di Giancarlo Pertici
Il
Corpus Domini e la sua processione
Quando,
in quelle domeniche sul finire degli anni '50, all'alba, risuona il
primo 'doppio' della vicina chiesa di Santa Caterina ad annunciare la
Messa, in noi bambini, sopratutto, si risveglia quel motivetto, sigla
finale del Musichiere (Domenica è sempre domenica), che ci sta
accompagnando da alcune settimane già nel sonno. Tanto ché quel
versetto, si sveglia la città con le campane, a noi di Piazza Santa
Caterina, pare calzare proprio a pennello, appena il campanone del
Duomo risponde a tono, dopo i primi timidi tentativi di risposta
delle campane minime di San Paolo e di Santo Stefano. Ed è così che
Domenica è sempre Domenica mi accompagna fin da grande, lasciando al
campanone del Duomo il compito di fare la parte, quando di quello del
Gianicolo, quando di quello di Sant'Angelo.
Che
è domenica, ossia giorno del Signore, non me ne potrei dimenticare,
sotto gli occhi vigili di nonno Nuti. Domenica che comincia con la
preghiera del mattino (ma così è sempre ogni giorno, prima di
alzarsi da letto) e che trova compimento nell'ascolto della Messa:
alle 9 esatte, prima panca possibilmente. Per lasciare poi spazio,
nel pomeriggio, al giorno di riposo assoluto o quasi, che si celebra,
in riti profani, in quei piccoli santuari del divertimento
disseminati ad arte, lungo la strada che, partendo dall'Ospedale, per
l'intero crinale, attraversa tutta San Miniato.
Domenica
che, oltre che essere giorno del Signore, è ed è vissuto, come
giorno di riposo, salvo due particolari eccezioni, la Pasqua e il
Natale.
Il
giorno di Natale anche noi, senza eccezioni, restiamo tutti in casa,
compresi i giovani zii fidanzati. Quel giorno ci dilunghiamo a
tavola; pranzo lunghissimo, giocando a carte o a tombola. Per Pasqua,
invece, quasi sempre in programma una scampagnata, merenda compresa,
dall'amico o dal parente di turno che è quasi sempre zio Cesare, in
quel podere posto sotto l'ospedale: spalla e baccelli a fare da
aperitivo alla cena, tanto si dilunga quel pomeriggio. È così che,
senza grosse sorprese, scopriamo che certi posti segreti, o come noi
tali li riteniamo, sono gli stessi che già i nostri genitori e anche
i nostri nonni hanno frequentato, negli nostri stessi modi e tempi,
anche se con qualche piccola variante dovuta al passare degli anni.
Diverso,
invece, il momento in cui riesco, per la prima volta, a capire fino
in fondo la metamorfosi che si compie in occasione del Corpus Domini.
Metamorfosi solo temporanea e occasionale, giusto il tempo di
celebrare il Corpus Domini, processione compresa. Per me tutto ha
inizio nel '58, anno della mia 'prima comunione'. È suor Maria
Luigia, del monastero di San Paolo, che ci prepara alla Comunione,
come già ci aveva insegnato a servire messa. Non solo domande e
risposte, ma anche storie. Una sopratutto che mi affascina da subito,
e che da sola, forse, riesce a spiegare quella metamorfosi che si
compie magicamente ogni anno. È così che il giorno del Corpus
Domini diventa eccezionalmente, giorno 'interamente' dedicato al
Signore almeno nella forma, da parte di tutti o quasi.
È
così che suor Maria Luigia ci narra di questa solennità e di come
viene introdotta nella Chiesa, per volontà di papa Urbano IV, dopo
il miracolo avvenuto nel 1263 a Bolsena vicino a Viterbo, da
celebrare il giovedì dopo l'ottava della Trinità. Il fatto narrato
è quello di un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, che si
ferma a Bolsena a dire messa e che, al momento dell'eucaristia, nello
spezzare l'ostia, è pervaso dal dubbio che possa contenere realmente
il Corpo di Cristo. È allora che dall'ostia spezzata escono alcune
gocce di sangue che macchiano il corporale e alcune pietre
dell'altare.
L'anno
successivo al 2° solenne Congresso Eucaristico Diocesano,
celebratosi nel mese di settembre del 1960, rafforza il clima di
coinvolgimento e di collaborazione della gente. Per uno che come me,
in quel periodo seminarista, è passato anche dalla coinvolgente
esperienza del Congresso Eucaristico Internazionale di Catania del
59, è il privilegio di un punto di osservazione speciale, se non
unico, a mantenere memoria di momenti, di liturgie, del clima, del
coinvolgimento emotivo, della laboriosa condivisione tra clero e
popolo, tali da renderla, nella memoria momento unico e irripetibile.
