'inizio del mese di maggio pare che qualcosa cambi già nell'aria,
come se la primavera stesse per scoppiare all'improvviso, tutta
protesa verso l'estate. E le abitudini sembrano seguire a ruota.. o,
forse, anche tracciare il solco da seguire, senza tentennamenti e
piacevolmente verso spazi e tempi che vanno ad aggiungersi a quelli,
per noi bambini, irrinunciabili, da destinare al gioco, al gioco
comunque inteso. Anche se c'è un prezzo da pagare, una sorta di
biglietto di ingresso, un po' come quello che ci strappano al cinema,
per un 'dopo cena' diverso, talmente stuzzicante che la prima volta
si rischia di uscirne ubriachi. Almeno questa resta la sensazione che
mi porto addosso e dentro, quando, mano per mano a nonno Nuti, mi
ritrovo affannato e tutto sudato lungo le rampe delle scale che
portano al primo piano, alla nostra prima camera. L'ora tarda, quella
che ricordo come essere la prima volta, almeno nei modi quasi bruschi
di nonno, il quale, posando la 'cipolla' sul comò, esclama, in un
tono che non ammette repliche - "subito a letto! ...prima la
preghiera a San Giuseppe... poi si spegne la luce." - E in
effetti, appena sotto le lenzuola, neppure ricordo quanto di quella
preghiera sia uscita dalle mie labbre, che mi ritrovo più che nel
sonno, catapultato di nuovo in quel mondo notturno dal quale sono
appena uscito. Ed è proprio per questa sorta di sogno, fatto per
rivivere e far durare più a lungo quella realtà, che ancor oggi, a
distanza di tanti anni, ne ritrovo tracce sensibili nella mia mente.
Che
con maggio sia cambiato qualcosa lo si sente anche dall'atmosfera che
si respira in chiesa per il 'Maggio'. Diversa da quella delle
'Novene' di Natale o del rosario nel mese di ottobre, a portone
sprangato, rinserrati nei pastrani con sciarpe al collo, pezzola o
velo pesante per le donne a coprire anche le spalle a mo' di scialle,
mentre dense volute di vapore accompagnano il masticare di 'marie' e
di 'padrenostri'... e noi immobili, quasi irrigiditi per evitare il
disperdersi del calduccio dentro il pastrano, quello accumulato in
casa davanti al camino. Pronti poi, alla fine, a far ritorno
silenziosi ed in fretta tra le mura di casa.
Il
Maggio è altra cosa. Non segna la fine della giornata, bensì
l'inizio di quella parte tanto attesa che assaporiamo in piena
libertà all'aperto: divertimento puro... fatica, se c'è, che riesce
a lavare anche quella accumulata durante il giorno. Diversa anche la
disposizione in chiesa per il Maggio. A parte io e nonno Nuti, sempre
i soliti, nella prima panca. Gli altri, e sono la maggioranza,
tendono a riempire le panche iniziando dal fondo di chiesa, mentre
per la novena di Natale siamo soliti stringersi stretti attorno
all'altare, quasi gomito a gomito. E in quello stare in fondo, quasi
sull'uscio, sta tutta la voglia di uscire che non sempre riesce a
contenersi, nei modi e neppure nei tempi. Qualche risatina mal
repressa, lo scalpiccio tra il salire e il ridiscendere
dall'inginocchiatoio, il rintocco di qualche scappellotto sonoro e -
"un sta' un' po' bono" - sussurrato, ma poi neppure tanto,
teso a coprire la frignata di rimando, mentre il prete di turno, il
Bellaveglia, ogni tanto spazientito si volta verso il fondo a
lanciare occhiate minacciose. Poi l'organo copre tutto o quasi e la
funzione principia.
Ma
alla benedizione finale...- "ego benedico vos, in nomine patris
et filii et spiritus sancti" - sembra la partenza di una gara
sui cento metri. Tutti o quasi, noi bambini, a barare sul millesimo
per giungere per primi in piazza, per quel posto che ognuno ha
prefigurato per quella sera, per i giochi provati, per quelli
sognati, per quelli lasciati a mezzo la sera prima. All'Amen, di
regola, in chiesa non c'è più nessuno, almeno di noi più piccoli.
