giovedì 1 novembre 2012

NOVEMBRE - I MESI DI PIETRO BAGNOLI

a cura di Anna Orsi


Idillio tratto da "POESIE VARIE" di Pietro Bagnoli, Can. Samminiatese, Prof. di Lettere Greche e Latine nella R. Università di Pisa, Antonio Canesi, Tomo II, Samminiato, 1834: GLI ULTIMI SEI MESI DELL'ANNO - Idilli, pp. 177-179.

Novembre a San Miniato
Foto di Giuseppe Chelli


IL PRIMO
DI NOVEMBRE

I.
Se il Pastorello della Valle Idea,
Giudice eletto infra le Dee più belle,
Concesse il Fatal Pomo a Citerea,
Che la più bella giudicò di quelle,
Noi concediamlo alla più saggia Dea,
Disse un coro gentil di Damigelle,
Ponendo il Pomo ove l'altar fu dritto.
Nel Pomo “alla più saggia” aveano scritto.

II.
Tra le gare immortali, o casta Diva,
A te il primiero onor chi non consente?
Che ritrovasti la felice oliva?
Tal del Consiglio degli Dei fu mente.
Il superbo corsier, che scaturiva
Dallo scoglio al colpir del fier tridente,
Che nitrìa, che scotea l'alta criniera,
Util cotanto al paragon non era.

III.
Non d'Ercol, non d'Apollo, o di Dodona
L'arbore venerata avea tal loda,
Quantunque spessi oracoli risuona
Tortorella che gemere vi s'oda.
Che l'orgoglioso augel, che s'incorona,
Dietro col cerchio dell'occhiuta cosa?
Che han che far di Venere i lascivi
Consier colanti, coi fecondi ulivi?

IV.
O fronda, onor delle virginee tempie!
Pallida sì, che di modesta segno,
E di studio, e di mano sei, che adempie
Belle Arti, ed opre di sagace ingegno,
Ma sempre verde, ma il cui tronco s'empie
Di frutto a produr luce utile e degno,
Il cui licor tal si mantien, qual esce
Dall'arbor suo, né con altrui si mesce.

V.
Così dicean, d'olivo i bei capelli,
In quel che di Novembre era il dì primo,
Cinte le Ninfe, e giù dai ramuscelli
Nereggiava pendente il frutto opimo.
Poi gian cercando in questi lochi e in quelli,
Quai pecchie industri all'odoroso timo,
Adatti ad intrecciar vari lavori,
Colorati virgulti, e fronde e fiori.

VI.
E come l'Api fanno il dolce mele,
Così scorze pieghevoli, e tenaci
Fila d'erbette e fiori in trecce e in tele
Torcean le Ninfe colle man capaci,
Mescan per vezzo amabili querele
E risse, che finiano in care paci,
Mostrando stretto nella chiusa palma
Il ramuscel che pon le liti in calma.

VII.
Ciò tutto la gentil schiera eseguia
Per onorar di Palla la memoria,
Per cui coll'asta e l'egida copria
Le bell'opre di pace la Vittoria.
E dicean la sentenza: “ove non sia
Util ciò che si fa, stolta è la gloria.”
Clelia, che avea l'estro Febeo, compose
Un carme, e scritto al sacro altar l'appose.

VIII.
Dea del saper, figlia del gran pensiero
Del Dio ch'agita i nembi e la tempesta,
Che adulta già con asta e con cimiero
Uscisti fuor della divina testa,
Che ritrovasti ogni arte, ogni mestiero,
Questi a Te un Coro di donzelle appresta
Tenui lavori, e l'aste e le corone,
E i sacri rami all'Ara tua depone.

2 commenti:

  1. Mi è stata di difficile comprensione, forse duvuta al mi modesto comprendonio. Un riassuntino...no!

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    1. Beppe, come puoi leggere nel post dove si parla di tutti i mesi... questi sono idilli che servivano da corredo ad un calendario voluto dalla Granduchessa Maria Luisa. La cosa è interessante perché ci fa vedere gli sforzi retorici (nel senso propri della retorica, disciplina vera e propria a quel tempo!) per mescolare i pomi, le olive, il timo con dee, ninfe, damigelle... oggi ci sembra un qualcosa di assurdo, incomprensibile, patetico. Invece all'epoca (a cavallo fra 700 e 800) questo era il massimo dello chic letterario nella corte granducale toscana. Dove tutto era filtrato dalla luce "divina", in effetti... rispetto ai poveri contadini delle campagna, i cortigiani potevano ben paragonarsi a certe divinità... vivevano nel lusso... e tutto doveva tendere al lusso, anche le parole...

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