Ed è proprio nei giorni successivi alla domenica della Trinità,
giorni che precedono il giovedì del Corpus Domini, che avverti,
anche con tutti i sensi, che si tratta di quella settimana, della
settimana del Corpus Domini.
Forse
è anche il penetrante profumo delle ginestre, manipolate, sfogliate
in ogni dove, ad invadere, dalla valle di Gargozzi, l'aria
surriscaldata del primo pomeriggio... Forse anche il punto
d'osservazione privilegiato, accanto al giardino della Misericordia
ben curato con i suoi roseti nel pieno della fioritura... Quei campi
terrazzati che degradano fino in fondo alla valle, con pochi residui
di fave sfiorite e con cicoria oramai in seme, a testimoniare a cosa
erano coltivati fino a pochi giorni avanti quei campi, ora
disseminati di fiori selvatici e papaveri rossi, sopratutto sui
ciglioni e lungo le ripe... I Campi a grano in valle, accompagnati
come al solito da un multiforme tappeto di papaveri e margherite di
campo, che beneficiano del lungo periodo di riposo del terreno per
fiorire in tutta la loro bellezza. È anche il borbottio indistinto
di mamme e nonne, come il gracidare gioioso di bambini, da soli o al
seguito, ad attirare l'attenzione verso valle. Se volgi lo sguardo in
quei giorni... al convergere dei sensi tutti... allora vedi e senti
il popolo 'devoto' degli addetti, diretti o meno, all'Infiorata del
Corpus Domini.
Si
intrecciano gruppi nei campi liberi da culture, lungo i muri degli
orti dei vicoli carbonai, da Pian delle Fornaci fino anche a Santa
Chiara e oltre. Se ci potessimo affacciare oltre il visibile, oltre
Pian delle Fornaci, oltre Scacciapuce, oltre i Cappuccini, pare un
esercito di cercatori indaffarati a racimolare ogni briciola, ogni
residuo utile di verde e di fiori, nelle grotte, nei broti, in tutti
gli anfratti. I fiori i più gettonati, le ginestre e i papaveri; tra
il verde, le foglie di acacia e di quercia, ma sopratutto quelle di
gattice, per il colore cangiante dal verde all'argento. Tra i
cercatori non solo i frontisti interessati dal passaggio della
processione, ma anche tutti quelli di fatto esclusi, che vivono in
San Martino e a Le Colline, ma che si sentono partecipi dell'evento,
dando una mano e non solo, a rendere particolarmente bello e
significativo quel tratto che va da Piazza San Domenico a Piazza
Grifoni, fino anche in fondo alla discesa della Nunziatina. Le zone
di raccolta allargate anche a tutta la valle San Carlo e a quella di
Cencione, mentre qualcuno, in cerca di ginestre, si spinge anche nei
dintorni del bosco di Paesante.
Nel giardino del Vescovo, che si affaccia sulla Piazza del Seminario, qualcuno ha fatto incetta delle rose in fiore anche nei giorni precedenti, riponendole al fresco. L'orto delle monache di San Paolo, circondato e arredato in tutti i vialetti da siepi di rose in fiore per quasi tutto l'anno, è stato passato al setaccio dalle novizie, panieri e forbici alla mano, per consegnarne il frutto a Eliseo, sacrestano della chiesa di San Paolo. Troverà nel figlio Tarcisio, nei nipoti e nei vicini d'uscio gli aiutanti a farne petali per trasformarsi magicamente in tappeti floreali a dare il benvenuto a Gesù che passa: questo il senso del Corpus Domini, così come anche è sentito dalla gente. A casa mia, Casa Vannini, come da nonno Musolino la raccolta è sempre abbondante. Passando davanti casa mia in processione, non c'è pericolo di sfigurare per l'abbondanza dei fiori, opera delle donne di casa.