Neppure nonno Nuti tenta di trattenermi, si accontenta di seguirmi
con lo sguardo per capire da che parte della piazza ritrovarmi.
Al
tenue lume dei lampioni, quella piazza, quella nostra piazza davanti
all'ospedale, appena uscito 'il maggio' di chiesa, si riempie, si
anima. In quelle due panchine piazzate ai lati del portone
dell'ospedale, ci piazziamo noi, siamo quelli di mezzo per età... si
gioca a "dire, fare, baciare, lettera o testamento". Sul
prato, nella penombra, è la volta dello 'sculaccione'. Sugli scalini
della cisterna, qualche nonno carica la pipa e si fa qualche tirata,
mentre osserva la scena dall'alto. Dalle finestre del primo piano
malati e infermieri a guardare chi passa; qualcuno a pariglia o a
braccetto, chi a chiacchiera, chi fa il giro della piazza, chi va e
chi viene da Piazza dei Polli fino all'ospedale per più giri.
All'ombra, ed è sopratutto ombra, della querce d'angolo accanto alla
chiesa, si gioca sopratutto a nascondino. Sono i più grandi intenti
in questo gioco, anche se non ho mai capito perché nessuno li vada a
cercare. Forse sono andati anche loro a fare lucciole.
Ed
è quasi sempre a fine serata, prima che scatti l'ora del rientro,
che ci disperdiamo in mille rivoli a catturare quelle lucciole che ci
stanno osservando nella penombra. Le vedi bene da lontano. Ma quando
ti avvicini sembrano svanire, sfuggenti, sembra che vadano a
rifugiarsi all'ombra dei lampioni dove non le puoi vedere. Io ho
imparato un segreto. Non ricordo da chi l'ho imparato anche se mi
sembra di averlo sempre saputo. Non ci vuole fretta. Delicatezza, un
passo leggero in perfetto silenzio, un passo per volta teso ad
individuare una lucciola alla volta, senza spaventarla. E appena a
portata di mano, con le mani protese a coppa, la raccolgo sfiorandola
appena, facendola posare sul palmo, ché non si spenga quel suo
lumicino intermittente, per riporla in una scatola o in un vasetto di
vetro. I posti migliori sono quelli negli angoli, all'ombra delle
quattro querce, davanti al cancello della Ragnaia, all'imbocco di
'Sotto il Ponte', ma anche lungo le scarelle di mattoni che da vicolo
Borghizzi portano a Pian delle Fornaci. È all'imboccatura di un
portone buio, è dietro un angolo dove la luce dei lampioni non
arriva che si raccolgono a frotte, tutte in gruppo prima del momento
del rientro, il loro, come quando le rondini si raccolgono sui fili
della luce per il rito della migrazione. Quello è sempre il momento
migliore.
-
"Ora ti bastano, è il momento di andare a letto, è già molto
tardi" - Nonno è sempre convincente quando per una mano mi
trascina verso casa. Nell'altra un fagottino, o caramelle o un
cavalluccio. Ma non prima di aver messo al sicuro il mio tesoretto,
che depongo ogni sera sopra il tavolo di cucina, sotto la campana di
vetro a far compagnia alla sveglia. È li che le lucciole portano
buoni frutti. Bastano sempre per il gelato, qualche volta anche di
più, sopratutto se a controllare il risultato della nottata c'è già
passata mamma, senza che nonno se ne sia accorto. Non mi hanno mai
tradito le lucciole, mai una volta... ossia, una volta sì! Un mezzo
tradimento patito da attese eccessive, quella volta che la raccolta
fu talmente abbondante e in anticipo sull'ora solita che dovetti fare
due viaggi da piazza a casa. Mi aspettavo un risultato
eccezionale...- "anche se avessero fatto una sola moneta
ciascuna..." - . Invece la mattina dopo, dopo la solita immane
strage di lucciole, il trovare appena dieci lire sotto la campana ha
l'amaro sapore del tradimento. Solo l'anno dopo, a scuola, forse
riesco a farmene una ragione, forse, racchiusa in una parola nuova
imparata a scuola: inflazione.
Da
quella volta ho cessato di fidarmi ciecamente delle lucciole. Faccio
affidamento sopratutto a nonno Nuti, lui non tradisce mai.
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