DLXXII. Come lo campo di
Genova fu scomficto da' ghibellini. [anno
1398]
Facto il dicto spartimento a' predicti Bertalocti fu notificato come
li guelfi erano separati da' ghibellini ; e volendosi i dicti Bertalocti di
quelli guelfi vendicare, e vedendo la quantità, subito richieseno l' aiuto a
coloro che 1' aveano già proferto. E a dì ultimo aprile si raunònno di più
luoghi, e maximamente delle brigate e huomini di messer Nicholò Pavigino da
Parma, circha .CCCC. fanti; e di quelli marchezi di Valdistassa, Valdimagro e
Mulazzo più di .VI.C; e simile delli nomini del dugha di Milano; e a
sua pititione da Pontremoli e delle terre soctoposte al duglia, e d'altro,
tanto che il dicto dì furino alla 'ncontra al campo de' Genovesi. E questo
vedendo, lo capitano de' Genovesi e quelli chapi guelfi, dubitando, et col
dubitare comfortandosi e armandosi, la brigata ghibellina del campo di ciò
acorgendosi, veduto le genti, venute in soccorso di que' Bertalocti essersi
messi a dosso a' guelfi, non che quelli aitassero, ma di loro non curandosi et
più tosto essere loro contrarli, dando loro per costa, offendendo que' guelfi
per tal modo che im poga d' ora i dicti guelfi funno messi in volta e sconficti
e funone morti di ferro e anegati più di .CC. E simile fu morto lo dicto
capitano e i dicti Mellone e Antonio da Lerici capi de' guelfi. Lo resto messi
in iscomficta, e più di .V.C presi pregioni, lassando tucto careaggio.
E così lo campo de' Genovesi fu scomficto.
Vedendo quelli guelfi che erano schampati del campo il danno loro, e
quello che per li ghibellini era loro stato facto, pensorno di vendicarsi di
chi non avea colpa. E come pensòro così ferono, che vennero al castello di
Trebiano, nel quale la magior parte erano ghibellini, e quello castello per li ghibellini
sostenea, non acorgendosene, fu preso da' dicti guelfi, e tucti i ghibellini che
dentro e di fuori trovòro missero al taglio della spada. E a questo modo è
cominciata la danza in nella riviera, e tucto questo si tiene esser stato facto
colle genti del dugha di Milano et conte di Virtù.
E perchè a tale richiesta infra li altri die' aiuto lo marcheze Marco
da Olivola giurato al dugha, richiese il dugha di brigata a sua difesa e per
potere a li amici del dugha porgere aiuto. Al quale il predicto dugha mandò
fanti .CC. e passaron da Pontremoli a dì .VII. maggio in 1398; li quali il
dicto messer Marcho misse in uno suo chastello nomato Verano; della quale venuta
li marchezi guelfi molto dubitònno, stringendo le loro brigate e faccendo bene
guardare le fortezze.
Essendo lo castellano del castello di Barbialla della corte di Saminiato
richiesto da alcuno uscito e ribello di Saminiato, a pititione di messer Iacopo
d' Appiano di Pisa, se volea intendere a dare la dieta fortezza con promecterli
gram quantità di denari, il predicto chastellano dando audiensa rispuose: Or
che vorreste che io facesse? Al quale fu dicto: Se ài intendane di ciò, voglamo
che ti vagla molti denari; e acciò che inganno non ci sia, vogliamo che tu ci
dii per statichi lo tuo figluolo e 'l tuo nipote. Ai quali rispuose che di ciò
si volea apensare. E così rimanendo la cosa, il predicto chastellano
secretamente se n' andò a Firenza e parlòne co' .X. della guerra, dicendo che
pensava prendere gran quantità di genti di Pisa e alcuno ribello di Saminiato, e
narrò tucto l' ordine. Li quali .X. dissero che seguisse quello che aveano
ragionato, dicendo: tu ne varrai molto di meglio. Lui rispondendo disse: Ellino
voglono per statichi il mio figliuolo e 'l mio nipote. I .X. dissero: dalli securamente,
pero che noi prenderemo tanto buoni pregioni, che bene riaremo il tuo figluolo
e nipote. E così si partìo da Fiorenza e ritornò verso il castello che avea a
guardia.
O astutia di voi, che con inganno cerchate tradire, come non avete
pensieri che Dio tucto vede e de' folli ognuno de' punire? certo la vostra
astutia, e più tosto sto dia che senno, a volere consentire molto male potendo
da tale male guardarsi. E prima dico a voi che richiedeste il castellano che
facesse tractato contra il suo comune, poco fuste savi, e se male ve ne
'nconterrà l'arete bene guadagnato. E tu, chastellano, chome di prima faceia
volesti dare audiensa a chi cerchava il tuo danpno e vergogna? E se pure tale
audiensa desti, e ciò facesti noto a' tuoi signori,
come acomsentisti da poi, chome udirete, fare tradimento doppio?
ragionevilemente da ciascuna delle parti ne sarai poco pregiato, e a tempo te
ne troverai punito tu e tucti quelli che in simile acto consentissero, e mai
neuna comunità di tali tractatori chome tu, chastellano, non si denno fidare.
Ritornato il dicto chastellano al chastello di Barbialla, secretamente se n'andò
a Pisa a parlare com messer Iacopo d' Appiano e con quelli che di principio l'
aveano richiesto, dicendo che fare' tucto ciò che a lui era stato chiesto com
proferire il figluolo e 'l nipote.
Al quale ragionamento messer Iacopo aconsentìo dicendo: Quanta brigata
bizognerà a contasto della terra? Rispuose: Se mandate .CL. fanti in .CC. con
alcuno homo da cavallo, vasteranno. Al quale messer Iacopo rispuose: Io ne
manderò più assai, acciò che vengna facto. Messo lo tradimento in sodo, il dicto
chastellano ritornò a Barbialla e mandò lo figluolo e 'l nipote a per stadichi.
O chane di castellano, a consentire che il tuo figluolo e nipote tossono
chosi tenuti, che sapei lo tradimento che avei ordinato, e pensi tu, che per
pregioni che abbi messtr Iacopo ti ristituischa i tuoi? captivo pensieri ài
avuto.
Salvatore Bongi (a cura
di), Le Croniche di Giovanni Sercambi,
Vol. 2, Tip. Giusti, Lucca, 1892, pp. 179-182.
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