Ci
si avvicina così al giorno fatidico, anche in Seminario, già prima
della SS. Trinità, con prove ripetute dei canti previsti, sopratutto
per la processione; primi fra tutti il Lauda Sion, il Pange Lingua e
il Tantum Ergo. Prove quotidiane, per canti oramai nel repertorio del
Coro, compreso Sacramento Mirabile, inno Ufficiale del Congresso
Eucaristico del Maestro Diddi, che mai ha riscosso le simpatie di
mons. Stacchini, il direttore. Giornate particolari, a ridosso delle
vacanze, ma anche degli esami. Giornate quindi intense ed impegnative
che sottraggono tempo ai pochi momenti di svago, destinati
diversamente, oltre che alle prove, anche a contribuire, nel nostro
piccolo, all'addobbo della Piazza del Seminario. Occasione che,
quell'anno, si coniuga con i campetti sottostanti, appena donati al
Seminario, coltivati sopratutto a insalata e baccelli, che hanno
fatto crescere spontaneamente sopratutto papaveri. È l'unico momento
divertente del periodo che io ricordi, oltre alla solita fame e al
caldo a rendere anche più faticosa la particolare giornata del
Corpus Domini. Giornata senza fine, così rinserrati tra tonaca e
cotta, alla luce e al calore del sole di giugno. Mentre i papaveri
raccolti vanno a rinforzare la scorta di petali di rose del giardino
del Vescovo. Mischiati al verde, raccolto e portato da volontari,
costituiscono la dote di un manipolo di seminaristi della camerata
dei 'Grandi'.
Li
vedi all'opera il giovedì a inizio pomeriggio, tonaca raccolta a
tracolla, a tracciare al centro strada una sorta di tappeto
variopinto: i bordi costituiti sopratutto da foglie cangianti di
gattice, e al centro quasi un arabesco di colori, tra il verde e il
rosso, il rosa e il giallo. Foglie di acacia, di quercia e di
gattice, mischiati a petali di rose, di ginestre e di papaveri
sopratutto, cosparsi con un ampio gesto della mano, ripetuto, a
rilasciare piccole volute di foglie e petali, come fossero preziosa
semente da non disperdere, ma, entro i limiti segnati dai bordi, a
centro strada, né troppo radi né troppo fitti. Gesti che sembrano
appartenere a mani esperte di contadini, e spesso lo solo, anche se
solo figli. A margine della strada, vasi di fiori a segnare il
cammino, di quel tappeto, uniforme di petali e di foglie, disteso nei
due sensi, cosparso con gesto sapiente, lo stesso con cui in autunno
si semina il grano. Risultato ammirabile.
È alla stessa ora che, lungo l'intero perimetro previsto dal percorso, il variegato popolo del 'Corpus Domini' inizia a muoversi, come da copione imparato a memoria. Ognuno prende possesso del proprio pezzetto, quello davanti l'uscio di casa, e lo decora usando tutto quanto è riuscito a mettere insieme nei giorni avanti, tra foglie e petali di fiori. Si inizia dalla parte che dal Crocifisso scende fino in Piazza de' Polli e arriva fino all'Ospedale, e a seguire la parte 'di là' di San Miniato, che scende in piazzetta del Fondo e, passando davanti alla chiesa di San Domenico, arriva fino a Santa Chiara. Non solo gesti, preziosi e studiati, di uomini, donne e bambini, addetti all'infiorata, ma anche occhi vigili in servizio di ronda ad evitare intrusioni, per conservare intatta l'infiorata fino al passaggio del Santissimo, e a tener lontani curiosi e perdigiorno, per la verità pochi il giorno del Corpus Domini.
Poi
alle 2 esatte tutti in Cattedrale per le ultime prove e per gli
ultimi dettagli, vestiti di tutto punto con tonaca e cotta, mentre un
brusio indistinto annuncia il popolo in cammino. Sopratutto quello
del 'suburbio' che raggiunge Piazza del Duomo passando per l'unica
strada percorribile, quella proveniente da La Scala. Chi a piedi, chi
con corse eccezionali dei Pulman 'Danti e Biagioni' programmate per
l'occasione ogni anno. Le prime parrocchie ad arrivare quelle più
lontane come Isola, Roffia, Marcignana, Brusciana e Pianezzoli.
Ognuna con la propria compagnia del SS. Sacramento, le suore
dell'asilo se ci sono, chierichetti e bambini della Prima Comunione.
A seguire la due parrocchie di Ponte a Elsa. Da Calenzano e da
Marzana l'arrivo è sempre alla spicciolata, per un viaggio a piedi,
la prima attraversando tutta San Miniato evitando di calpestare
l'infiorata che addobba il centro della strada, la seconda che
irrompe dai vicoli carbonai, dalla Via Angelica o da sotto il
Seminario per lo sdrucciolo a ridosso delle Scuole. Poi è la volta
di San Miniato Basso, di Sant'Angelo e de La Scala.
Le
compagnie del SS. Sacramento ben riconoscibili dalle diverse 'Cappe',
tutte dal nero dominante come colore, alle quali si aggiunge
eccezionalmente la storica Compagnia del SS. Crocifisso di
Castelvecchio. Ogni gruppo si sparpaglia tra piazza del Duomo, il
Viale della Rimembranza, lo sdrucciolo del Crocifisso e Piazza del
Seminario, seguendo l'ordine previsto di chiamata, secondo un'usanza
consolidatasi nel corso degli anni. In lontananza sembrano tante e
diverse macchie, e tendono a entrare in contatto, ad ogni gruppo che
arriva. Sembrano quasi fondersi, mentre la Banda, per file di 5 -
ordine di marcia -, se ne sta in disparte a ridosso della Curia,
pronta a seguire Baldacchino e Santissimo, e accorda gli strumenti
mentre, sottovoce, prova le introduzioni, quando di Sacramento
Mirabile, quando del Pange Lingua o del Lauda Sion o del Tantum Ergo.
La cattedrale si sta riempiendo di tutta una schiera di suore, preti e frati. Le suore dell'Ospedale, le suore del ricovero, quelle di Santa Chiara, quelle del Seminario e quelle dei Frati Conventuali. Poi i frati Cappuccini e i frati Conventuali, con al seguito il nutrito gruppo di seminaristi. Tutto il Capitolo della Cattedrale e i preti del seminario e quelli senza parrocchia, liberi da compiti pastorali specifici, che affollano la cattedrale ogni domenica. Per noi seminaristi, che siamo quasi 100 tra piccoli e grandi, occasione unica, per fare la conta a vista, del clero che vive in San Miniato, e di quello del suburbio che staziona fuori. Parrocchie dell'urbe e del suburbio distinguibili dai diversi Stendardi, ognuno colori e stemma propri, a fare da riferimento per i fedeli convenuti, pronti a scendere in campo e a incamminarsi, a chiamata. Attesa che lungo tutto il percorso si fa frenesia, a ritoccare l'infiorata, a distendere i tappetini alle finestre, nel mantenere accesi i lumini, a tenere alla larga curiosi e passanti dalle decorazioni floreali.
Tutti
a ridosso del muro delle case, lungo i risciacqui delle acque
piovane, chi a sbirciare in lontananza, chi di passaggio verso altro,
chi a girottolare per non annoiarsi nell'attesa del passaggio. Il Bar
Micheletti, ha tolto i tavolini da fuori, lasciando interamente
libero il passaggio. In Piazzetta del Fondo il Bar Lami ha
rinunciato, lo fa sempre, ai tavolini e agli ombrelloni sul
marciapiede in direzione del Piazzale. Gli altri Bar, sono lì in
attesa che giunga nei pressi la processione, per spegnere le luci
dentro, per abbassare la serranda in segno di rispetto, e per
inginocchiarsi davanti al Santissimo, mentre i pochi che restano
all'interno, sospendono qualsiasi gioco o attività.
Poi arriva Mons. Vescovo, passando dal ponticello e dal giardino, direttamente in sacrestia, per indossare i paramenti solenni e prepararsi a sorreggere l'Ostensorio con il Santissimo lungo l'asse centrale della Chiesa, fino a sotto il Baldacchino... il popolo pronto a distendersi in processione, come da istruzioni gridate dall'alto del pulpito dal Cerimoniere di turno.
È
alle 3 in punto che Mons. Vezzi, canonico della Cattedrale e parroco
della Nunziatina, sale sul pulpito. Dà il via alla Processione
proclamando a voce alta, insistita e ripetuta il nome di ogni singola
parrocchia, località compresa. L'ordine quello inverso partendo dal
suburbio per finire con le parrocchie dell'urbe, ultima quella della
Cattedrale. - Processione solenne in occasione del Corpus
Domini... Apre la parrocchia di 'San Donato vescovo e martire'
dell'Isola... In testa lo stendardo, a seguire i bambini, con le
mamme... gli uomini... la compagnia del SS. Sacramento... i bambini
della prima comunione, chierichetti e il clero. - annuncio
proclamato a gran voce e ripetuto anche all'esterno finché lo
Stendardo prende posizione e traccia per primo il cammino verso lo
sdrucciolo del SS.Crocifisso, per un percorso che un Canonico del
Capitolo sembra indicare, dettando il passo e le soste di rito. - A
seguire la parrocchia di San Michele Arcangelo di Roffia... prima lo
stendardo.. a chiudere chierichetti e il clero. - Compagnia del
'Santissimo Sacramento' ben riconoscibile anche a distanza in quelle
cappe color rosso sangue, mentre la voce possente e impostata di Mons
Vezzi dona solennità ad ogni annuncio, che viene ripetuto sul
portone di ingresso, dalla voce potente e inconfondibile di Mons.
Balducci, per una platea attenta e che ben conosce l'ordine fissato.
Intanto
la Banda intona il Pange Lingua a mezza voce, per accompagnare il
distendersi della processione senza sovrastare l'annuncio, e per
prendere il giusto ritmo da tenere per tutto il percorso. Si
allineano così anche Brusciana, Marcignana e Pianezzoli ad allungare
una processione che prendendo lo sdrucciolo del Crocifisso si dirige
verso la Chiesa di San Michele e Santo Stefano, passando oltre
l'oratorio del Loretino e la Chiesa della SS.Trinità, conosciuta
come della Misericordia, dove io la domenica, di passaggio, sono
solito soffermarmi con nonno Nuti, giusto il tempo di una prece. Poi
la discesa ripida di Santo Stefano verso Piazza de' Polli. E ad ogni
annuncio, la Piazza del Duomo, nei suoi effettivi contorni, acquista
forma visibile per ogni gruppo che immettendosi sul percorso, ne
libera il lembo occupato. - Parrocchia di SS. Stefano della Bastia
in Ponte a Elsa... prima i bambini.. a chiudere il prete … -
stesso tono e stessa cadenza, quasi un proclama quello annunciato da
Mons. Vezzi.
Monsignor Stacchini ci richiama, noi seminaristi del Coro, all'attenzione ricordandoci l'ordine di uscita. Lo fa sottovoce, suo il compito di dirigere i canti di accompagnamento - "In uscita, a destra i soprani, a sinistra i contralti, a seguire sulla destra i tenori e sulla sinistra i bassi. Attenti a tenere bene la fila." - Noi tutti addossati dietro l'altare maggiore, nel coro, a lasciar libero e disponibile il presbiterio al capitolo della Cattedrale e ai preti di Curia e del Seminario. A seguire la parrocchia di Poggio a Pino e quella del Pinocchio... sembra non finire mai quest'ultima, tanti sono al seguito di Don Nello Micheletti, quelli della Compagnia del SS. Sacramento, le donne e i fedeli, i chierichetti e i bambini a comunione. - San Michele Arcangelo di Sant'Angelo a La Scala... San Pietro alle Fonti a La Scala... San Lorenzo martire al Nocicchio... - Si sta avvicinando il momento cruciale dell'uscita nostra, quella del Coro del Seminario, e lentamente ci allineiamo, secondo l'ordine stabilito, lungo la navata laterale. Dietro, quei seminaristi, in servizio sotto il Baldacchino, a seguito del Santissimo.
Il
Vescovo che prende posizione al centro del presbiterio, diacono e sub
diacono ai lati, pronto ad incamminarsi, all'ombra dell'ombrellino
sacramentale, verso l'uscita dalla chiesa per accedere al
Baldacchino. Tutto il Capitolo della cattedrale allineato nella
navata centrale. - Santi Ippolito e Cassiano martiri di Marzana...
- tuona la voce di Mons. Vezzi.. - prima i bambini e le donne...
- la Piazza antistante quasi sgombra, con gli ultimi gruppi non molto
numerosi, e tra questi quello di Calenzano, ad esaurire le parrocchie
del suburbio. La sensazione è di sentirmi a casa quando Mons. Vezzi
fa la 'chiama' della parrocchia di Santa Caterina Vergine e Martire,
la mia. Mi fa immaginare e intravedere i bambini di Piazza Santa
Caterina prendere posizione, allinearsi, seguiti dalle suore del
ricovero e da quelle dell'Ospedale, e dalla Compagnia del SS.
Sacramento. Poi i bambini della prima comunione e i chierichetti
schierati accanto al Priore, il Bellaveglia. Quasi un lampo, appena
una frazione, appena un diaframma che si richiude prontamente al
ritmo regolare della processione che sta occupando gran parte del
percorso, a risucchiare a se la Parrocchia di Santo Stefano, poi
quella di San Domenico, a seguire quella della SS. Annunziata.
-
Parrocchia di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire, Cattedrale
Propositura. Aprono i bambini, seguiti dalle donne. La Compagnia del
SS. Sacramento a sorreggere il Baldacchino, tutto il clero, il Coro
del Seminario e i Canonici della Cattedrale, a seguire i due
turiferari assieme agli ordini minori prima del Santissimo - Ci
si muove in ordine, a seguire la retroguardia della parrocchia della
SS.Annunziata: direzione, lo sdrucciolo del SS.Crocifisso. Io sulla
destra assieme a tutti i soprani, dietro i tenori, mentre iniziamo a
discendere per lo sdrucciolo del Crocifisso e, con la coda
dell'occhio, vedo il Baldacchino dalle otto mazze, splendente alla
luce del sole, e sotto, Mons. Beccaro vescovo, proprio al centro, a
tenere in mostra l'Ostensorio. Il sole caldo di giugno a testimone e
di scena, mentre la Banda annuncia il 'Pange Lingua', intonato
all'unisono dal coro e da tutto il clero, che va a coprire quel
brusio che ha abbandonato la Piazza del Duomo, e che ora, appena
percettibile, sembra provenire dal basso, da Piazza de' Polli e
dalle parti di Pancole. Colpo d'occhio unico, dall'alto del sagrato
del SS. Crocifisso: quella doppia fila ordinata di canonici,
monsignori, preti, frati e seminaristi tutti in roccetto o cotta, a
far vibrare anche l'aria, quando intonano all'unisono il Pange
Lingua.
A
bordo strada passanti e devoti, in ginocchio, il capo chino, in
attesa del passaggio del Santissimo in un silenzio assordante, quasi
una processione a sé, benché non continua, fin davanti alle Scuole
e oltre. È un tappeto variopinto di rose e di ginestre su quella
Piazzetta, quella della chiesa dei Santi Michele e Stefano. Pare una
guida srotolata verso la Chiesa, mentre il Baldacchino con il
Santissimo si ferma, Le otto mazze a terra e il Vescovo, con gesto
lento e solenne, a tracciare con l'ostensorio il segno stesso di
Cristo Salvatore: tutti genuflessi, nessuno escluso, dal bambino più
piccolo, al vecchietto ai lati, al canonico della cattedrale, tutti
i seminaristi al seguito in un silenzio sottolineato dalla pausa
della Banda in uno dei momenti cardini di tutta la processione: la
benedizione solenne con l'Ostensorio.
E
da un lato, per la via di Sant'Andrea, è già in arrivo la testa
della processione, ad incrociarsi proprio davanti all'emporio del
Bagagli, mentre la coda con il Baldacchino riprende il suo
peregrinare, lungo la ritta discesa che conduce a quello che un tempo
era il Vallo del Ponticello, fuori le mura, ora Piazza Bonaparte o
Piazza de' Polli, come la chiama il popolo. E noi a tenere la destra,
in direzione dell'Ospedale, mentre sul lato opposto, la testa del
corteo fa il senso contrario, lasciando libera la parte centrale
della piazza, quella a ridosso di Canapone. Il Caffè Micheletti a
serrande abbassate, luci spente all'interno, con sul davanti Pietro
Bulleri con sua moglie, inginocchiati, come anche Gano, il Cucchi,
Fischio d'Oro, e il Terreni in atteggiamento di rispettoso silenzio,
le ginocchia appoggiate alla sedia o in terra. Alle finestre lumini
accesi, tappeti ai davanzali, vasi di fiori sugli scalini di casa ad
accompagnare l'infiorata che è davanti ad ogni uscio.
Davanti
all'uscio di nonno Musolino, che ha cambiato casa da pochi mesi,
l'infiorata è diversa quest'anno, dopo l'ictus che l'ha colpito e ne
ha compromesso la parte destra. Non ha potuto uscire per ginestre.
Hanno fatto il possibile le donne di casa. Nonna Livia è lì alla
finestra di camera, a fare compagnia a Musolino immobilizzato a
letto, e, gomiti piantati sul tappetino ciondoloni alla finestra,
biascica marie, lo sguardo perso nel vuoto a vagare lungo tutto
l'arco visibile della processione, probabilmente nel tentativo non
riuscito di vedermi. Ed è un incrociarsi di canti, lo scorrere quasi
convulso di due serpentoni che ora non riescono a risparmiare
l'infiorata, ma che rendono quel calpestio una sorta di rituale, una
scorciatoia improbabile per l'invisibile, a rilasciare nell'aria
impercettibili particelle profumate dal gusto di rosa, di ginestra,
di glicine, di ginepro per una miscela, anche aspra, che irrita le
mucose, fino allo starnuto, liberatorio, improvviso.
Davanti
alla Piazzetta di Pancole, solo sfiorata dalla processione, una
spessa coltre tra foglie e petali di rose, papaveri e ginestre. Quasi
un tappeto, steso a dare il benvenuto al Gesù che passa sottolineato
dalla presenza di tutti i vecchietti, quelli che non camminano,
allineati, chi su una sedia, chi sdraiato sopra una lettiga, ad
accompagnare il Baldacchino fin davanti all'uscio della Chiesa del
Monastero di San Paolo. Sosta questa, fuori ordinanza, ma ripetuta
ogni anno, come a riconoscere la storia particolare di queste Suore e
di questo convento e del suo asilo. Sosta che non gode della
partecipazione visibile di queste suore di clausura, ma ne intuisce
la presenza discreta dietro i paraventi e le sbarre delle finestre
dell'ultimo piano, appena percettibile come quel loro... canto
sommesso... forse il Vespro.
Per
chi, come me, abita lì a due passi e non può dal Seminario tornare
a casa secondo desiderio e bisogno, quella sosta è anche uno
sbirciare ad anticipare la visione prevista, gradita, programmata di
'quelli di casa'. Ed infatti davanti all'uscio ci sono tutti, almeno
quelli che non sono in processione, Tetta e anche Nonno Nuti in prima
fila. Innaturalmente deserto lo spazio davanti a quello che, fino
all'anno prima, era l'uscio di nonno Musolino. Proprio di fronte, la
serranda abbassata del Bar di Mandorlino, e davanti Italia e
Giuseppe, Tarcisio con Giancarlone le carte in mano, Manlio e Medoro
spettatori involontari cacciati fuori dal Bar da Mandorlino... tutti,
la fronte china innanzi al Santissimo. E noi a passare oltre e ad
attraversare la piazza, per proseguire lungo Via Ferrucci diretti al
padiglione estremo dell'Ospedale, quello del Sanatorio per il giro di
boa. E lì nel giardino e lungo il muro perimetrale ci sono tutti,
malati ed infermieri, nel loro caratteristico abbigliamento che li
distingue dagli altri. Espressioni e sguardi dal colore afono, come
la loro voce che esegue sommessamente il Pange Lingua che in quel
preciso momento banda e coro stanno eseguendo. Alcuni seduti sul
muretto di cinta, altri sugli scalini d'ingresso, i più affacciati
ai balconcini del primo piano, alcuni il gomito appoggiato sul
davanzale, mento rinserrato nel palmo della mano nell'atto di chi sta
per rientrare, per riprendere il proprio posto, a debita distanza
dagli altri.
Quasi
un'inversione a U la nostra per tornare in Piazza dell'Ospedale
facendone il giro, avviando la fase di ritorno del primo tratto,
avendo a spettatori privilegiati, affacciati alle finestre disadorne,
i ricoverati del momento dell'Ospedale. Qualcuno, in pigiama, seduto
a ridosso del muro. A fare da cornice al portone di ingresso quei
'malati' deambulanti del reparto di chirurgia. Solo uno sguardo il
mio, quasi istintivo, verso l'alto, verso quell'ultimo piano e quelle
finestre quasi sempre spalancate, ma chiuse con grate, del reparto
dei 'matti'. Impossibile percepirne richiami e schiamazzi, sovrastati
per intensità dalla banda e dal coro nell'eseguire all'unisono,
senza sosta alcuna, uno degli inni in programma. Occhi che perforano
quel silenzio ad avvisare della loro presenza, della loro silenziosa
preghiera dal loro pulpito. Sensazione di disagio, mai completamente
superato, per una separazione che segna una ferita da curare, da
rimarginare, quasi dimenticata, che reclama attenzione. E sul prato
centrale, anche a ridosso della cisterna dell'acqua piovana, tutti
quei vecchi che hanno difficoltà a camminare, quelle famiglie di
contadini che devono rientrare presto per governare le bestie nelle
stalle, quelli che abitano in Via Ferrucci e nel vicolo Borghizzi o
'Sotto il Ponte'.
È
l'inizio del percorso di ritorno, ma non il più breve, che si
allunga passando da Via Sant'Andrea aggirando la ritta china tra
Santo Stefano e Piazza de' Polli, per riprendere il solito verso, in
direzione del Seminario e la sua piazza, che è lì pronta ad
accogliere in tutto il suo fasto il Gesù che passa. A fare da
cornice a quel passaggio, oramai vecchi, Mons. Rossi ora
completamente cieco, e un frate dei Cappuccini vicino ai 90 anni,
sistemato alla bene meglio su una sedia di fortuna, in compagnia di
Gigi lo stagnino che ha addobbato, oltre la piazza, anche il pezzetto
davanti alla propria bottega. Da lì, sembra di entrare nel vivo
della festa, dove la processione è realmente attesa, dove la massa
di fedeli ai lati è imponente, sia a destra sia a sinistra, ed
accompagna il Santissimo oltre il circolo della Misericordia passando
in una Piazzetta del Fondo, che chiude il passo a chiunque volesse
venire dal Piazzale. Abbassate le serrande del Bar Lami, del Caffè
Cecconi, del Bar Cantini in attesa della sosta e della benedizione
davanti alla chiesa di San Domenico, dove i mazzieri appoggiando le
otto mazze in terra, annunciano la breve sosta del Santissimo. Il
rintocco a festa del piccolo campanile... la solenne benedizione
eucaristica mentre centinaia di ginocchi toccano terra.
Nessuno
in piedi, a capo nudo e cappello in mano, decine di contadini venuti
per l'occasione anche oltre il suburbio. Una benedizione appena
sussurrata, tracciata con ampio gesto nell'aria, mentre il
turiferario incensa a spargere nell'aria volute di fumo a fondersi
con quegli aromi diffusi dal calpestio dell'infiorata. Pochi minuti
nel più assoluto silenzio, gente in ginocchio e in attesa anche
'Sotto i Chiostri', posto privilegiato d'osservazione per non
perdersi nulla. E da lì oltre, una colonna da una parte e una
colonna dall'altra di fedeli, in ginocchio ad accompagnare quel
passaggio che conduce fuori città, fuori le mura, passando da Piazza
Grifoni fino in fondo a Via Carducci per un'ultima sosta: la chiesa
della SS. Annunziata. Quasi a trattenere il respiro, l'ultimo tratto
a rincorrere il punto ideale, quello del giro di boa, all'altezza del
Conservatorio di Santa Chiara. È proprio lì che termina il percorso
e dove avviene lo scambio del lunghissimo corteo e che si trasforma
in serpentone doppio avviato a chiudere la processione, diretto in
Cattedrale... in 'Duomo' come si è soliti dire in San Miniato.
Ultima variante, la deviazione verso il Piazzale, per salire a destra
lungo il Viale della Rimembranza e da lì in Duomo. Ultima tappa, che
va a riempire, viale o piazza, di gruppi che si riuniscono in
formazioni omogenee, pronti per il viaggio di ritorno.
Madidi
di sudore e quasi insensibili al dolore per la stanchezza senza fine,
intoniamo l'ultimo Lauda Sion prima della breve omelia finale,
distrattamente ascoltata, almeno da me e da chi, come me, si gode
quei pochi minuti a sedere sugli scalini di un altare laterale.
Pochi, pochissimi minuti durante i quali Mons. Stacchini distribuisce
a tutti gli spartiti per il canto finale. È un attacco improvviso,
quasi esploso, a liberare nell'aria, forse molto meglio di altre
volte, l'inno ufficiale dell'ultimo Congresso Eucaristico Diocesano
Sacramento Mirabile. L'ultima volta con impatto simile e così
sentito ed espresso, il giorno di chiusura di quel Congresso
Eucaristico dell'anno appena avanti, forse anche esaltato dal luogo,
da quella terrazza che, dominava e domina il Piazzale, allora anche
altare di quell'ultima solenne Celebrazione Eucaristica.
lungo la
scalinata del Santuario del SS. Crocifisso
Foto di
Filippo Del Campana Guazzesi – Fine XIX secolo
Immagine
tratta da Il silenzio del negativo. Filippo Del Campana Guazzesi
fotografo in San Miniato, a cura di G. Marcenaro, CRSM, Sagep
Editrice, Genova, 1981, p. 178, n. 295.
Utilizzo ai
sensi art. 70 comma 1-bis della
Legge 22
aprile 1941, n. 633
Apprezzabile e molto precisa soprattutto la descrizione della vita dei seminaristi in quei momenti.sarebbe auspicabile pubblicare anche qualche fotografia di quell'evento (II congresso eucaristico diocesano) Soprattutto le foto delle processioni e della liturgia in generale che fu ripresa, come ricordo, dal fotografo Gallerini.
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